La Città della Musica e del Vino riscopre il folclore. Da poco più di quattro mesi è nata l’associazione Gruppo Folk Sant’Anna, grazie all’impegno di  alcuni appassionati di musica, canto  e danze popolari. Il tutto sulla scia di una consolidata tradizione. Si sentiva, fortissima, l’esigenza di avere un gruppo, composto da bambini, giovani ed adulti che attraverso il ballo perseguisse alcuni obiettivi che rappresentano elementi culturali caratteristici  della propria identità. Di qui l’impegno a ricercare e ricostruire le musiche, i canti e le danze popolari; mantenere vive le tradizioni, valorizzarle, far conoscere alle nuove generazioni, le antiche usanze attraverso i canti, le poesie e i balli che ripropongono usi e costumi del territorio, specie di Sant’Anna Arresi.

 

Lo scorso febbraio, quando l’idea fu lanciata quasi per gioco attraverso facebook, in pochi ci avrebbero scommesso. Il risultato è ben diverso: 80 persone hanno aderito con entusiasmo: adulti, bambini, famiglie. Primo adempimento, elezione del direttivo, sette persone: presidente è stato eletto Renzo Argiolas. Maestro di ballo è Tonino Mei, coreografo, sonadori, vero mago di su sulitu, dal quale fa scaturire nenie meravigliose e l’accompagnamento ora dolce ora frenetico dei balli tradizionali. La sua esperienza nel canto è altrettanto significativa. Da molti lustri accompagna con la sua voce, come componente di sa contra, i più importanti poeti improvvisatori campidanesi.

 

A Tonino Mei sono state sufficienti poche lezioni per insegnare al gruppo i balli e le danze tradizionali: su ballu cabillu con tutte le varianti, su ballu campidanesu e un’antica danza paesana su ballu maurreddu, la cui caratteristica è su passu puntau. Per ora è in fase di studio un altro ballo suggestivo quasi dimenticato: su ballu antigu. Semplici le coreografie. Alcune prevedono l’interpretazione da parte degli uomini (Su ballu de su pastori), altre sono prettamente femminili (Su ballu de is crobeddas). Per accompagnare i balli, oltre al sulitu, ci sono fisarmonica, organetto e  sonus de canna.

 

Il gruppo ha già partecipato a significative manifestazioni, per ora solo in Sardegna. L’esordio è stato a Ollolai, il 28 aprile,  Sa Die de Sa Sardigna. Qualche tempo dopo, esibizione in Tv a Sardegna 1, ad Anninnora di Giuliano Marongiu. Il gruppo ha un fitto calendario di uscite sino a fine agosto: sarà ospite di importanti rassegne in Sardegna e nella penisola. Obiettivo, stare vicino agli emigrati sardi per regalare loro emozioni e ricordi. La bravura dei ballerini è ulteriormente arricchita dai tradizionali costumi sulcitani, quasi tutti antichi ed originali; alcuni frutto di un attento studio di ricerca e realizzati con le stoffe e le tecniche del passato. Sono i vestiti indossati da uomini e donne di Sant’Anna Arresi nei giorni di festa, sino a qualche decennio fa. È una componente del gruppo, la dottoressa Daniela Soru, ad avere realizzato il primo studio significativo sul costume tradizionale, descrivendo in modo minuzioso i diversi capi. L’operazione ha consentito anche il recupero del lessico, nella pronuncia locale. Ecco in sintesi, dal lavoro di Daniela Soru, questo singolare costume:

 

Sa Nostrara.  C’è una differenza tra su bistiri de sa dì de fatu (abito giornaliero) e su bistiri de sa dì de festa (abito festivo): la diversità fondamentale è nei tessuti, nelle fantasie e nei copricapo. Eleganza e pregio dei tessuti impiegati è da ricercarsi in su bistiri de sa coja o su bistiri po isposai (l’abito nuziale).

 

Elementi del vestire: Su manteu: un’ampia gonna che poteva essere confezionata in vari tessuti. Sa gunnedda bianca, sottoveste.  Sa buciaca de s’anca: tasca di tela legata alla cintura sotto la gonna. Su fantallicu, il grembiule. Su giponi: il giubbetto aderente, a maniche lunghe; la camisa de linu o de cotoni che si indossava sotto su giponi. Per coprire l’ampia scollatura de su giponi si usava su mucarociugu (su mucadori de ciugu),  su sciallinu de sera (si poteva portare anche in testa sopra su mucadori biancu;  – Sa perra de sera, mezzo fazzoletto per il petto. Tutti e tre questi capi venivano fermati alti sul petto da una spilla d’oro o d’argento: sa broscia o agulla o fermàlliu. Per la testa (le donne non erano mai a capo scoperto), c’erano:  sa scòfia ’e sa ‘ntocca: si tratta di una sorta di cuffia che raccoglie i capelli; su mucadori biancu; su mucadori mannu; su sciallinu de sera o a mata de sera: sa mantìllia, il copricapo. Ancora: su sciallu de tibei; su sciallu de lana o sciallu grussu: su panneddu. Infine i gioielli (is prendas): s’aneddu, is arracaras o lórigas, sa cannaca o su vellutinu, sa broscia, s’agulla de conca e is butonis. Nell’abbigliamento maschile (Su bistiri de su messaiu) sono esaltate modestia ed austerità. Era così composto: Sa camisa, bianca; Su corpetu, in orbace nero,  abbottonatura laterale sulla destra; Sa giaca,  in orbace nero, corta e senza colletto;  Su serenicu:  cappotto in orbace  nero con cappuccio;  Is cracionis, sottocalzoni in lino bianco. Is cracionis nieddus de orbaci: calzoni lunghi sotto il ginocchio che coprivano is cracionis biancus; Is cracias, ghette di orbace. Sul capo anche l’arresino indossa sa berrita, copricapo nero che veniva ripiegato lateralmente; sopra questa si indossava talvolta su turbanti, un fazzoletto rosso a disegni floreali, simile a su mucadori, che invece si portava al collo o infilato nella cintura, cintu o singeddu, realizzata in cuoio liscio o lavorato, con stringhe regolabili che sostenevano is cracionis.

 

Tipica del pastore sa besti de peddi, pelliccia di agnello, montone o capra, senza maniche. Tutti questi elementi caratterizzavano, opportunamente utilizzati, i giorni di festa e quelli di lavoro e distinguevano gli appartenenti alle classi sociali più abbienti. In ogni caso eleganza e bellezza erano le caratteristiche di questi straordinari costumi che ancora oggi suscitano ammirazione.