Mi piace iniziare la descrizione di questa erba specificando che le piante non sono che una delle tante espressioni dinamiche e mutabili di un tutto misteriosamente grande. Possono diventare  un potente anello di collegamento, una delle innumerevoli porte d’accesso all’infinito, magico e sotto certi aspetti misterioso mondo astratto della Natura. Il rapporto tra l’uomo e il mondo vegetale è sempre stato molto profondo in ogni tempo e in ogni luogo; le piante e le erbe sono state fornitrici di cibo, di medicinali, di armi, di materiale da costruzione…insomma di tutto ciò che è necessario alla vita di una comunità. Osservando i significati che alcune piante ricoprivano nell’antichità notiamo lo stretto legame tra fitoterapia, credenze religiose, magia e folklore: questo ci permette di capire più a fondo la potenza del legame tra l’essere umano e le piante.

 

Chi si avventura anche solo per pura curiosità nel paradiso della fitoterapia, attraverso l’incanto dei colori, dei sapori, degli aromi e dei silenzi è invogliato e trascinato, senza accorgersene, a studiare e scoprire sempre più appassionatamente i segreti di questa officina verde che opera nel mondo segreto delle linfe e delle foglie. Questo è accaduto a me quando, per trovare un rimedio ai malanni di babbo Bruno, l’ho aiutato nelle ricerche, non senza un pizzico di scetticismo. Lo studio poi diventa fascinoso quando emerge la ricerca di sé, complice il mondo delle piante, laddove un profumo o la forma di una foglia si caricano di voci lontane, di volti scomparsi, di credenze popolari, di modi di dire.

 

Ma eccomi, finalmente, a far conoscere  questa meravigliosa  amara e spinosa erba medicinale.A Nuorola chiamiamo Cardufreu o Cardu ‘e corte, in Logudoro Aldureu, a Oristano Cardu tufu, a Isili: Cardu tuvùdu, a Tempio Caldu ruiu.

 

È una vigorosa pianta biennale spontanea conosciuta e utilizzata da Greci e Romani. Cresce in terreni fertili e preferibilmente calcarei, anche sassosi, campi abbandonati, pascoli, macerie e ruderi dal mare alla montagna. Al primo anno produce una rosetta di foglie verdi, lucide, con la superficie macchiata di bianco, il margine ondulato e variamente dentato, con lobi triangolari terminanti con una robusta spina; al secondo anno emette luminosi e imponenti fiori color porpora  su un alto fusto. La fioritura avviene durante l’estate. Il frutto è un achenio ovale-oblungo, di forma schiacciata e di un bel colore nero brillante con venature gialle.È parente stretto del carciofo e degli altri cardi anche coltivati.

 

Di questa pianta si utilizza tutto: la radice, le foglie, i fusti, i capolini e ultimi, ma non per importanza, i semi ( che in passato erano anche utilizzati, tostati, come surrogato del caffè).

 

 

Componenti principali dei semi:

Flavolignami: silimarina ( miscuglio di silibina, silicristina, silidiamina)

Flavonoidi: taxifolina, quercitina

Olio essenziale, lipidi, tiramina, istamina

Vitamina C, E, K

Nelle foglie e nelle radici sono presenti anche potassio,calcio, magnesio, manganese e fosforo.

Attività farmacologica: epatoprotettiva, aperitiva, digestiva, colagoga, ipertensiva.

Indicazioni terapeutiche: epatopatie, degenerazione grassa del fegato (steatosi), epatiti virali, intossicazioni epatiche, anoressia, turbe circolatorie venose, emorroidi da stasi portale, varici, ulcere varicose, ipotensione arteriosa, epistassi, metrorragie.

Posologia:

Decotto : in mezzo litro d’acqua fredda 2 cucchiai di semi. Far bollire, a recipiente coperto, per 5 minuti. Riposo un quarto d’ora. Filtrare e berne  2- 3 tazze al giorno. Oppure, se non si ha tempo per  preparare la tisana, si prendono 40 gocce di Tintura Madre la mattina, il pomeriggio e la sera, in poca acqua, prima o dopo i pasti nella cura dei disturbi epatici e nelle digestioni difficili.

Enolito: per stimolare l’appetito e combattere l’aerofagia si prende un bicchierino di vino rosso mezz’ora prima dei pasti; questo si prepara mettendo a macerare50 grammi di foglie e semi in un litro di buon vino rosso per 10 giorni.

Questo cardo è conosciuto fin dall’antichità per le sue proprietà curative e protettive epatiche e ora, attraverso studi farmacologici e clinici, iniziati negli anni Sessanta, è confermato il suo tropismo epatico e la sua indiscussa azione rigeneratrice del fegato. Infatti la Silimarina impedisce al fegato di assorbire le sostanze tossiche alle quali sempre più siamo esposti, oltre a stimolare lo stesso ad eliminare quelle già assorbite. Questo consente una disintossicazione e un miglioramento dello stato salutare sia del fegato sia in generale, compresa la risoluzione di molti problemi di pelle, di stanchezza cronica, ecc.

 

Tra le tante proprietà  ricordiamo anche quelle colagoghe ( favoriscono la produzione della bile) e galattogene (favoriscono la formazione del latte).

 

Il nome botanico Silybum deriva dalla parola greca “silybon” che significa ciuffo per via del fiore ciuffoso; mentre marianum  fa riferimento alla leggenda della Madonna, la quale nella fretta di nascondere Gesù dalla persecuzione di Erode, avrebbe perso qualche goccia di latte, macchiando le foglie del cardo.

 

La radice è un vero e proprio ortaggio. Si può lessare, dopo averla pulita, consumandola alla stregua di carote e rape. Anche le foglie fresche più tenere e dolci possono essere bollite e utilizzate come gli spinaci e le bietole. I fusti si sbucciano con attenzione per ricavarne il midollo, che si utilizza crudo e cotto in tanti modi. Le parti morbide del cardo mariano, opportunamente condite, si prestano bene alla conservazione sott’aceto e sott’olio.

 

Con il decotto di cardo mariano si fa un’ottima tintura per colorare lana e cotone, che risulteranno di un bel colore giallo dorato.

 

Perché non allontanarsi dal centro abitato e si va per erbe? Perché non rivivere per qualche istante un’esperienza, quella del raccoglitore, che pur essendo scritta nel DNA di ogni essere umano, è spesso avvilita dalle circostanze ambientali, ma ancora di più dalla pigrizia in cui cade ciascuno di noi, avendo tutto a portata di frigorifero o di dispensa? Perché non dedicare qualche ora delle ferie o dei fine settimana ad una attività in virtù della quale, oltre a prendere una boccata d’aria, godere da vicino la singolare bellezza e il profumo intenso di molte erbe e fiori, ci si può riappropriare dei gusti quasi dimenticati o mai conosciuti?

 

Cucinare ciò che la terra ci dà spontaneamente significa conoscerla, valorizzarla e ringraziarla per questo grande dono, stare bene con noi, con gli altri e con l’ambiente che ci circonda. Questi profumi e sapori inebrieranno il cuore e la mente con dolci e ancestrali melodie gastronomiche, le stesse che con ogni probabilità erano apprezzate dall’antico popolo nuragico.