Nomi sardi: chessa, hessa, chessedda, moddizzi, modditza (riferiti alla pianta)

 

Lustìnchinu, listincu, ollestincu, stincu (riferiti al frutto)

 

Mi sento molto legata al mondo campagnolo, fatto di valori e insegnamenti, cultura e di saperi uniti anche all’utilizzo delle erbe medicinali che, a tutt’oggi, rappresentano una inesauribile fonte di informazioni per la medicina. Questi saperi si sono costruiti lentamente. La rappresentazione, l’interpretazione, la forza e l’utilizzazione della natura si sono espresse in mille maniere.

 

Ho fatto questa piccola introduzione per presentare una pianta particolarmente bella, sempreverde delle nostra isola: il Lentischio. Assieme alle Eriche, i Mirti, i Cisti, i Corbezzoli e le Ginestre è parte importante della macchia mediterranea sarda; il verde lucido e intenso delle sue foglie contrasta con il rosso vermiglio dei suoi frutti e ne fa uno spettacolo della natura tanto affascinante da ammaliare. Emozione che continua al contatto dei suoi rami ricoperti di perle rosse: oltre al piacere visivo c’è quello olfattivo, la pianta emana un’essenza forte, fresca, balsamica, terebintinacea.

 

L’arbusto, resinoso e aromativo, può arrivare anche a cinque metri d’altezza. Si tratta di pianta robusta, resistente alle patologie: ricaccia polloni anche dopo gli incendi e possiede un’azione miglioratrice e protettiva nei confronti del terreno chela ospita. Presenteda 0 a800 metri, in qualsiasi tipo di substrato, ma predilige le zone costiere, anche quelle esposte ai venti forti a cui resiste senza avere alcun danno. Fiorisce da marzo ad aprile. I suoi frutti sono prima rossi poi, a maturazione completa, diventano neri. Da essi si estrae un olio usato come cosmetico ma in passato era un valido aiuto alimentare per le famiglie povere.

 

 

Principi attivi

 

Resina: vari acidi resinosi, principi amari

olio essenziale: pinene

polifenoli (a cui è dovuto il potere colorante giallo)

tannini (soprattutto nelle foglie)

Parti usate

Oleoresina o mastice (che fuoriesce da piccole incisioni fatte sulla corteccia), le foglie e i frutti

 

Periodo di raccolta

 

Le foglie e la resina tutto l’anno, i frutti in estate inoltrata.

Proprietà terapeutiche

Astringenti, vulnerarie, emostatiche, antisettiche, diuretica, balsamica.

 

Usi e dosi

– Le foglie si utilizzano in infuso (bollire una tazza d’acqua,versare un cucchiaio di foglie fresche o secche, far riposare dieci minuti, filtrare e berne due tazze al giorno) nelle diarree, nei disturbi intestinali e come antinfiammatorio nelle affezioni delle vie respiratorie.

 

– La resina, la più famosa è quella di Chios (mastice di Chios) perché nell’isola greca è piuttosto abbondante: utilizzata sotto forma di piccole sfere, con la masticazione diviene plastico e costituisce l’antesignano della gomma da masticare, svolgendo una costante e notevole azione terapeutica sui denti e sulle gengive.

 

– L’olio essenziale contenuto nella resina ha proprietà balsamiche molto utili per la fluidificazione del catarro e in casi di l’alitosi. Per l’uso interno occorre prudenza, attenendosi alle dosi  consigliate dall’erborista.

 

Per uso esterno:

 

– L’oleoresina è un’interessante fonte di prodotti per profumeria e aromatizzazione. Si utilizza con l’olio essenziale di menta nei dentifrici, saponi e colluttori, abbinando all’azione detergente una piacevole sensazione di freschezza sulla cute e sul cuoio capelluto oltreché, ovviamente, nel cavo orale.

 

L’uso del lentischio era caduto un po’ in disuso ma recentemente è stato rivalutato soprattutto nella cosmesi per le sue proprietà cicatrizzanti e disinfettanti cutanee. Altro uso è quello culinario tramandatoci dai nostri anziani che così raccontano: in tempo di guerra c’era poco da mangiare e la gente era costretta a fare sacrifici. Non si trovava olio d’oliva e, anche se si riusciva ad avere strutto di maiale, c’era bisogno di un olio più leggero per friggere, quindi si usava s’ozu lintischinu.

 

Come si estraeva? Al mattino presto le donne andavano in gruppo a cercare chessa.

 

Ogni donna aveva un canestro legato in vita, scuoteva  le fronde cariche di frutti e quando ne aveva raccolto un bel po’ lo svuotava nel sacco di juta. A casa divideva i frutti maturi da quelli acerbi. Quelli neri li faceva bollire in un pentolone d’acqua. Una volta cotti si scolavano con un mestolo forato e si ponevano dentro un sacco lungo e stretto che veniva sistemato in una tinozza. Un uomo scalzo lo calpestava per spremerne l’olio. Ogni tanto si aggiungeva acqua calda per facilitare la spremitura.

 

La tinozza era di legno e con il fondo bucato da cui colava olio e acqua che riempiva  una pentola. Quando questa era piena si faceva bollire: l’olio saliva in superficie, era facile asportarlo con appositi mestoli per conservarlo in una brocca di terracotta. L’olio, di un bel colore verde e dal sapore forte, era leggero e buono per le fritture, molte famiglie povere l’hanno usato per anni, fino a quando si è potuto di nuovo usare il più pregiato olio di oliva.

 

Questa antica tradizione, trasmessa dagli anziani rivive ogni anno ad  Escalaplano, dove, ogni ultima domenica di maggio, si tiene la sagra dell’olio di lentischio, per salvaguardarne la sopravvivenza e rinvigorirne la conservazione.

 

Dobbiamo fare un plauso alle persone che con grande amore e dedizione per la nostra terra e le nostre tradizioni si impegnano a divulgarle affinchè la nostra storia e quella dei nostri avi non siano dimenticate. Se ai nostri figli e nipoti facciamo conoscere meglio questa bella pianta abbiamo dato loro un pezzo del nostro passato e abbiamo aiutato noi stessi a non dimenticare e a fare tesoro di ogni piccolo essere vegetale vivente.