vignaNarat su diciu: Ua agra binu aghedu. Il prodotto realizzato con l’uva acerba è  più vicino all’agresto, anticamente utilizzato come condimento per molte vivande ma  ancora lontano dal prodotto aceto. Nell’alimentazione umana l’aceto è un ingrediente molto importante e nell’utilizzarlo difficilmente ci fermiamo a pensare per capirne le  tecniche di realizzazione.

 

Ma chissà quante volte ci sarà capitato di vedere qualcuno armarsi di pazienza e compiere una serie di gesti incomprensibili attorno ad una botte di vino per poi ritrovarci quel vino trasformato in aceto. Quella persona, custode di chissà quale segreto, assumeva per noi  un’immagine quasi sacerdotale.

 

L’aceto è un  prodotto realizzato da una doppia fermentazione della quale si è sempre capito poco e la sua realizzazione è sempre stata frutto di improbabili metodi. Solo dopo le scoperte di  Pasteur si è  riusciti a inquadrarne  il vero processo. L’aceto è un prodotto antico e si è soliti dire che abbia comunque qualche giorno meno del vino. La sua realizzazione, nel corso della storia, era empirica e dovuta al solo fatto che si  lasciava inacidire il vino senza preoccuparsi troppo del suo processo evolutivo. Solo nel I secolo dopo Cristo, con Columella che scrisse la prima ricetta per produrre  l’aceto, si hanno regole scritte per la sua trasformazione.

 

L’aceto è un prodotto dal gusto ”agro”, parola che proviene dal latino acer: acre, acuto, pungente. Nell’Antico Testamento l’aceto compare nella legge mosaica e più precisamente quando il popolo d’Israele compie la traversata del deserto e Mosè tra le sue regole annota queste indicazioni: ”Il nazir si asterrà dal vino e dalle bevande alcoliche, non berrà aceto di vino né aceto d’alcol, non berrà alcuna specie di succo d’uva e non mangerà uva fresca né appassita”.

 

L’Antico Testamento cita nuovamente l’aceto quando testimonia il suo impiego nella alimentazione, e cioè quando Booz incontra Ruth che raccoglie le spighe  nei suoi campi e la invita a dividere il pasto con i mietitori, dicendole: ”Avvicinati qui a mangiare il pane e ad attingere il tuo pezzo nell’agretto”..

 

Nella Grecia classica Aristofane, nella commedia Pluto, parla di aceti e li distingue secondo la loro provenienza: aceto di Sfette, di Cleone, di Decelio, di Cnido ecc.

 

Columella, come detto, è il primo a dare una ricetta sulla  realizzazione dell’aceto nel suo libro De re rustica che intitola: ”Vinum vapidum fieri acrius – il vino svaporato diventa più aspro”, e spiega: ”Per fare l’aceto, versate in quarantotto sestari di vino (poco più di 26 litri) evaporato o guasto una libbra (quanto ne possono contenere due mani giunte) di lievito, tre once di fichi secchi (quattro grossi fichi) e un sestario (500 gr.) di sale macinati assieme, in modo però che prima di gettare questi ingredienti nella suddetta dose di vino, essi siano stemperati in un quartario (sette cucchiai) di miele, diluisci tutto in aceto e getta il composto nella predetta quantità di vino.

 

Alcuni versano in una eguale misura di vino quattro sestari d’orzo tostato, quaranta noci accese e mezza libbra di menta verde. Altri riscaldano sbarre di ferro fino a far assumere loro l’aspetto di fuoco e li gettano nella stessa quantità di vino; o ancora dànno fuoco a cinque o sei pigne alle quali sono stati tolti i pinoli e le gettano nel vino mentre ancora bruciano. C’è anche chi compie la stessa operazione con pigne di abete ardenti” .
La ricetta di Columella rimane la sola per tanto tempo e poche sono le varianti  successive che si aggiungono.

 

Nel 1394 in Francia esiste  una corporazione giurata  di vinaigriers i cui componenti giurano di non riferire mai a nessuno i segreti del mestiere. I segreti sono relativi  al cosiddetto pane del fabbricante (nome dato al lievito), utile per la realizzazione dell’aceto e che appartiene solo al maestro acetaio. Si hanno di conseguenza  tanti tipi di pane e di aceto  in quanto diversa è l’origine del pane perché alcuni sono realizzati con il lievito, altri con spezie e altri ancora con  vegetali.

 

Nel corso del tempo diversi  autori scrivono  nuove ricette  per realizzare l’aceto:

 

–    Piero de’ Crescenzi (1233 – 1320), riportò la ricetta ”Per fare un aceto molto forte”, nel suo Liber  ruralium commodorum:
Sull’albero cogliete le corniole quando incominciano a diventare rosse  e le more selvatiche che crescono nei campi, anch’esse quando iniziano a diventare rosse. E dell’uva selvatica che cresce fra le siepi, prima che inizi  a gonfiarsi; dei semi di cipolle agre, un po’ dell’una e dell’altra; riducete tutto in polvere, quindi prendete l’aceto più forte che trovate e stemperatevi questa polvere, fatene dei piccoli pani e lasciateli seccare molto bene; quando vorrete usarli mettetene un’oncia se il vino è forte, se il vino è debole mettetene di più, insomma mettetene a seconda che vi sembri forte o debole, ne otterrete un aceto molto forte in otto giorni.

