di Lucia Cossu

 

Cosa è la famiglia? La famiglia è dove c’è amore; non importa quali e quanti siano i membri che la caratterizzano e i legami biologici o sociali al loro interno. Sembrerebbe un’affermazione del tutto banale, se non fosse che intorno a questi temi si scatenano una serie di giudizi morali, o meglio pregiudizi, difficilissimi da scardinare. Eppure, basterebbe allungare lo sguardo sui secoli passati, per notare quante tipologie di famiglie siano sempre esistite e che, spesso, la concezione occidentale della famiglia “padre madre e figli” era la meno presente nello stesso Occidente, in contesti in cui nonni, zii, cugini, figli adottivi, figli di precedenti matrimoni, secondi padri e seconde madri e quant’altro vivevano sotto lo stesso tetto.

Si potrebbe obiettare che in queste famiglie era presente, comunque, un legame biologico. La pratica de su fizu ‘e anima, in uso in Sardegna, e in altri luoghi, sino a pochi decenni fa, può rispondere a questa obiezione: con quest’usanza molto comune, un bambino o una bambina venivano accuditi ed educati da persone diverse dai propri genitori, sono figli senza un affido, senza adozioni, senza nuovi cognomi; si diventava “figlio dell’anima” con il consenso benevolo della Comunità.

La scelta di diventare genitori, di accudire e di educare dei bambini, oggi, è accompagnata da una maggiore consapevolezza. Quando si è impossibilitati dall’avere figli, si può fare ricorso alla fecondazione assistita, che permette la nascita di bambini tra coppie eterosessuali sterili, omossessuali e donne single.

Un punto chiave è il sentire comune, la comprensione, l’accettazione. Perché questo avvenga è necessario scardinare i pregiudizi attraverso la conoscenza, accogliere le nuove famiglie e le necessità di tutti e di tutte con il cuore, laddove il pensiero critico non sia sufficiente.

Per cercare di fare chiarezza su queste delicate tematiche, ho intervistato l’antropologa Corinna Sabrina Guerzoni, che si occupa di tecnologie riproduttive, di nuove forme di famiglia e di genitorialità e, con i suoi studi, ha esplorato la procreazione assistita in Italia, la surrogacy negli USA e attualmente, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Bologna, dove lavora, sta conducendo una ricerca socio-antropologica sul fenomeno dell’embriodonazione.

 

Corinna Sabrina Guerzoni, ti occupi di tematiche attuali e molto interessanti, ma per certi versi non molto conosciute. Proviamo a sciogliere insieme i diversi termini. Cosa si intende per omogenitorialità?

Era un neologismo, entrato oggi nel linguaggio corrente, per definire la genitorialità di persone omosessuali. Deriva dal francese (“homoparentalité”) che è stato tradotto in varie lingue, come nella versione italiana di omogenitorialità. Spesso dietro al termine si nascondono critiche relative al suo uso.

 

Quali sono queste critiche?

Le critiche sono relative all’uso del termine. Con esso si tende a far prevalere su tutto l’orientamento sessuale del genitore. Cosa che non accade per altre situazioni. Ad esempio, non si usa mai, “eterogenitorialità” per definire i genitori eterosessuali sia perché è una condizione più diffusa sia perché è il modello culturalmente dominante. Omogenitoralità sottolineerebbe il pregiudizio riguardo al fatto che sia possibile solo essere genitori essendo eterosessuali, quando nei fatti la realtà sociale mostra una pluralità di forme.

 

Esistono, e sono sempre esistite, diverse tipologie di famiglie…

Esatto, son sempre esistite differenti e plurali forme di famiglia, ma si è cristallizzata (non solo in Italia ma nel contesto euro-americano) l’idea che vi sia un solo tipo di famiglia che prevalga sopra le altre. Il concetto di naturalità è spesso usato in questo senso come modo per indicare che la famiglia eterosessuale monogamica (composta da madre, padre e figli) sia quella naturale, quando nel corso della storia e delle varie realtà sociali possiamo individuarne altri tipi. Vi è stata insomma una naturalizzazione di un modello che si pone nello spazio pubblico come quello “naturale” e quindi legittimo, quando esiste realtà più complessa.

 

Tra i tuoi interessi di studio ci sono le tecnologie riproduttive. Di cosa si tratta?

Le tecnologie riproduttive sono mezzi che aiutano coppie e single a concepire grazie all’aiuto della medicina riproduttiva. Lo studio di queste pratiche ci mostra come le famiglie si creino, ma al contempo, se usate come lenti per leggere le relazioni di parentela, ci indicano quali elementi costituiscano nella contemporaneità i punti fondamentali dell’essere e del fare famiglia. Si è parenti se ci sono connessioni di sangue? Ha senso oggi parlare di sangue? Si è parenti se si individuano connessioni genetiche? Se sì, in che modo e quali altri elementi possono essere considerati per dare senso alle relazioni di genitorialità e di parentela oggi?

