Quello sterminio deve rimanere necessariamente nella memoria collettiva come strumento educativo per noi e per le generazioni future, pertanto, come atto d’amore verso il prossimo (“educare è amare”- Joseph Joubert – filosofo francese – 1838).
Elevare quella tragedia a “atto d’amore ereditato” non è per nulla paradossale o illogico, tantomeno irrispettoso. Per noi Italiani è l’insegnamento lasciato da tanti altri nostri connazionali che nel passato, per mille ragioni, hanno preso parte, attivamente o passivamente, cioè attraverso un atteggiamento di egoistica indifferenza, a quella serie di atti (a cominciare dal consenso nei confronti delle leggi razziali del 1938 a seguito del discorso di Mussolini a Trieste) che ora ci appaiono come una chiara dimostrazione di quali delitti noi saremmo, siamo, possiamo essere capaci di compiere con ragionata, entusiastica convinzione.
Considerare quel periodo un regalo che consiste in un profondo monito educativo “Guarda cosa sei in grado di fare, se non stai attento ai tuoi pensieri”, porta alla giornata della memoria la forza e il vigore necessari per resistere, per rimanere, per continuare a parlare alla società nonostante i tentativi d’oblio collettivo che vanno concretamente contro la nostra Costituzione, art.3, e inevitabilmente contro la nostra coscienza.
Nel celebrare questa giornata, dobbiamo guardare con amorosa apprensione a coloro che, inconsapevolmente, sono vittime di quest’oblio… sono tante.
Consentitemi un piccolo aneddoto. Recandomi ad un pranzo con amici ho annunciato che avrei partecipato come attore alla lettura del testo “Dieci Pezzi” scritto da Ferdinando Crini sulla Shoah. “Cos’è?” mi ha chiesto un’amica “Dieci Pezzi è un testo…” “No”, interrompe lei, “cos’è Shoah”. In casa mi hanno suggerito, scherzosamente, di far che cambiare amica… non lo farò, perché so che il male comincia da lì e il prezzo dell’oblio è troppo elevato.