Le talassemie (dal greco classico thàlassa, mare, ionico thalatta) sono un gruppo di malattie emolitiche croniche caratterizzate da una alterazione, geneticamente determinata, dell’emoglobina che causa modificazioni strutturali dei globuli rossi a cui consegue una loro maggiore fragilità, con rottura (emòlisi) degli stessi, deposizione di ferro nei tessuti, diminuzione della loro vita media e un insieme di complicazioni, legate a questi due eventi, che danno come risultato finale una riduzione del ciclo vitale di pazienti affetti da alcune di queste malattie.
L’emoglobina umana normale (Hb A 98% e Hb A2 > 2%) è una proteina coniugata composta da una parte proteica, costituita da quattro catene polipeptidi che (due chiamate alfa, e due beta negli adulti, due alfa e due gamma nella vita intrauterina, nei primi mesi di vita e in piccole quantità, anche negli adulti, con HbA2, emoglobina fetale appunto) e da un gruppo prostetico, chiamato Eme, composto da una proto porfirina e da Ferro bivalente (nell’insieme ferroprotoeme).
Le talassemie conseguono ad una modificazione strutturale (sequenza lineare di amminoacidi) di una delle catene polipeptidi, da cui deriva appunto il nome, di alfa, beta-talassemia, e altri nomi per le catene gamma, delta, epsilon, zeta, in rapporto alla catena proteica interessata dalla variazione. L’emoglobina si trova all’interno dei globuli rossi che, a loro volta, fanno parte della massa ematica che scorre all’interno dei vasi arteriosi e venosi. L’eritrocito è una delle 210 cellule specializzate del corpo che compone il tessuto ematico, cioè il sangue, come elemento corpuscolato, assieme ai globuli bianchi e alla piastrine.
La funzione dell’emoglobina è quella di trasportare l’ossigeno (nelle arterie) dai polmoni a tutte le cellule dell’organismo e, nel tragitto inverso (nelle vene), di trasportare l’anidride carbonica, catabolita della respirazione cellulare, dalle cellule ai polmoni, che provvedono alla sua eliminazione. Il globulo rosso ha una forma di disco biconcavo e un diametro medio di circa 8 micron (1 micon=1 millesimo di millimetro). Questa forma conferisce al globulo rosso una grande resistenza poiché l’urto continuo sulle pareti dei vasi è limitato alla piccola superficie della sua circonferenza.
Nei talassemici i globuli rossi sono più piccoli e di forma sferica. Il termine microcitemia, che viene usato per indicare i portatori sani della malattia, è riferito appunto alla dimensione ridotta degli eritrociti di queste persone rispetto alla stessa degli individui non portatori del carattere ereditario. Il cambiamento di forma degli eritrociti presenti nelle talassemie ne diminuisce la loro resistenza agli urti ed è la causa della rottura in circolo (emòlisi) con versamento del contenuto interno, costituito quasi interamente da emoglobina, nel torrente ematico.
Il ferro contenuto nell’emoglobina si deposita nei tessuti e, negli anni, vi si accumula causando una fibrosi degli organi e una conseguente alterazione funzionale degli stessi. La rimozione della parte restante del globulo rosso avviene nella milza che ha appunto la funzione di rimuovere dal circolo i globuli rossi invecchiati o danneggiati. L’emòlisi continua (cronica) accorcia la vita media dei globuli rossi che passano da un ciclo vitale medio di 120 giorni a un ciclo inferiore ai 30 giorni. Il midollo non riesce a ripristinare, attraverso l’eritropoiesi, il numero dei globuli rossi distrutto dall’emòlisi e per questo motivo i pazienti hanno necessità assoluta di frequenti trasfusioni ematiche.
