Qualcuno dice che l’artista (o, a chi non piace questa parola obsoleta, il creativo) sia come colto da ingestibile smania di far uscire la propria vena, il linguaggio, i codici: la sua anima. E quando l’impulso chiama, l’artista risponde. E non ne può far a meno. Non c’è fame o fidanzata o lavoro che tengano. È come una mistica chiamata. Una missione. Ma questa è solo una categoria.  A questa categoria appartiene Efiz, in arte Efiso Bianco. O forse il contrario, ma è lo stesso. Assolutamente autodidatta. Trent’anni sulla patente ma qualcuno dice di averlo conosciuto ventenne in piazza Giovanni negli anni ’80 e fumettista per vocazione. Partecipa ai più importanti progetti sperimentali di settore.

 

Efiz, domanda di rito. Come nasce la tua passione per il fumetto?

Il mio interesse verso il fumetto e il disegno in generale comincia in modo classico, con le prime letture dell’infanzia e dell’adolescenza: Il giornalino, Il corriere dei ragazzi, Zagor, Alan Ford, scoprendo pian piano quanto sia affascinante raccontare utilizzando un semplice foglio e una matita.

 

Tu di professione fai altro. Come coniughi lavoro e passione-fumetto, dal punto di vista emotivo? Non vivi la frustrazione di non fare solo l’artista?

Questa è purtroppo una condizione di molti. Ho un amico, bravissimo illustratore, che ha concluso gli studi post diploma specializzandosi all’Istituto europeo di design ma che per vivere fa il bidello. Oggi campare solo di disegno è ancora più difficile. Una condizione che alla fine forse si accetta. Se non altro, visto che non è la tua occupazione principale, quando ti siedi al tavolo da disegno lo fai sempre con estremo piacere.

 

Negli anni, hai partecipato alla creazione di progetti di settore di importanza generazionale. E di cui si parla ancora. Ce ne vuoi parlare?

 Ho partecipato alla creazione di una Fanzine, di cui ora non ricordo il nome, intorno alla fine degli anni Ottanta, collaborando ai primi numeri. Più avanti ho fatto parte del nucleo redazionale e artistico di un mensile per aspiranti fumettisti dallo strano nome di Gruppo Misto, oggi il brand di uno studio che si occupa di grafica e comunicazione. È andato avanti per dodici numeri, con un tredicesimo pronto ma mai pubblicato. Poi, fine. Ho collaborato a corsi di insegnamento specifici per il fumetto e tutto questo è durato un bel po’. Non credo però di avere mai partecipato a progetti di importanza generazionale, la cosa tra l’altro mi “perplime”. Molti, ancora oggi, si ricordano della fanzine. Magari in Gruppo Misto c’erano delle intuizioni avanti di dieci anni, magari hanno aiutato qualcuno ad aprirsi delle porte, ma che abbiano inciso più di tanto sui lettori non ci credo assolutamente.

 

Quindi qual è ‘il’ o ‘i’ lavori più significativi che hai prodotto, emotivamente e professionalmente.

I lavori che considero più significativi solitamente sono quelli che faccio per me stesso. Quando si fa qualcosa per gli altri c’è sempre un piccolo, disturbante condizionamento: sai che a qualcuno il tuo lavoro piacerà e a qualcun altro non piacerà, e non ci sono santi. In ogni caso ho sempre preferito disegnare storie che raccontassero “significativamente” di personaggi socialmente emarginati perché sono sempre più interessanti e stimolanti. Anche la collaborazione con il bimestrale Paràulas dove illustravo storie in lingua sarda mi ha coinvolto abbastanza perché i fruitori sarebbero stati principalmente i bambini: il pubblico più serio, critico e credibile che qualsiasi creativo o autore possa avere. Un altro progetto per me significativo è stato quello di partecipare a un concorso bandito dalla regione Liguria, per sensibilizzare la gente a non guidare dopo aver bevuto, dove il mio elaborato è stato scelto tra oltre 400 partecipanti  da tutta Italia e pubblicato in un opuscolo insieme a un’ altra ventina di selezionati.

 

Tu sei nato e cresciuto -fisicamente  e spiritualmente- in Sardegna. Dove saresti voluto crescere -anche artisticamente- se non qui? E perché?

Dove si cresce artisticamente, inteso come posto in cui si vive, non credo che sia assolutamente condizionante per uno che vuole disegnare, magari è importante, oltre a quanto sei bravo e preparato, chi conoscerai o incontrerai lungo il percorso. Aurelio Galleppini in arte Galep (il primo realizzatore grafico di Tex) ha cominciato proprio quì a Cagliari, poi ha conosciuto Gianluigi Bonelli (il papà di Tex)… il resto è storia.

 

In ultimo, progetti e sogni. Se si possono dire.

Ah! C’è ancora un futuro e la possibilità di sognare?!…Scherzo. Mi piacerebbe realizzare copertine di libri, che ora leggo molto più dei fumetti, pubblicare un fumetto dove il protagonista è un samurai che scappa con il figlio dal Giappone per non essere ucciso, e per concludere vorrei non mi passasse mai la voglia di provare a campare con questo mestiere: hai presente la tenacia?!..Ciao.