Andare per prati e campagne è la mia passione e ho la grande fortuna di vivere a due passi da questi, con le erbe e le piante che mi accompagnano anche nella vita. Durante le passeggiate (per me non è lavoro ma diletto) raccolgo erbe e frutti in estate, rametti e gemme e fiori in primavera, semi e bacche in autunno, radici e bulbi in inverno.

 

Trasformo poi il raccolto, con l’aiuto di semplici ingredienti, in cibi e bevande saporiti, che della campagna conservano il profumo e il gusto. Da tempo mi dedico con passione alla professione di erborista utilizzando la “medicina dolce o naturale” per cercare di ristabilire l’equilibrio fisico-energetico nell’individuo. Mi piace poter divulgare le mie conoscenze erboristiche alle persone che sono interessate e chiedono di sapere gli usi terapeutici e l’utilizzo delle erbe officinali che la generosa  madre natura ci regala ogni giorno.

 

Per esperienza ho imparato ad apprezzare ogni piccolo essere verde vivente e a non sottovalutare le particolarità anche della più umile piantina, perfino di quelle che ci sembrano solo infestanti o fastidiose. Poi, con l’ausilio dello studio costante e per niente concluso, a conoscerne le virtù curative già sperimentate dai nostri nonni e ora riconosciute dalla farmacopea ufficiale.

 

Ho fatto questa premessa per introdurre una pianta che tutti conosciamo e che ognuno di noi senz’altro ricorda almeno per aver urtato le sue spine nella raccolta del suo dolce frutto: il rovo con le sue more.

 

A Nuoro: rubu, ruvu

Nella Sardegna settentrionale: rù, rù crabinu

In Campidano: mura orrù, orrù, mura de rù

A Tempio: amura, arrù, lama

 

Il vocabolo latino Rubus, originato dall’aggettivo “ruber”, venne utilizzato dagli antichi studiosi e scrittori, come ad esempio Virgilio, in riferimento al colore rosso degli appetibili frutti in maturazione. E “fruticosus” sta proprio ad indicare la caratteristica vegetativa della pianta, che emette numerosi germogli fruttiferi. La denominazione scientifica Rubus fruticosus raggruppa una quantità di specie e sottospecie  dalle medesime proprietà medicamentose.

 

Descrizione:

arbusto cespuglioso di dimensioni variabili, generalmente alto da uno a tre metri, provvisto di radice legnosa. Cresce dal mare alla zona montana, è una pianta molto comune, quasi sempre infestante, nei boschi, nelle siepi, lungo le strade di campagna e negli incolti in genere. I rami sottili sono lunghi, spinosi e irregolarmente ricadenti. Le foglie sono formate da 3-5 foglioline ovali spesso biancastre nella pagina inferiore e con nervature spinose. I fiori riuniti in grappoli allungati, sono bianchi o rosei; si raccolgono da maggio a settembre. I frutti, noti comunemente come more, sono da principio rossastri quando sono acerbi, fino a diventare neri lucenti a maturazione. Il loro sapore è zuccherino, leggermente astringente. La raccolta  avviene da agosto a ottobre. Le foglie e i nuovi germogli si raccolgono dalla primavera all’estate. Tanti sono i pregi e le qualità di questa spinosa pianta e notevoli sono i suoi usi terapeutici. Vediamo di conoscerla più da vicino:

 

Componenti principali

foglie:  tannini; idrochinone e arbutina              acidi organici; ossalico, citrico, malico e succinico              flavonoidi; antociani, vitamina C frutti:   levulosio, saccarosio, acido fenolico, polifenoli, rame, manganese, vitamina B1 C e A

 

Attività farmacologica

la foglia: astringente, depurativa, tonica, leggermente ipoglicemizzante, ipotensiva le more: vitaminizzante, tonica, leggermente lassativa e rinfrescante i germogli: antiartrosica, antiosteoporosica, ipoglicemizzante, ipotensiva

 

Indicazioni terapeutiche e dosi:

 

giovani getti:

 

artrosi degenerativa senile, osteoporosi, diabete, ipotensione (30 gocce di macerato glicerico in poca acqua, tre volte al giorno lontano dai pasti)

 

foglie:

 

diarree, infiammazioni intestinali, mestruazioni abbondanti (40 gocce di Tintura Madre due-tre volte al giorno, in poca acqua, lontano dai pasti oppure fare un leggero decotto con mezzo litro d’acqua e una manciata di foglie fatte bollire per 8 minuti, quindi filtrare e bere a piccole dosi durante il giorno). Per uso esterno è molto utile ed efficace la decozione concentrata delle foglie, dei fiori e dei germogli (due manciate in un litro d’acqua, bollire 10 minuti, filtrare bene  e fare gargarismi) per curare elettivamente affezioni del cavo oro-faringeo (gengiviti, stomatiti, piorrea, glossite, faringiti, tonsilliti). Stessa modalità di decotto ben filtrato ma usato per lavande vaginali astringenti, per lavaggi  sia interni che esterni e anche nei casi di emorroidi ed ulcere anali.

 

I frutti

 

freschi apportano zuccheri, vitamine e sali minerali, inoltre regolano l’intestino se mangiati in modesta quantità mentre provocano diarrea se si esagera con le dosi.  Oltre ad essere consumate crude appena raccolte, le more possono essere trasformate in succhi, confetture o marmellate per le loro squisite qualità nutrienti, dissetanti e vitaminiche.

 

 

Non  avremo  difficoltà  a trovare i cespugli di rovo lungo i sentieri di campagna o nei luoghi incolti o addirittura nei vicoli poco frequentati. Che bella e sana gratificazione quando, a rischio dell’integrità fisica, di braccia graffiate, di mani nere pigmentate e di vestiti sfilacciati, ci  “tuffiamo” nel cespuglio per cogliere il dolce frutto da gustare subito, e poi un altro e un altro e un altro ancora … per poi  portare a casa una piccola provvista da elaborare in tanti modi, tutti deliziosi.

 

Nell’atto della raccolta riviviamo uno scorcio di antiche e quotidiane battaglie per la sopravvivenza, un magico rituale che risveglia in noi ataviche sensazioni e, in un attimo, fa tornare alla memoria immagini assopite della nostra infanzia. Il segreto è rallentare i ritmi, concedersi un po’ di tempo e guardarsi intorno: si scoprirà un mondo fatto di colori e profumi che possiamo catturare e conservare per arricchire le nostre tavole invernali.

 

Questa riflessione mi fa pensare alla mia cara amica Giovanna che per riposare la mente  e “staccare la spina” dalla complicata contabilità scolastica, anziché fare un massaggio rilassante, armata di cestino, andava per le montagne di Ortachis, Cubadda e Badde Salighes a raccogliere more. Il giorno dopo la passeggiata terapeutica, quasi sempre arricchita di fruttuoso raccolto, riprendeva il suo lavoro con più serenità. A fine stagione le marmellate e le gelatine erano oggetto di regalo, naturalmente con grande gradimento di tutti.

 

 

Il rovo non è solo utile per le sue proprietà salutistiche  ma gli inestricabili grovigli di queste barriere vegetali, con la loro inaccessibile impenetrabilità, nascondono e proteggono un mondo invisibile quanto meravigliosamente animato. Le siepi di rovo, autentiche foreste in miniatura, offrono, infatti, rifugio e protezione, vitto e alloggio ad un’infinità di insetti, di microrganismi, a diverse specie di uccelli, ad alcuni animali selvatici e a un discreto numero di piante erbacee che si insediano volentieri sotto di loro.

 

E pensare che sembrava una pianta inutile e fastidiosa!