Prima che si arrivasse alla pratica delle trasfusione tutti i pazienti affetti da Morbo di Cooley, o Talassemia major, morivano in tenera età. La beta-talassemia major è la forma più frequente, e una tra le più gravi, tra tutte le emoglobinopatie ed è la forma che ha l’impatto socioeconomico e sanitario più importante. Nel mondo intero la sua maggiore diffusione si ha nel bacino del Mediterraneo (Italia, Grecia, Turchia e Cipro) e nel Sudest asiatico (India, Vietnam e Cambogia). In Italia ci sono 7.000 talassemici e 3 milioni di portatori sani. Le regioni più colpite sono la Sardegna con circa 1.500 malati, la Sicilia con circa 1.300 malati e il delta del Po (Romagna e Veneto) con circa 700 malati. In Sardegna su 1.600.000 abitanti ci sono 1.500 malati cioè lo 0,09 % dell’ intera popolazione cioè poco meno di un malato ogni 1.000 abitanti.
I portatori sani (se così li potremmo chiamare) sono 300.000 cioè circa il 32 % di tutta la popolazione sarda; in altri termini 3 sardi ogni 10 sono microcitemici, cioè portatori sani di beta-talassemia major. In Sardegna il calcolo delle probabilità che si formi una copia a rischio, cioè formata da due portatori sani, è molto più altra che altrove: si calcola che una copia ogni 70 è a rischio perché formata da due portatori sani. Il gene che codifica la formazione della sintesi delle catene emoglobiniche beta (ma anche gamma, delta ed epsilon) è localizzato nel cromosoma numero 11, mentre il gene che codifica la formazione delle catene alfa (ma anche zeta) è localizzato nel cromosoma numero 16.
Oggi si conoscono più di 150 mutazioni del gene che causa la talassemia. La malattia si trasmette, seguendo le leggi di Mendel, come tutti i caratteri autosomici recessivi: si manifesta fenotipicamente solo nello stato omozigote cioè quando entrambi i genitori trasferiscono lo stesso carattere ereditario. In altri termini la prole nasce malata solo se entrambi i genitori sono portatori sani di microcitemia ed entrambi trasmettono alla prole il gene difettoso (stato omozigote) oppure se uno di loro è malato e l’altro è portatore sano ed entrambi trasmettono il gene alterato (stato omozigote). Il calcolo delle probabilità di trasmissione di un carattere ereditario recessivo, secondo le leggi di Mendel, è che due individui sani portatori di questo carattere possono concepire una prole per il 25% malata, il 50 % portatrice sana e per il 25% sana e non portatrice.
Ma le percentuali che scaturiscono dal calcolo delle probabilità non si sovrappongono a quelle che si verificano nella realtà. Da due individui portatori che concepiscono, per esempio, quattro figli potrebbe anche capitare che, in realtà, nascano quattro figli malati, oppure quattro figli portatori, oppure quattro figli sani ( e non, come le leggi mendeliane potrebbero suggerirci, un figlio malato -25%-, due figli portatori sani -50%- e un figlio sano -25%). Naturalmente nel caso di due individui malati il calcolo mendeliano delle probabilità coincide perfettamente con la realtà perché entrambi i genitori trasmettono obbligatoriamente il gene difettoso e quindi tutta la loro prole nascerà malata.
Da molto tempo è stato osservato che l’incidenza geografica della talassemia coincide con la diffusione della malaria e questo diventa molto evidente confrontando due carte geografiche su ciascuna delle quali venga rappresenta la rispettiva incidenza delle due malattie. Esiste quindi un rapporto tra l’incidenza della talassemia e la diffusione della malaria. Gli esperti del settore (epidemiologi, ematologi, specialisti di malattie infettive e parassitarie) sono concordi sulla conclusione che il gene che causa la talassemia viene selezionato nelle zone malariche perché lo stato talassemico conferisce una maggiore resistenza nei confronti della contrazione della infestazione malarica.
Si pensa che il fattore di protezione dipenda dalla notevole riduzione della vita media dei globuli rossi che non consente al plasmodio di completare il suo ciclo biologico interferendo nella fase schizogonia ematica dello stesso (ricordiamo che nel corso di questa fase del ciclo da alcuni merozoiti si formano i gametociti del Plasmodio) . Nel contesto attuale la talassemia potrebbe essere considerata come un postumo tardivo della millenaria presenza della malaria in Sardegna.