Chi studia la procreazione assistita evidenzia i modi in cui le persone diano senso a certi legami (sangue, geni), ma allo stesso tempo sottolineano quanto alcune di queste relazioni siano state naturalizzate nel tempo.

 

Oggi si è “genitori d’intenzione”: i figli non capitano, ma, sempre più spesso, vengono desiderati e cercati.

Anche genitori di intenzione è un’espressione inedita che indica però un punto importante: si diviene genitori per scelta, per volontà, per aver desiderato e poi messo in atto tutte le azioni che rendono una persona genitore. Il termine “intenzione” sottolinea questioni importanti, la sola connessione genetica o di sangue non sempre è sufficiente a diventare genitori. Essere genitori significa soprattutto avere attenzioni costanti per i figli, accudirli, dedicare tempo, attenzioni. Tutto questo si lavora nel tempo, l’intenzionalità la si dimostra nel quotidiano e non esclusivamente nell’atto di aver messo al mondo un figlio o essere connesso geneticamente.

 

In cosa consiste l’embriodonazione?

L’embriodonazione è una pratica che rientra nel perimetro della fecondazione assistita e che consiste nell’uso di embrioni crioconservati o embrioni creati ad hoc da donatori per coppie e single. Faccio un esempio concreto, una donna single decide di diventare madre, ma la sua riserva ovarica non glielo consente così come la mancanza di un compagno. Lei potrà accedere a programmi di embriodonazione all’estero e accogliere nel suo ventre un embrione precedentemente creato e crioconservato per altri cicli di fecondazione assistita. In questo caso faccio notare alcune questioni interessanti. Vi è un’assenza di connessione genetica tra la donna e l’embrione, ma vi è una connessione biologica o di pancia (la gravidanza). Vi sarà poi il parto e le successive azioni di crescita e di cura. Per alcuni lei non potrebbe essere definita madre, per altri invece lo è. La fecondazione assistita mette in crisi i nostri modelli culturali e ci spinge a riflettere su questioni che toccano la realtà di tutti noi. Chi può essere definito genitore? La connessione genetica sola basta? La realtà delle persone che accedono alla fecondazione assistita e alle adozioni ci dicono altro. Ma il modello dominante è ancora difficile da scardinare o semplicemente da pensare in modo diverso.

 

Sono temi attuali e molto sentiti. In quali stati si pratica la fecondazione assistita?

La fecondazione assistita è praticata su scala globale, anche se esistono leggi locali che ne regolamentano usi e accesso. Ad esempio, in Italia esiste la legge numero 40/2004 che regolamenta l’accesso alla PMA (procreazione medicalmente assistita) solo a coppie eterosessuali conviventi o sposate, escludendo single e omosessuali. In altre realtà europee, la PMA è accessibile anche a single e a coppie di donne, come nel caso spagnolo. È necessario spostarsi in contesti extraeuropei per coppie/single gay. È un panorama molto complesso.

 

Quindi, una donna italiana non sposata e non convivente o lesbica, in Italia, non ha accesso alla fecondazione assistita?

No, in Italia non è possibile avere accesso alle tecniche essendo single e/o omosessuali. Una donna single o convivente con un’altra donna dovrà necessariamente volare all’estero per accedere alle tecniche riproduttive. Ad esempio, Spagna, Belgio, Danimarca, solo per citarne alcune.

Mi preme fare una comparazione qui per mostrare quanti pregiudizi esistano dietro queste pratiche.

Una coppia eterosessuale può accedere alla PMA in Italia e questo servizio è coperto dal sistema sanitario nazionale. La coppia eterosessuale può accedervi e se il “problema” è il seme, si utilizzerà il seme di un donatore. Prendiamo ad esempio una coppia di donne che debbano anch’esse utilizzare il seme di un donatore, come nel caso della coppia eterosessuale. Questo non è permesso in Italia. La coppia di donne dovrà volare all’estero e accedere alla PMA nel settore privato. Alla base vi è la stessa pratica, l’uso del seme di un donatore; la diversità sta nel fatto che la legge italiana prevede l’accesso a coppie eterosessuali (per tornare ad una domanda precedente, vi è ancora una volta l’idea che alla base di una famiglia vi debbano esistere un uomo e una donna).

La stessa cosa per le donne single. Se una donna single decide volontariamente (madre di intenzione) di diventare madre con la fecondazione assistita verrà probabilmente tacciata di egoismo (“metti al mondo un figlio solo per un tuo desiderio”) ma se la stessa donna diventa madre in modo “accidentale” e decide di crescere da sola un figlio (ragazza madre) allora sarà una madre coraggio.

 

Quanti pregiudizi! Pregiudizi che è difficilissimo scardinare!

