Un patrimonio da scoprire: “È importante che il maggior numero possibile di persone conosca”. Così Elisa Pompianu, 32 anni, laureata in archeologia nel 2005 all’ università di Sassari e ora assegnista di ricerca presso la stessa università, spiega il valore dalla mostra allestita dall’ Associazione intergruppo cultura Marrubiu (presidente Efisio Frau) presso Is Bangius, frazione di Marrubiu. Il sindaco del paese, Andrea Santucciu, ha fortemente voluto e sostenuto la realizzazione dell’esposizione, curata da Elisa Pompianu.

 

La mostra è stata adibita all’interno di una struttura risalente alla prima guerra mondiale di proprietà austriaca. Affianco ad essa, il territorio vanta la scoperta di un sito archeologico le cui prime attestazioni risalgono all’età del ferro, in epoca nuragica. Gli scavi sono stati condotti sino al 2003 da Raimondo Zucca e Pier Giorgio Scanu, docenti dell’università di Sassari. Come dice Elisa, è stato Raimondo Zucca, laureatosi con una tesi sul territorio di Neapolis, ad attivarsi per la realizzazione degli scavi.

 

La peculiarità del sito archeologico sta nell’aver portato alla luce le rovine del praetorium, residenza che ospitava degli uffici in cui il governatore della Sardegna svolgeva diversi incarichi amministrativi, come riscuotere le decime. Il praetorium è a base rettangolare con porticato interno che ospitava un cortile e al centro una vasca per la raccolta delle acque piovane. “Quello di Is Bangius è l’unico praetorium della Sardegna romana. Ed è uno dei due del mondo romano ad essere attestato da una epigrafe. L’altro si trova in Grecia”, afferma Elisa.

 

L’epigrafe indica che sotto l’imperatore Caracalla -tra il 211 e il 217 d. C.- il praetorium, è stato costruito o ricostruito (non è chiaro perché alcune parti mancano) in funzione delle strada compendiaria “compendium itineris” (come nell’iscrizione) grazie al finanziamento della città di Fordongianus. Grazie agli epigrafisti, la dicitura è perfettamente leggibile benché il complesso sistema di abbreviazione latina ne offuschi la comprensibilità.

 

Dagli scavi è emerso che probabilmente per circa quattro secoli la struttura non è stata utilizzata. Per questo motivo si può presumere che con gli anni si sia modificato l’uso del praetrorium, e che sia stato adoperato per scopi abitativi. L’epigrafe è visionabile nella parte del museo adibita ai ritrovamenti archeologici emersi dal sito.

 

Le terme facevano parte della residenza del governatore della Sardegna. Sono la parte meglio conservata meglio e dimostrano la maestria ingegneristica dei romani. Come afferma Elisa, il nome di Is Bangius è da collegarsi alla presenza delle terme: “I primi ritrovamenti sono del 1800. Ne fu data notizia nel Bollettino archeologico sardo dove si parla di un certo scavatore occasionale, abitante del paese, che aveva messo in luce alcune stanze delle terme. Successivamente il posto è stato denominato is bangius, i bagni”.

 

Dai ritrovamenti sono emersi alcuni mosaici. Il primo si trova nella sala adiacente al frigidarium. È del secondo secolo d. C. con movimenti geometrici tipici della Sardegna romana. Gli altri due si trovano nel frigidarium, ovvero la stanza in cui ci si lavava con l’acqua fredda. Dei due presenti nella sala, il più antico è stato purtroppo inglobato in un blocco di cemento. “Si presume che si sia rovinato ed è stato rifatto sovrapponendolo a quello più antico”, spiega Elisa.

 

Adiecenti al frigidarium si trovano tre vasche: una di acqua tiepida, due di acqua calda. Il riscaldamento delle acque era possibile grazie alla presenza di un forno -attestato dai ritrovamenti archeologici- che per mezzo di una serie di accorgimenti ingegneristici all’avanguardia permettevano l’innalzamento della temperatura.

 

Attraverso un corridoio si raggiungeva la latrina. La copertura della “canaletta” ha ceduto, ma è visibile ancora il corridoio. Ciò dimostra la lungimiranza dei romani: sfruttavano la copertura della canaletta come corridoio, mentre all’interno di essa defluiva l’acqua che veniva convogliata nella latrina.

 

I pavimenti originali sono ancora presenti anche se necessiterebbero di un restauro. Sono fatti con calce e terracotta schiacciata, il coccio pesto. Accanto al praetorium è stata scoperta un’altra struttura dall’identità ancora sconosciuta. Non si è certi se si tratti di un mausoleo, quindi di un luogo di sepoltura, o di una cisterna.

 

Il sito archeologico non è attualmente visitabile perché non a norma. Tuttavia la parte archeologica della mostra ricostruisce perfettamente la storia e rende visibili i ritrovamenti emersi. Tra i tanti reperti l’epigrafe di cui si diceva, uno stiletto che attesta la frequentazione del sito in età nuragica, una falce che testimonia la presenza di latifondi dove si coltivava il grano, un laterizio con l’incisione del bollo faustilus che comprova l’esistenza di una fabbrica di laterizi in loco (ci sono anche alcune testimonianze di bolli di Tharros e della Gallia). Questi sono solo alcuni oggetti, ma la mostra esibisce tanti altri preziosi ritrovamenti.

 

L’altra parte dell’esposizione è dedicata all’etnografia: ricostruisce la storia degli usi e costumi della Sardegna sino al 900. Ciò è stato possibile grazie alle famiglie del paese che hanno prestato i vari oggetti. Sono ricostruiti vari ambienti, dalla camera da letto alla stalla e varie mansioni, dal muratore al fabbro, con i diversi strumenti da lavoro. Dalla mostra emerge la rilevante figura della donna e la sua maestria in svariati campi, dalla panificazione al cucito.

 

Il 2 giugno alle 17 si terrà una conferenza dal titolo Da Muru de Bangius a Marrubiu: storia di un paesaggio rurale, con l’intervento, tra gli altri, di Elisa Pompianu. La mostra rimarrà aperta fino al 19 ottobre: sino al 9 Giugno tutti i pomeriggi dalle 15:30 alle 19:30 e in seguito nel fine settimana.