Capeddu o berrita? Nel paese immortalato dai dipinti di Cesare Cabras e dalle celebri tele di Biasi, Sini e Mario Mossa Demurtas il cappello, anzi il sombrero (su sombreri) è l’elemento distintivo del costume tradizionale maschile. Un tempo ammirato da tutti, oggi è imitato da decine di gruppi sardi che stanno abbandonando sa berrita per sfoggiare il cappello-sombreri.

 

A Teulada questa moda nacque nel XVII secolo quando insieme alla originale berrita si diffuse l’uso del cappello ad ampie tese, di provenienza spagnola. Il Barone di Teulada, insieme al culto per il madrileno S. Isidoro, importò  un nuovo modo di vestire. Scrive Ovidio Addis, archeologo, storico e letterato fra i più importanti della Sardegna: “Disegnò il nuovo costume e non dimenticò il sombrero e l’alto colletto candido e decorato come un bassorilievo; bordò di rosso i pantaloni neri accorciandoli a campana e, per essere più eleganti, vi aggiunse tante pieghe, come un ferraiuolo. Cinta, corsetto, camicia, sono accordi di colore, di proporzione, di buon gusto. Da allora, questo fu il costume teuladino, molto diverso da quello del Sulcis e del resto dell’isola”.

 

Per tanto tempo, tuttavia, rimase immutato anche l’utilizzo della berritta, un copricapo pieno di fascino, confezionato con orbace nero ed indossato nei modi più vari: calzato sul capo con l’estremità lasciata cadere dietro le spalle, oppure su un lato ed in qualche caso ripiegata e poggiata sul capo. Il modo d’indossarla dipendeva un po’ dalla provenienza degli abitanti di Teulada, i quali, com’è noto, ripopolarono il paese emigrando da diverse località dell’isola, soprattutto dal Nuorese. Ma il cappello era un segno di distinzione importante. Probabilmente serviva a caratterizzare l’appartenenza alle classi più agiate, dapprima quelle che facevano parte della ristretta cerchia degli amici e dei primi sottoposti del feudatario. Le loro case erano state edificate intorno al Palazzo Baronale ed alla Chiesa della Madonna del Carmine  e, un poco più distanti, lungo Sa Ruga Deretta.

 

Gli uomini con sa berritta, invece, avevano le loro modeste casette a Padenti ‘Onu, Laus de Arriu o nei tanti salti del territorio. Nella scala sociale erano ultimi, in un rigoroso ordine costituito da pastori, artigiani, commercianti ed infine i contadini. Alla caduta del sistema feudale, ma forse un pochino più tardi, intorno alla metà del 1800, furono sempre più numerosi i Teuladesi, forse per festeggiare l’attenuazione della rigida scala gerarchica, imposta dall’economia locale, ad indossare il cappello. A partire dal 1900 quelli con sa berritta furono sempre di meno.

 

È il periodo dell’arrivo in paese dei grandi pittori che documentarono, attraverso un’infinità di opere, il costume maschile caratterizzato dal cappello a larghe tese. Sa berritta non fu abbandonata del tutto. Qualcuno ogni tanto la rispolverava in determinate occasioni di festa ma nella vita quotidiana, sia per andare a lavoro sia per trascorrere qualche ora in pratza de is ballus con gli amici c’era il cappello. Poco importa se la foggia originaria del sombrero molto ampio e di colore grigio veniva man mano soppiantata da un più moderno borsalino, il Teuladese (oggi Teuladino) non sapeva rinunciare al suo cappello. Nelle sagre tradizionali e nelle grandi feste religiose, in tutta l’isola, il gruppo dei Teuladesi si distingueva per quel copricapo così diverso da quelli di tutti gli altri gruppi. Spesso era occasione di battute salaci e di sfottò da parte di coloro che accomunavano l’aspetto di questi Sardi, così allegri ed indisciplinati, con i già famosi cowboy americani.

 

C’è una ricca letteratura non scritta di sfottò e risposte a distanza, non pubblicabili dato il loro contenuto piuttosto libero e licenzioso. Nonostante l’uso del  cappello un tempo fosse diffuso in tutta la Sardegna, importato, come tante altre cose, dagli Spagnoli, andò lentamente scomparendo. In qualche piccola area del Campidano o del Sassarese resistette un po’ più a lungo ma solo per le occasioni importanti. Nessun gruppo folcloristico pensò mai di sfilare con questo copricapo. Oggi, invece, poiché le mode e le invenzioni più deleterie stanno condizionando le menti di gruppi improvvisati, comitati e Pro Loco, sono sempre più numerosi i gruppi che fanno sfilare molti dei loro componenti col cappello, in sostituzione della berritta.

 

Non ci sarebbe niente di male se questa scelta fosse frutto di un’accurata ricerca storica, invece si tratta di ricostruzioni fantasiose che finiscono per danneggiare non solo l’immagine delle tradizioni locali ma soprattutto quelle dell’intera isola. Se un tempo era facile individuare un gruppo ed il paese di provenienza dagli elementi più significativi del costume, come ad esempio il copricapo maschile o certi particolari dell’abito femminile, oggi c’è una pericolosa tendenza all’omologazione o, peggio ancora, all’imitazione più sfacciata. Insomma, prevale la cultura carnevalesca che permette di indossare qualsiasi cosa pur di apparire e di fare festa.

 

I “nuovi sombreri” sono di pessimo gusto e rendono patetici gli indossatori che hanno deciso di sfoggiarli senza alcun ritegno. Qualcuno ha pensato persino di acquistarli all’estero e di scegliere le tinte più strane: tutto fa folclore anche se è una falsa invenzione. Fioccano così le polemiche fra i gruppi e si riaffacciano i campanilismi. Gli organizzatori dei grandi eventi, dal canto loro, non si curano più di tanto della verifica dell’originalità dei costumi indossati nelle sfilate. L’importante è far numero e presentarsi ai turisti come un grande e variopinto circo da applaudire senza capire. È così anche per il ballo sardo. Nessuno propone più quello caratteristico del proprio paese, quello che un tempo si ballava in piazza senza invenzioni o coreografie da villaggio turistico. Oggi tutti a saltellare con gli improponibili  balli di: sa stella, is bagadius, sa crobi etc… Forse occorre un sussulto d’orgoglio per cambiare le cose. Più probabilmente serve cultura, ricerca, studio delle tradizioni più autentiche, conditi dall’orgoglio di voler essere Sardi autentici.