91Sono loro: i Kenze Neke, la colonna portante del rock sardo. Il gruppo, capace di attirare migliaia di spettatori da ogni angolo dell’Isola – in occasione della reunion di Solarussa, nell’agosto scorso, dopo cinque anni di latitanza, sotto il palco c’erano oltre 15 mila persone felicissime di rivederli – vanta quattro album all’attivo: Naralu de uve sese, 1992; Boghes de Pedra, 1994; Liberos, rispettados, uguales, 1998; Kenze Neke, 2000; e canzoni ormai storiche come Zente, Che a sos Bascos e che a sos Irlandesos, Entula, Americanos a balla chi bos bokene. Làcanas ha intervistato Enzo Saporito: chitarra e voce della formazione siniscolese, nonché fondatore della band insieme al batterista Sandro Usai.

 

– Com’è nata l’idea dei Kenze Neke?

Sinceramente non me lo ricordo. So solo che alla fine degli anni ’80 suonavamo, con tutta l’intenzione di portare avanti un gruppo. Avevamo composto il brano Kenze Neke e, dato che ci piaceva, l’abbiamo scelto come nome. Con il materiale che avevamo in mano, abbiamo fatto subito il primo demo (Chin sas armas o chin sas rosas, 1990; n.d.r.). È andato bene e la cosa è venuta da sé.

 

– Quali sono i gruppi o le correnti musicali a cui vi siete ispirati all’inizio della carriera?

Per quanto mi riguarda ero un clashomane. Ma, essendo in tanti, ognuno portava le sue influenze. Il difficile è stato elaborare e dare dimensione a quel che avevamo messo nel calderone. Ci siamo riusciti e ne è nato un percorso musicale autonomo.

 

– Chi è su monkey della band?

In realtà nessuno. Su monkey è un incubo di giovinezza causato da sbronze eccessive. È il sogno di sentirsi una scimmia non solo durante, ma anche al risveglio dalla sbornia.

 

– Nella vita ci sono domande fondamentali, che ogni l’uomo, prima o poi, si deve fare: binu, birra, abba, abbardente o mirto?

Io tutta questa roba non l’ho ordinata e non la pago. Comunque: binu e birra.

 

– E da mangiare: pecora, agnello, procu, porceddu, craba o crabitu?

Su chi b’est.

 

– Avete puntato molto sulla rivalutazione delle minoranze schiacciate all’interno degli stati nazionali: pensate che questi popoli siano capaci di gestire da soli il proprio avvenire?

Qualunque popolo è capace di gestire il proprio avvenire, in relazione ai propri bisogni. Il problema è che bisogna avercela, questa facoltà di decidere. E oggi questa libertà non c’è. Esistono mille modi coi quali ti impediscono di scegliere il tuo futuro.

 

– Per esempio?

Per esempio un popolo ha il diritto di non essere colonizzato da un altro.

 

– Se potessi fare un regalo a Bush: cosa gli regaleresti?

Lo manderei aff… Ma credo che il mio regalo non gli arriverebbe, perciò non vale la pena nemmeno spendere i soldi della spedizione.

 

– È giusto dire che negli Stati moderni le leggi, tanto economiche quanto quelle che regolano la società civile, costringono l’umanità in due partiti: padroni e servi?

Padroni e servi ci saranno finché sarà in piedi il capitalismo, che si sviluppa secondo i termini dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Solo così può sopravvivere, anche se ce la raccontano in un altro modo. Perché esistano i ricchi è necessario che ci siano i poveri e che il lavoro sia sottopagato, perché qualcun altro intaschi il profitto al posto del lavoratore.

 

– Spesso avete rimarcato nei testi il fatto di dover porre mano a questa situazione di oppressione. Ma come si fa la rivoluzione?

Ci vuole una presa di coscienza. Bisogna capire la realtà sociale, sviluppare la propria cultura, informarsi e informare. Per fare una rivoluzione serve gente preparata, che non si arrende e lotta per i propri scopi, consapevole delle difficoltà che si possono presentare. Personalmente sono per una società comunista che parta dal basso.

 

– Esiste per te una società sarda ideale? Quali valori pensi sia giusto trasmettere ai giovani isolani?

Potrebbe esistere, ma non può esserci un’isola felice in un mondo infelice. Per ottenere risultati ci vuole una lotta internazionale: ognuno lotta nella propria terra, guardando al mondo. Ai giovani sardi direi di lasciar perdere l’individualismo sfrenato, perché non è la strada giusta per vivere e costruire una società civile.

 

– A voi va dato il merito di aver riportato nelle piazze i giovani sardi, a urlare a squarciagola nella nostra lingua madre: pensi che la rinascita dell’identità sarda e della Sardegna passi per la riscoperta del suo patrimonio linguistico o si può fare a meno del sardo?

La musica è un ottimo strumento per comunicare, per difendere la nostra vitalità, ma spero che, oltre a urlare ai concerti, la gente pensi. La rinascita passa per la riappropriazione delle nostre risorse culturali, che nonostante una disgregazione sociale marcata, sono ancora molto valide. Parlo di radici linguistiche, artistiche e espressive a qualsiasi livello. Così, dobbiamo riappropriarci delle risorse economiche, sfruttando le nostre vere potenzialità, disfandoci di chi gestisce il potere e mettendo in piedi una classe dirigente preparata. Credo che si possa camminare, se oltre alle gambe c’è una testa. Io sono per il sardo parlato come lingua primaria. È diritto di ogni popolo utilizzare la propria lingua, a scuola e dappertutto. Non vedo perché questo non debba avvenire per il sardo.

 

– Avete progetti per il futuro: a cosa state lavorando?

Siamo reduci da un concerto a Berlino, contro il G8, e dalla partecipazione a sa festa de is traballadoris a Foresta Burgos. Ora stiamo lavorando su un progetto acustico con gli Askra: KNA, con un repertorio misto di brani delle due band e alcune cover. Per i Kenze Neke, a dire il vero, non abbiamo ancora un piano strategico. A giugno esce il secondo volume del cd-dvd Arziati Entu, registrato a Solarussa, e sono in uscita altri due cd, acustici, registrati a Selargius e Marrubiu. Penso che per un po’ bloccheremo i live. Suoneremo esclusivamente per solidarietà, senza cachet e solo se la manifestazione è di nostro gradimento. Prima di riprendere i concerti dobbiamo mettere in piedi una nuova produzione. Da settembre ci rintaniamo in sala prove, poi si vedrà. Qualcosa c’è già, ma è ancora da elaborare. È tutto in fase embrionale.

 

– Saranno i vecchi Kenze Neke?

Sì, sempre i vecchi Kenze Neke.