Qualche anno fa avevamo cominciato a parlare dei sardi che vivono in Giappone e più precisamente a Tokyo dopo aver conosciuto Valeria Pirodda, tra i giovani fondatori dell’Associazione “Isola Sardegna Giappone”. Cagliaritana di nascita, ci aveva parlato con grande entusiasmo del progetto che si andava realizzando ma che giocoforza aveva la necessità di essere “sostenuto” dalla Regione Sardegna, così come avviene per l’emigrazione sarda organizzata con la legge 7 del 1991. Dall’altra parte del mondo, a10.269 chilometridi distanza dal capoluogo isolano, come dicono i siti ufficiali che calcolano le lontananze, l’Oriente e in particolare il Giappone rappresenta una delle nuove frontiera di questo mondo sempre più globalizzato: in questi ultimi lustri è diventata terra anche di tanti sardi costretti ad emigrare. Così Valeria aveva descritto il progetto sull’Associazione Sarda in terra nipponica.

 

“Ho conosciuto tutti i giapponesi che vivono in Sardegna, ora voglio conoscere tutti i sardi che vivono in Giappone. Non credo saremo in tanti, qui non esiste una tradizione di immigrazione come può essere successo in America o in Australia. Siamo tutti “giovani”, di prima generazione, giunti qui per motivi di studio, per lavoro o per amore. L’idea del Circolo che sto realizzando insieme ad alcuni conterranei è perfetta, soprattutto in questa città enorme e dispersiva, dove sicuramente non manca nulla a livello materiale, ma manca quel calore a cui siamo abituati. Ci vuole un posto dove potersi incontrare, scambiare due chiacchiere, che non sia necessariamente un ristorante o un locale notturno. Un luogo che diventi un punto di riferimento per chi risiede a Tokyo ma anche per coloro che vogliono conoscere la Sardegna a 360 gradi: la storia, le tradizioni, le usanze, la cultura millenaria, la lingua. Ci sono tante cose da mettere sul tavolo…..sarebbe bello riuscire a facilitare i rapporti reciproci. Gli interessi da parte di entrambi ci sono: già si intravedono prodotti alimentari con bottarga in testa, negli scaffali dei supermercati. Ci sono studi importanti riguardo la longevità che legano i due Paesi e studiosi universitari che approfondiscono il discorso della lingua sarda, e così via”

 

Oggi l’Associazione “Isola Sardegna Giappone” ha due anni e mezzo di vita e si appresta a celebrare l’evento numero nove della sua carriera. Vive e cresce, ogni anno sempre di più, grazie alla passione di quattro sardi (oltre a Valeria c’è  Eva Cambedda, Guido Cossu e Giovanni Piliarvu) che, nonostante siano occupati nei reciproci lavori per mantenersi in una città cosmopolita in eterno movimento come Tokyo, riescono a trovare il tempo per riunirsi e organizzare (e autofinanziare) eventi sempre originali sulla vita e la cultura sarda, che attirano numerosissimi curiosi, soprattutto tra giapponesi.

 

“Ho sempre pensato che ci siano tanti punti in comune tra sardi e giapponesi – dice Valeria –  a parte l’insularità o forse proprio per questa: siamo entrambi diffidenti all’inizio ma generosi subito dopo. Sicuramente hanno un senso innato dell’ospitalità. Veniamo continuamente contattati da conterranei che vorrebbero instaurare dei rapporti commerciali con realtà nipponiche o, viceversa, da giapponesi interessati alla nostra cucina o alle nostre mete turistiche, insomma siamo diventati un punto di riferimento per entrambe le parti e questo ci riempie di gioia, e se possiamo aiutare ci impegniamo affinché questi contatti abbiano seguito.”

 

Ma le dolenti note cominciano con il silenzio assordante da parte della Regione Sardegna nel dar credito a questa realtà sardo-giapponese.

“In questi anni siamo stati abbondantemente ignorati dalle Istituzioni. Ma non ci siamo dati per vinti e abbiamo continuato imperterriti la nostra opera di diffusione di informazioni sulla Sardegna, attraverso il nostro sito (www.isolagiappone.com) o la pagina di Facebook, che a breve raggiungerà il traguardo dei 1000 fan! Ciò che chiediamo a chi ci contatta e di farci da “sponsor” per gli eventi, non chiediamo soldi ma un contributo tradotto in oggetti o alimenti, ciò che produce chi ci chiede visibilità. Così noi abbiamo ogni volta un ricordino nuovo da lasciare a chi partecipa alle nostre “feste”, una sorta di gadget che i più assidui frequentatori hanno messo in una teca da collezione (abbiamo dato i calendari di ISOLA, le calamite di ceramica, le bamboline coi costumi sardi, le spillette personalizzate ISOLA ecc).”

 

Dalle parole e dai volti degli amici sardi di Tokyo traspare la delusione e la rabbia per questo silenzio che comunque a livello globale sta interessando tutto il mondo dell’emigrazione sarda. Complice la crisi e il lassismo dell’Assessorato al Lavoro, tanti circoli stanno chiudendo.

“La domanda sorge spontanea: perché nonostante questo palese successo, veniamo ignorati da chi dovrebbe invece incentivare persone come noi, che amano la propria terra e vorrebbero che venisse valorizzata come un tesoro nazionale? Perché chi si prende i soldi seduto dietro quelle scrivanie non prende in mano la nostra causa e porta aventi la nostra battaglia che è ferma al 2013, negli archivi regionali  con tanto di numero di protocollo? Se avessimo un minimo di budget riusciremo a fare molto di più e a coinvolgere anche quei sardi residenti che, per ovvi motivi, non sempre si possono permettere di pagare per partecipare ad una festa che possono vedere in diretta quando rientrano  a casa!”

 

E il futuro come lo si disegna?

“Vorremmo poterci permettere una sede: ora ci ospita il ristorante sardo Tharros di Shibuya, dove spesso sviluppiamo e mettiamo in essere i nostri eventi, ma vorremmo un posto nostro, da personalizzare, dove riuscire a fare un’esposizione permanente di prodotti e poterne ospitare anche altre stagionali. Le idee non ci mancano, manca la collaborazione da chi di dovere.”

 

Un appello che speriamo non cada nel vuoto. Anche perché il tornaconto in un mercato come quello orientale, può essere molto significativo: i sardi di Tokyo lo garantiscono.