Làcanas prosegue il suo viaggio nella Sardegna musicale con i protagonisti del mondo musicale contemporaneo della nostra isola. Abbiamo incontrato un docente del conservatorio di Cagliari che vive la musica e la insegna con gli occhi che guardano al passato per viverlo nel presente, sia nella sua essenza globale che territoriale. Emilio Capalbo, nato a Cagliari nel 1968, diplomato in Organo e Composizione Organistica presso il Conservatorio di Cagliari nel 1988, dove ha studiato con i Maestri Nano, Nosetti, Dal Bianco e  Scarpa, è titolare dal 2000 della cattedra di Armonia, Contrappunto, Fuga e Composizione presso il Conservatorio di Cagliari. Si occupa attivamente sia di musica contemporanea che di popular music, sia come musicista-compositore che come didatta.

 

Dal 1990 al 1995 è stato componente della formazione cagliaritana dei Dorian Gray, con i quali ha inciso due album (Shamano e Matamoros), ha svolto una tournée in Cina, due in Svizzera e numerosi concerti in varie città della penisola (Bari, Firenze, Genova, Napoli, Milano, Parma, Rimini, Roma, Torino, Trieste, Venezia) e ha registrato un video andato ripetutamente in onda su Videomusic e alla Rai.

 

Dal 2004 tiene i corsi di Storia della Popular Music e Tecniche di composizione musicale pop nei trienni e bienni specialistici del Conservatorio.

 

– Popular Music ed altri generi musicali. Quali i confini della musica e quali gli incontri?

Penso che i confini della musica stiano solo nelle definizioni che le vengono date per esigenze di praticità. La musica è da sempre libera espressione di sé, dettata da input esterni (religiosi e laici). Il fatto che un tipo di musica venga chiamata popolare o colta è già indicativo di come l’utilizzo dei termini abbia una connotazione talvolta snobbistica o tal’altra semplicistica. Il confine appare significativo all’ascolto, da un punto di vista stilistico o di poetica. Ma allo stesso tempo mi pare altrettanto labile, in quanto i punti d’incontro cercati dai compositori attivi in un ambito con le poetiche dell’altro ambito si sono rivelati piuttosto forti.

 

– Il Conservatorio di Cagliari istituirà l’indirizzo di studio della Popular Music in Composizione. Quali prospettive, quali indagini artistiche si annunciano per i  musicisti che vogliono intraprendere questi studi?

Questo corso si prospetta come una delle sfide più interessanti che il Conservatorio si appresta ad affontare. Da una parte la musica di consumo, spesso considerata di serie B da chi coltiva la musica classica, entra direttamente nel segmento di studi di tipo universitario, dall’altra musicisti pop e rock praticanti, con esperienza di tipo pragmatico, affronteranno la musica che rappresenta il loro pane quotidiano da una nuova prospettiva, più organica e organizzata. Mi sono impegnato perché questo corso potesse prendere il via, supportato da gran parte dei colleghi e dal direttore: mi sembrava giunto il momento che il Conservatorio aprisse le proprie porte all’ultima branca della musica rimasta senza voce al suo interno!

 

– Nella sua vita artistica ha partecipato a diverse formazioni che hanno spaziato dal classico al rock. La musica, come ha affermato Daniel Baremboim, educa all’etica e all’estetica l’animo umano. Anche l’anima della musica rock e della popular music offrono queste prospettive?

Certo! Il facile accostamento rock-violenza (o delinquenza, droga, maleducazione) è in parte giustificato dalla sua stessa storia. Ma altrettanto ovviamente (per chi conosce bene il fenomeno) questa connotazione, che ha a che fare più con l’aspetto sociologico della musica che con la musica stessa, nulla toglie agli esiti artistici di tale parabola musicale. Nella cultura occidentale la musica è sempre stata specchio fedele del tempo in cui viene composta. La parabola del rock, iniziata negli anni ’50, ha fotografato i cambiamenti della nostra società negli ultimi 70 anni; cambiamenti che hanno riguardato costumi, rapporti interpersonali, visione del mondo, scenari internazionali di pace e guerra, tecnologia. Visto in quest’ottica, il rock può portare chi lo suona e chi lo ascolta a sublimare il racconto (nudo e crudo o parafrasato) della realtà in un brano, album o genere, che ne sia la rappresentazione artistica.

 

– Ha partecipato al primo tour in Cina con la prima band, se non mondiale europea, a esibirsi in anni difficili della storia contemporanea. Ci racconta alcune vicissitudini e aneddoti di questa incredibile esperienza?

Sarebbero tanti. Era il 1992, e furono tre settimane intense da ogni punto di vista, a contatto con una cultura diversissima dalla nostra. Sono particolarmente legato ai ricordi delle nostre sei esibizioni (a Pechino, Shanghai e Suzhou), tutte in teatri o palazzetti dello sport sempre gremiti. Un ricordo particolare che spiega tanto del potere comunicativo del rock è legato al brano La pantera, con testo in italiano come tutti i nostri brani. Lo eseguivamo nella parte terminale dello show, e sino a quel punto il pubblico sembrava apprezzare la nostra musica (non capendo niente dei testi), ma con poco coinvolgimento emotivo, limitandosi ad applaudire al termine di ogni canzone. A circa 2/3 del brano c’era un intermezzo basato sulla ripetizione delle sillabe sa-sa-sa-e, ritmate su una base costituita dalla sola batteria; come per incanto il pubblico cominciava a urlare sa-sa-sa-e a tempo con noi, si alzava dalle sedie e iniziava a dimenarsi!

 

– Spesso in alcune riviste musicali appare il detto Il Rock è Morto o Il jazz è morto, ecc. L’umanità ha forse perso il fervore dell’indagine musicale o della creatività e sperimentazione?

Non penso che l’abbia persa. S’è diffusa forse l’idea che sperimentare strade nuove sia inutile. Mi pare che l’idea di mettersi in discussione per cercarle spesso si scontri con la sensazione (spesso coincidente con la realtà, putroppo) che non ci siano reali sbocchi perché tali idee possano essere condivise. Anche questo è uno specchio dei tempi, e la musica inesorabilmente e implacabilmente fotografa tutto.

 

– Cosa è per lei la musica?

Il mio lavoro, la principale passione nella vita, il mio principale hobby. In effetti, svolgendo la mià attività di insegnante o di esecutore, non ho la sensazione di essere al lavoro, e spesso attività musicali che faccio con lo spirito dell’hobbysta sono retribuite. È la disciplina che pratico da sempre e ha sempre accompagnato le mie giornate, i miei studi, il mio tempo libero: il miglior modo che potessi immaginare per guadagnarmi da vivere.

 

– L’arte e la musica salveranno l’umanità dalle meschinità dell’esistenza?

Non credo. Ma credo anche che un’esistenza che tragga gioia e passione dall’arte e dalla musica non arrivi a essere meschina.

 

– Un suo sogno?

Che i musicisti di qualsiasi genere trovino o mantengano la voglia di fare musica e trovino o non perdano gli spazi a loro disposizione per trasmettere le loro idee e le loro emozioni.