Telti, paese gallurese a pochi chilometri da Olbia, ha visto nascere nel 2003 il gruppo folk Li Frueddhi Tiltesi, sorto per volontà della Pro Loco durante la sagra del mirto che si svolge nel mese di agosto.

Frueddhi, in gallurese, significa germogli, gemme. Una metafora che ben rappresenta il gruppo, inizialmente composto da diciotto bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni. Venuto alla luce come gruppo minifolk, attualmente la formazione coinvolge persone di tutte le età. Vero e proprio factotum del gruppo è Anna Maria Giagheddu che si occupa della cura dei balli, delle coreografie e insegna i passi. Li Frueddhi  presentano un ricco repertorio di ben 16 coreografie: Lu Scotis tiltesu (ballo tipico della Gallura, pare proveniente dalla Scozia, che però racchiude nella coreografia due diverse teorie tipicamente teltesi) Lu dillu, Lu baddhitu, Lu passu turratu a stella, Lu baddu a passu, Lu baddu di l’otu, Lu baddu tundu, Lu baddu di salutu a dui passi, Lu baddu tzopu, Lu badditu minori, Lu tre passi, Lu passu, Lu baddu di li ciocchi, Lu badditu a tre, Lu passu turratu a tre, Lu baddu di salutu a tre, Lu baddu di salutu a tre passi. In questi anni di attività de Li Frueddhi Tiltesi sono state numerose le partecipazioni alle feste paesane e campestri, ad eventi televisivi e a diversi festival del folklore sardo. Tra le apparizioni più prestigiose ricordiamo quella del 2005 presso il circolo Coghinas nel Canton Ticino in Svizzera, in rappresentanza  della Sardegna, e la partecipazione al Festival Internazionale del Folklore a Pineda del Mar in Spagna nel 2010 e a Praga nella Repubblica Ceca nel 2012.

Il costume indossato dal gruppo è un abito pregiato, quello dei momenti di festa: lu ‘istiri di Mua, il vestito della domenica, utilizzato dai teltesi nella seconda metà dell’800 e nei primi del ‘900. Un accurato lavoro di ricerca partito nel 2004 e ancora in atto, ha portato alla ricostruzione dell’antico costume locale, grazie al prezioso contributo degli anziani del paese, da sempre eccellente memoria storica dei nostri centri. Dall’indagine etnografica sono emersi elementi utili al rifacimento di vari modelli di abbigliamento antico, femminili e maschili. Caratteristica principale del costume femminile è il fatto che venisse confezionato singolarmente in base alle stoffe a disposizione e a seconda delle possibilità economiche della famiglia. È costituito da moltissimi elementi: lu ghjponi, una sorta di giaccia in damasco o broccato con colori scuri, la faldeta, una gonna lunga sino alle caviglie della stessa stoffa e colore del ghipponi, lu micalori di capu, il fazzoletto da testa da indossare sempre, la faldeta a capita, una sorta di gonna da indossare sulla testa per ripararsi dal freddo o per andare in chiesa, alle processioni o in visita ai malati. E ancora lu trinzeddu, sottogonna bianca in lino o cotone, li mutandi a calzuneti, mutandoni lunghi sopra il ginocchio, pultichesa, una tasca da portare sotto la gonna legata alla vita. Particolarità di questo costume è anche il colore, presente in diverse varietà cromatiche differenziando un abito dall’altro in maniera quasi soggettiva: granatu, culori di ramu o di caffè, veldi d’ulia, culori di rena.

Il vestito maschile, in velluto liscio o rigato, nero, marrone o verde oliva scuro è invece formato da la camisgia, camicia bianca in cotone o lino con delle pieghette caratteristiche sul davanti parallele ai bottoni, colletto alla coreana, maniche non sbuffanti. Li calzoni, pantaloni lunghi sino alle caviglie, lu cansciu gilet dello stesso tessuto dei pantaloni e la casacca a la cacciatora, una giacca con tascone sulla parte posteriore. Esistono, inoltre, tre tipologie di copricapo: lu simbreri, la cicìa e la barretta. L’abito giornaliero maschile, interamente ricostruito, si differenzia da quello festivo per il tipo di stoffa utilizzato, il fustagno (lu frustanu). Inoltre, al posto della casacca alla cacciatora, si indossava lu gabbanu, una mantella in fresi orbace con o senza maniche. Si è lavorato anche al recupero dell’abito giornaliero femminile da lavoro, da massaia, in tileta, nero con piccoli fiorellini bianchi, costituito ugualmente da faldeta e ghiponi realizzati però in modo semplice e pratico per non essere di intralcio ai lavori domestici. Sulla testa veniva sistemato un fazzoletto di tela bianca chiamato cenciu o micalori a seconda della postura oltre ad una cappitta in tessuto più leggero.

Si è provveduto anche alla ricostruzione di lu ’istìri di sposa, abito da sposa, da un originale del 1915 concesso gentilmente da una famiglia teltese.

 

 

Vistìri nieddu bonu e anche Vistìri di batìa (da vedova)

Abito in broccato damasco nero formato da:

Ghjponi: semplice, liscio, abbottonato davanti con bottoni rivestiti, con colletto basso, tagliato in vita con bulàina, volant dalla vita che poggia sulla gonna; maniche poco sbuffanti con polsino a bottone.

Faldeta: gonna lunga fino alla caviglia, ingrisputa chiusa sulla vita con una fascia chiamata trinza abbottonata con ganci o bottoni ai 2 lati che crea l’arricciamento della gonna. Presenta due aperture corrispondenti alle cuciture laterali, sorta di tasche per permettere l’ingresso delle mani ed arrivare alla pultichesa (tasca sottostante legata alla vita).

Non presenta né balza in basso né piegone in quanto capo semplice, usato dalle vedove con il fazzoletto nero ma non solo, anche come abito buono con abbinato un fazzoletto chiaro.

Sull’orlo è presente inoltre lu spazzulinu, sorta di battitacco per rallentare l’usura del bordo. Prevede la capita o lu scialdu, scialle in seta nero con frange lunghe di seta.

 

 

Vistiri di ’agghiana pussidenti

Abito da signorina benestante, usato anche come abito da sposa.

Lu ghiponi prevede una finta camicia in tessuto di randa, pizzo valançè o sangallo color crema, attaccata a livello del collo, e viene chiuso sul davanti dai bottoni, con scollatura a triangolo al di sopra del seno. Modellato con vita stretta, con maniche sbuffanti in alto, stretto sul gomito e largo di nuovo sul polso con finitura in randa uguale alla finta camicia.

Su tutti i bordi compare una passamaneria nera in base alle possibilità economiche (questo vale anche per il tipo di randa); presente sul piegone della gonna a circa30 cmdall’orlo della gonna.

La faldeta non è ingrisputa ma a pigghj manni, piegoni che vanno via via riducendosi dalla parte anteriore verso la parte posteriore in cui si concludono con una coda, senza strascico.

Prevede il fazzoletto chiaro e non la capita.