Nei giorni scorsi, a Graglia, all’interno della rassegna “Vita d’Artista”, organizzata all’Hortus otii”, in via Canale, 3, nella suggestiva cornice di un’antica casa dalla caratteristica architettura biellese, si è svolto il primo dei trenta appuntamenti quotidiani che cadenzeranno il mese di luglio in alta Valle Elvo.
Alla serata inaugurale, affidata al vicesindaco di Graglia, Giulio Chiavenuto, ha fatto seguito la partecipatissima conferenza con l’etnologo Battista Saiu, per parlare “Nel nome del pane”, il cibo più importante dell’alimentazione umana, realizzato – a seconda delle località – con diversi cerali: frumento nelle zone più calde del bacino del Mediterraneo; miglio nei climi più freddi, con ciclo produttivo breve di soli 2-3 mesi, o “biava”, segale; entrambe le varietà crescono su terreni poveri, come i terrazzamenti drenati di montagna: caratteristici gli incolti delle valli biellesi e quelli coltivati a vite in Valle d’Aosta.
Durante la serata è stata presentata un’ampia carrellata di immagini di pane festivo quotidiano e alpino e di Sardegna, azzimi e lievitati. Realizzati con gli antichi ferri, hanno fatto bella mostra di sé le miasce della Bürsch che, nel fonema, conservano la radice dell’antica origine che rimanda al miglio: “milljantscha”, “mélletsche”, “mijacci”, presso le popolazioni vallesane; detti anche: “kanestri”, a Issime; “kanòschtrélle”, a Gressoney; “canestrèi”, in Valsesia. Associati alle miasce, sono noti i “canestreij” prodotti a Biella da diverse pasticcerie come due sottili ostie colorate con cacao, accoppiate da uno strato di cioccolato fondente.
Nello stemma comunale di Miagliano è raffigurato un mannello di tre spighe di miglio, dai cui semi si ottengono farine per le “miasce”, il “panicum miliacijs” delle antiche cronache biellesi, pane azzimo che prende il nome dall’ingrediente principale che lo compone. Castagne e stiacciatine di miglio o di altre farine erano l’alimento principale dei Valìt.
Dalla grande Isola, ricca di una tradizione con almeno settemila anni di storia, risalente ai primordi della diffusione della cultura cerealicola nel Bacino mediterraneo, sono arrivati fino a noi alcune migliaia di tipi di pane diversi per foggia o per nome. A Graglia sono stati presentati alcuni pani a forma di corona o diadema, sempre presenti nei matrimoni tradizionali sardi. L’uso di incoronare, come eredità del mondo antico, si manifesta attraverso rituali che segnano momenti importanti della vita, feste o semplici banchetti. In passato, diversi elementi potevano essere usati per cingere il capo: serti di alloro, di ulivo o di mirto, per i maschi; ghirlande di fiori, particolarmente rose, per le fanciulle; fiori d’arancio nel caso delle spose saracene; per i Cristiani, il fiore d’arancio nelle ghirlande nuziali significa purezza, castità e verginità; nel mondo greco, è un emblema di Diana, perché le arance erano ritenute le mele d’oro delle Esperidi.