Al termine della dominazione romana e con l’instaurassi nell’isola dei bizantini, l’intero settore agricolo e, soprattutto, la frutticoltura si risollevò dopo un lungo periodo di demoralizzazione sociale ed economica.  Le fonti risalenti al periodo giudicale, ricordano la presenza del mandorlo negli orti dei “Condaghi” medievali. Così, alcuni successivi toponimi (Mendula, Ienna de Mendula, Curria de la mendula) collocano la coltura di questa specie nelle aree meridionali della Sardegna sino al XIV secolo. Nonostante il disinteresse e la scarsa cura dei governanti spagnoli per l’agricoltura della Sardegna, nel XVII secolo le mandorle venivano prodotte in una certa quantità, tanto da dar vita ad un commercio attestato dall’emanazione di un editto reale dei primi del secolo che imponeva un diritto di dogana su questo prodotto. Nel secolo successivo la coltura del mandorlo dalle zone maggiormente vocate (Campidano di Cagliari) si estende verso il settentrione dell’isola occupando altre aree come la Gallura. Ma gli esempi più rilevanti di una valida frutticoltura di quel periodo si ritrovano nel meridione; in particolare, nel vasto vivaio allestito nell’800 dal Manca di Villahermosa nella Villa di Orri (Agro di Sarroch) comparivano, oltre alle specie locali, anche sette varietà di mandorlo di importazione.  Nello stesso periodo Alberto La Marmora (1839) descrive nel suo viaggio in Sardegna la coltura di queste specie e dà notizie su un commercio di esportazione verso i mercati francese ed italiano. La spinta per un maggior interesse verso la frutticoltura messa in atto dalle istituzioni dell’epoca portò ad un aumento delle produzioni e delle esportazioni. Il Cherchi Paba (1974-77) riporta la quantità di mandorle sgusciate commercializzate nella provincia di Cagliari nel decennio 1879 -1888, con una media di q 2.643,2 per anno, di cui circa il 30% era destinato ai mercati esteri. Nel primo trentennio del secolo scorso questa coltura rivestiva ancora una notevole importanza, soprattutto nelle zone vocate del meridione dell’isola (si citano Sinnai, Maracalagonis, Quartu S. Elena, e Villasimius). Nella provincia di Cagliari si producevano da 46 a 50 mila q di mandorle, circa 20 mila q in provincia di Nuoro e 10 mila q in provincia di Sassari. (Marescalchi, 1938-39). Con il supporto e l’incoraggiamento del Ministero dell’Agricoltura si raggiunsero circa 6.000 ettari in coltura specializzata e circa 50. 000 ettari in coltura promiscua.

Attualmente l’Italia produce circa 96.468 tonnellate con una superficie coltivata di circa 72.136 Ettari (dati ISTAT 2012). Il comparto mandorlicolo italiano, che fino al secondo dopoguerra deteneva il primato produttivo nel mondo, può tornare a rappresentare per le regioni meridionali e le isole (La Sicilia lo dimostra) un’importante risorsa produttiva ed economica, in particolare valorizzando sui mercati interni e internazionali la sicura qualità della nostra mandorla, rispetto alle produzioni degli altri paesi, a cominciare da quella californiana.

La produzione nazionale è incapace di soddisfare la domanda interna. Il flusso di importazioni, (dati INEA 2008/2011) è di circa 29.370 tonnellate di mandorle sgusciate, con un valore stimato di 95 milioni di euro. l’Italia ne possiede solo il 4,5% del prodotto mondiale.

In due regioni si localizza il 97% della produzione (100.000 tonnellate): Sicilia e Puglia, rispettivamente con il 72% ed il 25%.

 

La mandorlicoltura sarda rappresenta il 3,7 % della produzione nazionale.

Nel mercato globale la Sardegna è sommersa dalle mandorle per l’industria dolciaria, provenienti dai mercati esterni. Ma quest’aspetto è stato finora sottovalutato e per questa ragione, tra le regioni del sud Italia e delle isole siamo divenuti incomprensibilmente il fanalino di coda. Ora dobbiamo recuperare il terreno perduto, si tratta di una sfida ardua per la Sardegna il cui sviluppo è attualmente inferiore alla media nazionale. Però madre natura ha dotato l’isola di risorse straordinarie, spesso impareggiabili dal punto di vista ecologico, climatico e paesaggistico, risorse che possono beneficiare dalla coltivazione totale delle campagne e nella campagna sarda la mandorlicoltura, oltre che contribuire a creare ricchezza aggiuntiva, può aiutare a migliorare la bellezza del passaggio che avvolge i comuni, i beni culturali, ex minerari e termali

Un aspetto molto importante per il rilancio della coltura è la scelta varietale in quanto basilare per la riuscita economica dell’impianto. Il patrimonio varietale del mandorlo è molto vasto e negli ultimi quaranta anni è stato arricchito dalla introduzione di nuove cultivar dai principali paesi produttori quali Stati Uniti e Spagna.

Tra le numerose cultivar di origine straniera, la sola che ha mostrato di ben adattarsi alle diverse condizioni climatiche italiane è la Ferragnes, nota cultivar francese ottenuta dall’incrocio tra una varietà francese (Aï) ed una italiana (Cristomorto). Tutte le altre cultivar straniere hanno dimostrato di non essere valide per le condizioni climatiche italiane. Pertanto nella lista predisposta sono inserite soprattutto cultivar italiane in grado di fornire produzioni elevate e di buon valore qualitativo. Le cultivar più valide sono Tuono, Ferragnes, Genco, Supernova e Filippo ceo che nei nuovi impianti possono benissimo accompagnare le varietà isolane: Arrubia, Bianca, De Su Cramu, Folla ‘E Pressiu, Grappolina, Niedda, Menduedda De Mrasciai, Schina de Porcu e Stamasaccusu.