Fare il giornalista? Sempre meglio che lavorare. Per anni questo luogo comune ha accompagnato i professionisti dell’informazione, visti come una categoria di privilegiati. Sì, perché quando si pensa alla figura tipo del giornalista la si collega immediatamente a quella del conduttore tv o alla grande firma della stampa nazionale. La realtà è però diversa: oggi l’informazione è confezionata in gran parte da giornalisti precari. Uomini e donne che con il loro lavoro riescono a mettere da parte pochi spiccioli, in media 5000-6000 euro all’anno. Eppure, senza il loro apporto, i giornali dovrebbero rinunciare alla metà delle pagine e i notiziari radio-tv rischierebbero di non andare in onda. In Italia sono soltanto 12.500 i giornalisti dipendenti, a fronte di oltre 30.000 precari. Una vera emergenza che non risparmia la Sardegna. Nella nostra Regione il numero dei senza contratto è in costante aumento: dei 550 professionisti iscritti all’Ordine dei Giornalisti della Sardegna oltre 200 non hanno un’occupazione fissa. Tra i 1355 pubblicisti la metà è iscritta all’Inpgi 2, l’istituto di previdenza che accoglie i lavoratori autonomi dell’informazione. Persone che collaborano da anni con giornali e tv o curano gli uffici stampa di enti pubblici o aziende private. Le imprese editoriali non assumono più. Anzi, si tagliano rapporti di collaborazione consolidati, si esternalizzano i servizi, si ricorre a giovani di belle speranze disposti a tutto pur di vedere la loro firma su un giornale.

 

Una vita precaria, insomma, resa ancora più difficile dalle tariffe applicate dai diversi gruppi editoriali. L’Ansa paga cinque euro lordi a lancio, l’Agenzia Italia dodici. Un pezzo su La Nuova Sardegna vale dieci euro lordi, stesse tariffe all’Unione Sarda per un’apertura di pagina. E le televisioni? Videolina paga per un servizio al TG undici euro netti. Sardegna Uno, da più anni, non ha più collaboratori e si affida a un’agenzia esterna che realizza i servizi dalle periferie. Epolis, dopo la chiusura del giornale, i suoi collaboratori li deve ancora pagare. Alla fine un giornalista precario, se lavora tutti i giorni, riesce a guadagnare 500-600 euro al mese. Una notizia vale un chilo di zucchine, ha scritto Paola Caruso, la collaboratrice del Corriere della Sera che ha attuato lo sciopero per denunciare le drammatiche condizioni di lavoro dei giornalisti freelance.   

 

Perché tutto questo? Colpa della crisi, rispondono in coro gli editori. I fatti però sembrano smentire queste giustificazioni: Unione e Nuova continuano a fare utili. Le tv, è vero, sono in sofferenza a causa della contrazione del mercato pubblicitario e della impreparazione con la quale hanno affrontato l’avvento del digitale terrestre. Una situazione difficile che sembra non avere sbocco. Anche perché, bisogna dirlo senza remore, su questo punto la categoria nicchia. Chi oggi ha la fortuna di un lavoro stabile non riesce a capire che la battaglia per un lavoro dignitoso e giustamente retribuito è una battaglia in difesa di un’informazione libera e plurale. In questi giorni i giornalisti precari sardi hanno ripreso la mobilitazione. Hanno chiesto aiuto a Sindacato e Ordine, decisi però ad andare avanti anche da soli. Per la difesa della dignità del lavoro, della professione e del diritto dei lettori a una informazione pulita.