Niente nuove, buone nuove, così suona un vecchio detto, e la nostra vita scorre, solitamente, secondo i rituali precisi della quotidianità. Ma capita, a volte, all’improvviso, che qualcosa s’inceppi, si blocchi come nella pellicola di un vecchio film ed il filo della nostra esistenza si spezzi, inesorabilmente. Nulla è più come prima, tutto diventa sfocato, incomprensibile, assurdo.
Così in un mattino di ottobre, mamma Betty, babbo Giampietro e i figli Chiara e Nicola si salutano ed escono in fretta, per andare al lavoro e a scuola. Si ritroveranno la sera, a cena, con calma. Ma Chiara non rientrerà più. Una fredda telefonata, darà la notizia di un incidente d’auto che si rivelerà mortale. Inutile la corsa all’ospedale per vederla, perché Chiara se n’è andata per sempre ed è già all’obitorio. I familiari, distrutti dal dolore, corrono al cimitero avvolto nel buio e nel silenzio. Si intravedono delle ombre, attraverso un cancello semiaperto. “Chiediamo cortesemente se sia possibile vederla. Ci dicono: è tutto chiuso e servirebbe un nulla osta. La nostra garbata insistenza ha successo. Un freddo letto in acciaio regge la nostra piccola. Stà sdraiata supina, il capo lievemente inclinato e ruotato sulla spalla sinistra. Il piede sinistro è spoglio. Guardo Chiara e guardo Betty. Sembra forte e sicura ……… fissa angosciata quel corpo senza vita, Si avvicina e con le mani copre quel piede nudo come voglia riscaldarlo con il calore del suo grande cuore di mamma e vincere così il freddo della morte. Un paio di minuti, solo un paio di minuti per salutarla perché le disposizioni di legge insensibili e spietate, ci impongono di uscire”.
Sul quotidiano locale un trafiletto in prima pagina “Studentessa di diciotto anni muore sull’Asse Mediano. Tragico volo dal cavalcavia.”
All’interno in cronaca: “È morta sul colpo sbalzata nel vuoto dall’auto dove viaggiava in compagnia di due amici, forse al termine di un sorpasso e ad una velocità forse superiore a quella consentita.”
Forse, forse ………
Ora lei riposa al cimitero con i suoi diciotto anni spezzati e con il conforto di babbo e mamma che vanno a trovarla, ogni giorno. Inizia così per i suoi cari una nuova vita e ognuno rammenta fatti, episodi vissuti insieme in un dolore infinito.
Babbo Giampietro, medico al Brotzu, quotidianamente a contatto con la sofferenza, non sa darsi pace, e si tormenta con mille domande. “Se avessi detto.. se avessi agito così, chissà.. forse..”
Tra i tanti emerge un ricordo bruciante: non averle concesso di festeggiare i suoi diciotto anni per una mancata promozione. “Quanto ho desiderato non aver mai fatto quella scelta! Così è stato e non nascerà il giorno in cui potrò dimenticare.”
Perciò decide di mettere nero su bianco i suoi pensieri ed ecco il libro: E poi! Chiara lo sa.
-Qual è il senso di questo libro?
I motivi sono diversi. L’ho scritto non solo per ricordare Chiara, ma per evidenziare alcuni aspetti di questa vicenda assurda. A colui che guidava l’auto era stato comminato il ritiro della patente a causa di un precedente incidente mortale a giugno, ma questo provvedimento gli viene notificato quattro mesi dopo, a novembre. Un ritardo incomprensibile e ingiustificabile. Chiara intanto è morta e nessuno si è sentito in dovere di dare spiegazioni, di chiarire il perché la Prefettura abbia fatto passar ben quattro mesi. Silenzio incomprensibile e indifferenza da parte di quelle istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini.
Inoltre il mio è un invito rivolto a tutti i genitori perché modifichino il loro atteggiamento verso i figli, a non giudicarli severamente secondo i nostri parametri, ma a porsi su uno stesso piano, accettandoli per come sono e non come vorremmo che fossero. Sono arrivato a scoprire, ora, che possiamo accontentarci di poco: solo guardarli, ascoltarli e capirli. Alcuni amici, con i loro consigli e i loro suggerimenti mi hanno consentito di portare avanti questo progetto. Sono tanti e li ringrazio tutti.
Ugo, ad esempio, sostiene che in realtà questo libro è una confessione. In effetti, è vero perché vi ho messo a nudo, senza remore, la mia anima.
Michela, anche lei ha scritto un libro notevole raccontando la sua vicenda di madre con un figlio svantaggiato. È stata con Ugo la prima lettrice e mi ha spronato e sostenuto validamente nei momenti di stanchezza e di sconforto.
Mia moglie Betty e mio figlio Nicola, a casa, di sera mi vedevano riempire pagine su pagine, finché la mia scusa – scrivo una relazione per l’ospedale – non ha retto più, hanno capito e taciuto. La nostra vita è cambiata e passiamo molto del nostro tempo nella nuova casa di Chiara, la nostra seconda casa. Abbiamo incontrato altri genitori che piangono e ricordano i loro figli defunti; ci raccontiamo le nostre storie e ci si conforta. Come se ci conoscessimo da sempre. Ho scoperto, mio malgrado, che la sofferenza unisce più della gioia.
Ma forse chi sta più male fra noi è Nicola. Non parla mai dell’accaduto. La sua camera stà di fronte a quella di Chiara, non apre mai quella porta, e passa dritto come se volesse cancellare tutto. Come aiutarlo?
La stanza di Chiara è rimasta com’era: con il suo cellulare sempre acceso perché non si disattivi, le sue scarpette rosse tanto desiderate, i suoi libri, il suo profumo. Se ho fede, se credo in Dio? Di fronte alla morte di un figlio o perdi l’orientamento, non accetti ciò che ti accade e lo rifiuti, oppure la tua fede si rafforza e vai avanti. Così è stato per me. Da ragazzo non amavo scrivere, ma questo libro mi è venuto spontaneo; è stato come ricostruire un puzzle, tessera dopo tessera.
Il dolore, come descriverlo? Finora avevo conosciuto solo quello fisico, ora però si tratta di qualcosa di immensamente grande, indicibile. Devo convivere con l’assenza di Chiara, la mia bambina”
Parole, parole. Intanto il volto di Chiara, sorridente, si staglia sul blu della copertina del libro ed il suo sguardo è di un’immensità sconcertante, come se volesse dire “Ora lo so”.