 

–    Liger, nella Nouvelle maison rustique, opera che censisce le conoscenze agronomiche alla fine del XVII sec.
Per fare un barile d’aceto: fate una pasta composta di tre libbre di farina di segale, quattro once di sale comune, un’oncia di pepe, un’oncia di zenzero, un’oncia di piretro, un’oncia di pepe a grani lunghi, mezz’oncia di noce moscata, mezz’oncia di cannella; riducete il tutto in polvere molto fine, e impastate tutto insieme; per stemperare questa pasta si prende  un buon aceto, poi se ne fa una specie di torta un po’ spessa, la si fa cuocere nel forno, quando è cotta la si lascia raffreddare, quindi la si rompe a pezzi e la si butta nel tino con sei pinte di buon aceto caldo…

 

Pasteur nel XIX secolo scrive il testo Mémoire sur la fermentation acétique e dice: ”La fermentazione acetica è l’acidificazione del vino che si fa all’aria libera attraverso l’assorbimento dell’ossigeno, l’acido derivato è l’acido acetico, chiamato volgarmente aceto, composto da una porzione di idrogeno e carbonio, combinati insieme e portati allo stato acido dall’ossigeno.

 

Con  Pasteur nasce la cristollagrafia che gli consente di scoprire l’azione dei lieviti, per lui: ”vino naturale o allungato, birra, acqua d’orzo allungata con acqua e acido acetico ecc… non acetificano mai al contatto dell’aria per ossidazione. Tutti questi liquidi sono capaci di accogliere il micoderma sulla loro superficie e di conoscere, quindi, un inizio di fermentazione rapida.

 

Il micoderma acetico è un fungo unicellulare simile ai lieviti. Questo acetobatterio ha la capacità di assorbire considerevoli quantità di ossigeno, di condensarlo e di provocarne il fissaggio nell’alcol. Questo fissaggio determina l’ossidazione che trasforma l’alcol in acido acetico. Il micoderma  trova nel vino nutrimento: materia azotata, fosfati di magnesio e potassio. Ama le emanazioni acide e si sviluppa ancora meglio se si aggiunge già un po’ di aceto già formato. Questa aggiunta consente di escludere la fioretta del vino che è nemica dell’aceto e non si sviluppa in ambienti agri.
Ecco la spiegazione!

 

Come si era potuto per tanti secoli credere a pani, motori e madri? Senza l’alcol e l’ossigeno non si ha l’aceto. Oggi è stato spiegato l’arcano anche se  era affascinante credere alle indicazioni date dalle diverse ricette storiche, dove un po’ per  caso, magia o fatalità l’aceto si materializzava.

Gli aceti hanno origini diverse: di vino, di sidro (pere e mele), di cereali (birra e riso), di linfa, di zucchero, di miele, di latte e  di alcol.
La funzione primaria e storica dell’aceto è quella di conservare ed in cucina ha anche  quella di condire, aromatizzare ed equilibrare sapori dolci.

 

COME FARE L’ ACETO IN CASA?

 

Meglio scegliere un vino (bianco o rosso, la differenza è solo nel colore, nella preparazione entrambi si schiariscono), non bisogna prendere un vino troppo acido o troppo zuccherino. Il vino deve avere una gradazione dagli 8-10 gradi (sopra 10 l’acido acetico non si completa e sotto gli 8 è insipido. Se troppo alcolico bisogna diluirlo con acqua fino a raggiungere 8,5 gradi perfetti. Se ha 11 gradi per arrivare a 8,5 bisogna fare la proporzione 11 sta a 100 come 8,5 sta ad X= 8,5 prt 100: 11= 77 centilitri da aggiungerne 23 di acqua.

 

Metterlo in un contenitore di legno o vetro. Per  creare il fungo micodermico in un bicchiere o un decilitro basta versare tre centilitri di aceto tiepido e sei di vino a 8.5 gradi. Si  pone il bicchiere in uno scaffale della cucina e scoperto. È l’aria  che trasporta i batteri del micoderma. Se va bene dopo qualche giorno si intorpidisce, poi diventa iridescente, prima che compaiano sulla superficie dei punti fioccosi: è il micoderma.

 

Comincia a svilupparsi ed i punti a collegarsi. Per avere un buono sviluppo è necessaria la temperatura di 20 gradi centigradi. L’operazione può durare due-tre settimane. Il successo non è garantito. Se si possiede una acetiera basta prelevare un po’ di velo.