Dal 2007, con la pubblicazione di La bella di Cabras (1887), la collana Scrittori sardi della CUEC si arricchisce di un nuovo protagonista: Enrico Costa (1841-1909). La sezione a Lui dedicata è un’iniziativa di Giuseppe Marci, professore di filologia Italiana all’Università di Cagliari, dal Centro di Studi Filologici Sardi e da “giovani studenti che compiono i primi passi nel cammino della ricerca” come si legge nell’Introduzione di Marci a La bella di Cabras.
Stupisce positivamente la scelta di affidare il lavoro a “studenti universitari, laureandi delle Lauree di vecchio e nuovo ordinamento, tirocinanti, iscritti ai Master che hanno per oggetto la letteratura, la filologia, la linguistica e la storia della Sardegna”, come si legge ancora nell’Introduzione. La decisione d’investire studenti alle prime armi di un compito così importante nasce dalla necessità di valorizzare il lavoro di ricerca compiuto per le tesi. Studiando filologia, è determinante “toccare con mano” l’attività del filologo, cimentarsi nella edizione del testo.
I curatori hanno avuto a che fare con uno scrittore di cui esiste già una edizione a stampa e quindi non con un manoscritto, come spiega Pasquale Stoppelli, docente di filologia Italiana all’università La Sapienza, per la presentazione di La Bella di Cabras e dei Racconti (1887) il 26 giugno 2008 nella la facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Cagliari. Un problema filologico quindi forse “minore” ma che li ha visti alle prese con una lingua, quella ottocentesca, differente dalla nostra: un italiano che solo da circa un secolo era divenuto lingua di cultura.
Un lavoro metodologico, quello degli studenti, che prosegue tutt’oggi. Finora sono state pubblicate: La Bella di Cabras a cura di Giuliano Forresu; i Racconti a cura di Elena Casu, Melanie Salis e Francesca Sirigu nel 2008; la Guida-racconto. Da Sassari a Cagliari e viceversa a cura di Simona Pilia nel 2009 e l’opera destinata a più larga celebrità Giovanni Tolu. Storia d’un bandito sardo narrata da lui medesimo a cura di Antonella Congiu, Manuela Erriu, Luisa Ornella Secci, Elisabetta Serri e Francesca Sirigu nel 2011.
Il progetto, oltre ad avere il merito di chiamare in causa soggetti altri rispetto ai soliti addetti ai lavori, offre la possibilità di far conoscere una personalità a tutto tondo quale era Enrico Costa. Romanziere, storico, autore di racconti, poesie, romanzi, libretti d’opera, fondatore e direttore di periodici, il più famoso dei quali è La Stella di Sardegna. Un uomo di cultura, profondamente sardo ma dal respiro europeo. È stato il primo ad introdurre in Italia un nuovo genere narrativo mediante la traduzione in italiano dal francese del racconto poliziesco L’assassino di Albertina Renouf di Henry Rivière nel 1879, “anticipando di sette anni – come spiega Marci in Minori e minoranze tra Otto e Novecento. Convegno di Studi nel centenario della morte di Enrico Costa (1841-1909) – quel 1886 in cui Arthur Conan Doyle avvia con A Study in Scarlet la storia investigativa del suo eroe Sherlock Holmes e, insieme, quella del giallo europeo”.
Si diceva profondamente sardo. Fervido sostenitore di un’identità e di una terra. In Paolina, primo romanzo pubblicato nel 1874, il Costa si dissocia da chi parla male della Sardegna: “Individui insomma che, spacciandosi per uomini di alto affare, di vasta cultura e d’inarrivabile intelligenza, si atteggiano ora a maestri, ora a severi giudici di un paese, di cui ignorano il più delle volte la storia, le tradizioni, le tendenze e la stessa geografia”. In Rosa Gambella. Racconto storico sassarese del secolo XV (1897) Costa afferma: “È inesatto quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia. La storia ce l’ha ma è ignorata o non fu scritta. Non vi ha popolo senza storia; le storie si somigliano tutte, in fondo esse non compendiano che una serie di lotte, più o meno fortunate, fra oppressi ed oppressori, deboli e potenti!.
È nell’ottica di chi dimostra di essere non soltanto scrittore ma storico e antropologo, che bisogna leggere le numerose digressioni storiche e folcloristiche che costellano le opere di Enrico Costa. Nel Giovanni Tolu dichiara “rinunziai a scrivere un lavoro d’arte e decisi di riportare fedelmente la confessione del Tolu, seguendo l’ordine da lui tenuto, e servendomi quasi sempre de’ suoi modi di dire. La storia del vecchio bandito (sebbene più prolissa e forse più noiosa) potrà così conservare tutta la natia semplicità, tutto il colore locale, e quella vergine impronta che darà maggior risalto al carattere del tempo, degli attori e degli ambienti. Mi limiterò ad apporre qua e là qualche breve nota appiè di pagina, quando la crederò necessaria”. “In realtà –sono sempre parole dello scrittore – infliggerò al lettore alcune pagine di storia sui banditi sardi in genere, e su quelli del Logudoro in ispecie”. Egidio Pilia, in La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella, in cui è contenuta la bibliografia del Costa, sostiene: “Il Costa rimane fedele a quella singolare tradizione della letteratura sarda, per cui la formula narrativa manzoniana della storia messa al servizio dell’arte, viene capovolta. Per […] lui l’arte è messa al servizio della storia”.
Nelle opere di Costa esiste il continuo dilemma fra racconto ed informazione storico – etnologica. Così in Guida racconto Da Sassari a Cagliari e viceversa (1902) che si prefigge di essere la narrazione di un viaggio in treno, lo scrittore descrive il nascere di una passione amorosa tra due viaggiatori. L’impegno e la dedizione hanno contribuito alla nascita di un’opera meravigliosa.