Le condizioni che inducono alle persone a ricorrere alla fecondazione assistita ne mettono in luce moltissimi, per questo dico che può essere usata come lente per leggere altri fenomeni.

 

Dove ti sei formata e dove hai condotto e conduci le tue ricerche?

Mi sono formata in Italia, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Ho conseguito un dottorato facendo ricerca sulla procreazione assistita tra Italia e California. Ora sono Assegnista di Ricerca presso l’Università di Bologna e mi occupo del fenomeno dell’embriodonazione, prevalentemente tra Italia, Spagna e Repubblica Ceca.

 

Nei tuoi studi ti rapporti con tutte le parti coinvolte?

Sì, è un approccio che ho messo a punto anche nelle varie ricerche perché credo sia importante mostrare il punto di vista di tutti i soggetti coinvolti, donatori, riceventi e anche cliniche della fertilità.

 

Il punto di vista del ricevente è abbastanza comprensibile, mi interessa quello del donatore: perché si decide di donare?

Ci sono diverse ragioni e molte dipendono dai soggetti ma soprattutto dalla società presa in analisi. Posso parlare delle donatrici californiane che ho personalmente intervistato. Molte di loro raccontano di essere diventate donatrici perché nella loro cerchia di amicizie o di parentela esistevano casi di infertilità. “Mia zia non riusciva ad avere figli e tanti anni fa una donatrice l’aveva aiutata. Ho capito la sofferenza e mi son detta che mi sarebbe piaciuto aiutare qualcuno”. Altre invece hanno sottolineato diversi aspetti, come il fatto di non volere diventare madri ma di voler lasciare comunque una traccia nel mondo, altre ancora hanno sottolineato l’aspetto economico. In California, ad esempio, vi è una compensazione economica che in Italia non esiste.

Anche per i donatori vi sono numerose ragioni. aiutare qualcuno, poter fare un grande passo, sentirsi speciali. Sono tante e diverse le ragioni.

 

I figli conoscono la loro storia?

La risposta è dipende. In tutte le coppie/single omosessuali intervistate, i figli sanno e conoscono la loro storia, sanno di come si sia sviluppato tutto il percorso. Per le coppie eterosessuali, ora che mi occupo di embriodonazione, la situazione è più complessa. Sostengono di volergliene parlare, ma non lo fanno nell’immediatezza. Ogni famiglia gestisce questo aspetto in modo diverso anche se vi è una tendenza più di trasparenza per gli omosessuali rispetto agli eterosessuali.

 

In Italia c’è qualche proposta o percorso per modificare le leggi?

L’Associazione Luca Coscioni fa capo a molte istanze per richiedere che la legge garantisca l’accesso alla PMA a tutti. In conseguenza della sua attività, la legge 40/2004 ha subito nel corso degli anni interessanti cambiamenti, come l’introduzione dell’eterologa, la diagnosi pre-impianto per alcune coppie ecc. Quindi a livello sociale ci si sta muovendo.

 

Stiamo esplorando un campo molto vasto e interessante. C’è qualcosa che vorresti approfondire?

Spesso la riproduzione è posta ai margini del dibattito pubblico e trattata come qualcosa di intimo e di privato, ma la riproduzione è un fatto pubblico e politico, è un terreno di scontri ideologici, etici e politici. È importante discutere di questo aspetto perché fa parte dei diritti riproduttivi di ciascun cittadino.

 

Le discussioni e i dibattiti aiutano a far conoscere meglio le realtà e ad eliminare i pregiudizi. Quali potrebbero essere i canali per raggiungere il maggior numero di persone?

Dibattiti, letture, discussioni. Parlare delle esperienze che già esistono per poter scardinare tanti tabù e pregiudizi. Molti hanno fatto uso della PMA, ma in alcuni casi non si dice. Portare in piazza storie, rendere pubbliche certe esperienze può aiutare a rendere comune qualcosa che comune lo è già ma che rimane sempre un po’ nel retroscena.

Anche i mezzi di comunicazione di massa sono un potente strumento. Un punto dal quale partire per connetterlo alle realtà di tutti i giorni.

 

In modo semplice e chiaro…

Esatto, fruibile. Perché poi è quello uno dei punti difficili, rendere semplice qualcosa che è spesso rappresentato come complicato, ma che nei fatti non è.

 

Basterebbe, ma non è semplice, smettere di giudicare e capire e accogliere gli altri senza imposizioni e pregiudizi. E in questo l’antropologia aiuta! Ci puoi suggerire delle letture per approfondire le tematiche?

Per chi volesse approfondire queste tematiche, suggerisco due libri: “La natura scomposta. Riproduzione assistita, genere, parentela” dell’antropologa Alessandra Gribaldo, che affronta l’argomento dal punto di vista delle coppie etero italiane. Il secondo, è la mia monografia: “Sistemi procreativi. Etnografia dell’omogenitorialità in Italia”, che si focalizza sull’omogenitorialità.