Un ponte di solidarietà e amicizia tra la Sardegna e l’Africa, un cordone ombelicale invisibile che unisce popoli diversi e lontani, divenuti intimi grazie ad un profondo sentimento di fratellanza che si rinnova e si rafforza di anno in anno. Tutto ha inizio col sogno di un uomo, il gesuita Padre Giovanni Puggioni: quello di offrire nuove speranze ai poveri emarginati e dimenticati dell’Africa, a seguito di una lunga esperienza in Congo a stretto contatto con la miseria di queste genti.

 

Un sogno che nasce con immediatezza, pur nella sua grandiosità, e che si allarga a macchia d’olio abbracciato dall’entusiasmo e dalla voglia di fare di tanti giovani studenti e volontari. Prende così vita ”Operazione Africa”, associazione laica presente solo sul nostro territorio, da anni impegnata in diversi paesi del terzo mondo (Burundi, Gabon, Madagascar, Congo) nella pianificazione e realizzazione di progetti umanitari. Un aiuto vivo e contagioso, tenuto in piedi finanziariamente dalla generosità di tantissimi sardi che hanno scelto di contribuire con convinzione al sostegno di questa causa, lasciando in Africa una piccola ma significativa impronta della nostra terra. Il rito della solidarietà passa anche attraverso il viaggio di incontro e di condivisione con la gente del luogo: una piccola rappresentanza dei ragazzi dell’associazione si reca ogni anno sui territori designati, per verificare l’andamento delle iniziative avviate e porre le basi per lo sviluppo dei nuovi progetti.

 

Estate 2005: destinazione Ruanda. Un paese martoriato per anni dal feroce genocidio tra hutu e tutsi, messo in ginocchio dalla miseria e dalla guerra, che cerca faticosamente e dignitosamente di rinascere, di riprendere a camminare. È Luciana Meleddu, giovane laureata di Sorgono, a raccontarci questa significativa esperienza di incontro con il popolo rwandese, la seconda per lei. Ci si chiede sempre quali siano le motivazioni che spingono a intraprendere un viaggio di questo genere, economicamente gravoso, scomodo e non facile per la realtà dura con cui si entra in contatto.

”Non esiste una risposta adeguata per questo quesito -spiega Luciana-. A volte io stessa non mi spiego perché ho scelto di partire. La prima volta avevo molta paura, condizionata dalle immagini televisive e dai racconti forti di chi era già stato in Rwanda. Mi è venuto fuori un sì di consenso al viaggio senza che neanche me ne rendessi conto. Quando poi conosci l’Africa, la vivi dal di dentro, il desiderio di ritornarvi ti accompagna sempre, è un richiamo da cui non puoi tirarti indietro. Una sensazione interiore non spiegabile razionalmente quando si pensa ai tanti disagi a cui devi far fronte”.

 

Cosa ti ha colpito dell’Africa? ”Tutto. L’aria, la bellezza indescrivibile dei paesaggi, il rapporto con le persone. I bambini sono stupendi, allegri, spensierati, affettuosi. Gioiscono per le piccole cose, una carezza o un sorriso valgono per loro più di qualsiasi cosa. É stato bellissimo al mio arrivo a Nyundo sentirmi chiamata per nome da tante vocine, a distanza di un anno si ricordavano ancora di me”. Gran parte delle attività di Operazione Africa hanno luogo attualmente in questo villaggio, al confine con il Congo, dove da cinque anni è stato preso sotto tutela un orfanotrofio, testimonianza dei postumi del genocidio. ”

 

Gli ospiti di questa struttura dovrebbero essere ottanta, ma attualmente sono circa 540 tra bambini e giovani senza famiglia. L’associazione cerca di sostenere l’orfanotrofio, che viveva in condizioni molto critiche. Grazie ai progetti e ai soldi devoluti è stato possibile fabbricare una falegnameria, per consentire ai più grandi di lavorare, delle stalle e dei pollai per separare gli abitanti della struttura dagli animali e garantire quindi migliori condizioni igieniche. Inoltre è stato costruito un refettorio, che ha ovviato al problema di dover fare i turni per poter mangiare”.

Tutti i bambini che vivono nell’orfanotrofio sono stati adottati a distanza grazie alle donazioni di molte famiglie sarde. Un legame importante per entrambe le parti, e di grande responsabilità. ”I bambini ci considerano come delle mamme e dei papà- racconta Luciana- e sanno bene che andiamo a trovarli con l’intento di dargli una mano e per trascorrere del tempo insieme. Non hanno idea di cosa sia la Sardegna e di come sia fatta perché gran parte di loro non conosce il mare, eppure questo nome è divenuto ormai familiare per tutti”. E anche la situazione dell’Africa è giusto che divenga ”familiare” per chi rimane a casa.

 

”Uno degli scopi del viaggio è quello di documentare con fotografie e riprese video quanto finora si è fatto, per poter sensibilizzare le persone che non conoscono questa realtà e perché ci sia trasparenza riguardo all’utilizzo dei soldi. C’è ancora tanto lavoro da portare avanti sia nell’ambito dell’istruzione e della formazione, essenziale per dare alla gente la possibilità di imparare un mestiere, sia riguardo alla costruzione di opere quali ospedali e ambulatori. Nella capitale, Kigali, è in fase di messa in opera una clinica pediatrica nell’orfanotrofio “Mère du Verbe”.

 

Cosa mettere in valigia? ”Cerchiamo di limitare quanto più possibile la quantità di vestiario da utilizzare per dare priorità alle medicine: antibiotici, integratori, farmaci per curare la malaria, che hanno un’importanza estrema in quanto le morti per disturbi anche lievi sono sempre molto frequenti. Ma al termine del mese di permanenza decidiamo di lasciare come dono anche quei pochi capi d’abbigliamento che abbiamo portato in Africa”. Si parte con le valigie colme, si rientra in Italia con un bagaglio materialmente alleggerito, ma sicuramente riempito da una valore umano consistente, non quantificabile. Cronaca di un viaggio oltre i confini fisici del mare e quelli mentali della paura e dell’individualismo, un’esperienza forte contro limiti del proprio egoismo e di apertura verso ciò che è diverso e lontano, di cui noi ”fortunati” siamo chiamati ad essere responsabili. Una lunga catena umana che parte dalla generosità dei donatori, fondamenta di ogni progetto, e grazie ad Operazione Africa, va a chiudersi stringendo le mani dei bambini. L’Africa chiama, la Sardegna risponde hakuna matata, senza timore, senza preoccupazioni.