Teoricamente quindi, in assenza del più importante fattore positivo di selezione (la malaria,) i geni che causano le talassemie, non conferendo più un vantaggio selettivo ai loro portatori, dovrebbero, col tempo, scomparire dal patrimonio genetico dei Sardi. Quando compare una mutazione di un gene e questa rappresenta un vantaggio individuale la stessa si conserva nei discendenti e, successivamente, si diffonde andando a far parte del pool genetico di quella popolazione. Il gene mutato impiega molte generazioni per diffondersi negli individui che non lo posseggono e per i quali rappresenta un vantaggio selettivo.
Una generazione si può quantificare in circa trent’anni e quindi il tempo necessario affinché una mutazione favorevole si diffonda è molto lungo perché dura parecchie generazioni . All’ inverso, quando lo stesso gene non rappresenta più un vantaggio, il tempo della sua scomparsa dal pool genetico di quella popolazione è direttamente proporzionale a quello che fu necessario per la sua diffusione. Purtroppo , quindi,i tempi della genetica sono molto lunghi e il grave problema della talassemia è troppo contingente! Non si possono aspettare i tempi della genetica senza interventi terapeutici. L’arma più potente che oggi abbiamo a disposizione per combattere l’insorgenza della malattia è la prevenzione.
Preferibilmente la prevenzione dovrebbe essere preconcezionale. Quando ciò non è possibile si ricorre alla prevenzione post concezionale. In questo caso la una copia di portatori che concepisce un figlio malato può saperlo in tempi rapidi e scegliere consapevolmente se tenerlo o sopprimerlo nella fase iniziale della gravidanza. Ancora oggi l’intervento terapeutico più importante sui malati di talassemia major consiste nelle emotrasfusioni periodiche indicate dai valori dell’emoglobina che verranno praticate per tutta la vita del malato. Il sangue da trasfondere viene controllato accuratamente per rilevare l’eventuale presenza di agenti infettivi e in particolare di virus dell’epatite B e C e dell’ HIV.
In passato questi malati contraevano, attraverso le trasfusioni, molte malattie infettive che spesso complicavano la malattia di base e diventavano la causa della morte dei pazienti. Nel talassemico la terapia ferrochelante si accompagna sistematicamente alle trasfusioni e ha lo scopo di rimuovere il ferro che si deposita nei tessuti che è la causa delle più gravi complicazioni di questa malattia. Il depositi di ferro nei tessuti provocano una fibrosi degli organi e riduzione del loro funzionamento a tal punto da provocare alterazioni incompatibili con la vita. Queste modificazioni in passato e, in minor misura, ancora oggi rappresentano le più frequenti cause di morte. Gli organi maggiormente colpiti sono il cuore e il fegato.
L’unica terapia che attualmente può portare alla guarigione definitiva di questi malati è il trapianto di midollo osseo. La possibilità di successo del trapianto dipende dalla presenza o meno di complicazioni, in particolare cardiache e/o epatiche e da infezioni virali come quella da virus epatite B, C, D e da HIV. In assenza di complicazioni la percentuale di successo del trapianto raggiunge il 90% nei bambini e l’ 80% negli adulti. In presenza di complicazioni la percentuale di successo del trapianto scende al di sotto del 60%. Oggi, grazie alla prevenzione, il numero dei talassemici è in progressiva diminuzione.
La qualità della vita dei talassemici e delle loro famiglie è notevolmente migliorata grazie ai continui controlli, al progresso delle conoscenze e alla loro applicazione terapeutica, al sostegno, anche economico, da parte delle istituzioni. L’aspettativa di vita di questi malati è notevolmente migliorata poiché attualmente la loro vita media è di circa 40/50 anni, mentre nel passato prossimo era di circa 20/30 anni e nel passato remoto, in epoca cioè pretrasfusionale, superava raramente l’ anno di vita. La talassemia è una delle tante stigmate storiche della Sardegna. Liberarsi definitivamente e per sempre da questa vera e propria calamità non sarà tanto facile per il Popolo Sardo ma oggi siamo sulla strada giusta e in un futuro non molto lontano si perverrà finalmente anche a questo risultato.