“Tornando indietro nel tempo, prima di prendere il treno che mi avrebbe portato in guerra avrei preferito buttarmici sotto” Salvatore Setzu, classe 1921 non ha mai amato la guerra ma ha dovuto farla per una ragione che ancora non sa. All’età di 19 anni lascia il gregge e diventa soldato nel fronte Jugoslavo prima della campagna di Russia. Nel 41 l’Italia invia al fronte 50.000 soldati, nel 1942 220.000. Il costo di questa decisione consisterà in perdite umane immense. Setzu è uno dei pochi che ritorna sano e salvo, solo una leggera ferita alla coscia, irrilevante rispetto alla agghiaccianti immagini della guerra. Nasce a Villamar e trascorre la giovinezza a Gesico ma diventa Suellese dopo la guerra, la chiamata alle armi è un’incognita, non si sa quali fronti si apriranno e se la guerra finirà presto. Dal 1941 l’Italia entra nel territorio russo, Setzu è costretto a seguire il proprio generale di corpo d’armata offertosi volontario per combattere in Russia. “Pensavo di disertare- dice Setzu- ma le legge prevedeva la fucilazione e per un soldato è meglio morire in battaglia”. In ottobre la neve, un’avanzata sempre più difficile sino alle rive del fiume Don. Il più duro dei fronti, nonostante non ci fosse nessuna ragione strategica che coinvolgesse l’Italia in quel conflitto, né vi erano interessi nazionali da difendere. “Ho visto i miei compagni morire sotto le granate mentre noi cercavamo rifugio tra la neve” racconta Setzu. Nella sua mente ritorna l’incognita del rientro a casa, una popolazione prigioniera del terrore fascista e la preoccupazione per il regime staliniano sulla vita dei nostri soldati. Nel 42 il lungo ritiro sempre sotto i bombardamenti: “durante la fuga ho salvato un soldato tedesco precipitato nelle acque di un lago ghiacciato che come me cercava di salvarsi dai bombardamenti” Dice Salvatore, per gli amici Boriccu. Vicino e lontano dalla guerra si viveva una situazione difficile che possiamo ritrovare solo nelle memorie degli anziani. Ma è proprio con il ritorno a casa che la storia ha una nuova vita. Non più il pane comprato con la tessera, non più la paura dei bombardamenti, chi è tornato sano e salvo si rimette al lavoro dando sostegno alla famiglia. In Italia la ricostruzione parte proprio dalle forze giovani che dalle macerie della guerra costruiranno una delle potenze democratiche più forti del mondo. Queste memorie sono state scritte in libro, grazie alla nipote Monica, come un diario che ha riportato nero su bianco e reso immortale una pagina della storia contemporanea dell’Italia, dei soldati sardi che avevano abbandonato il lavoro nei campi per combattere una guerra che non gli apparteneva.