Da combattente di razza rara, Giorgio Melis aveva lottato a viso aperto con la morte fin dall’inizio della malattia. La signora nera lo braccava da due anni e gli concedeva tregue brevi. Giorgio non voleva arrendersi. La sua ultima settimana è stata terribile, consumata su un lettino candido dell’ospedale oncologico, tra sofferenze indicibili.
Avrebbe compiuto 77 anni il 28 ottobre ma la sua anima era rimasta sempre quella di un bambino. Per l’ultimo respiro ha atteso una ricorrenza di alto valore simbolico: la domenica delle Palme, il giorno dell’ingresso trionfale del Cristo a Gerusalemme e insieme l’inizio di un sacrificio sull’altare di un sogno: la redenzione dell’umanità.
Per Giorgio Melis il sogno più luminoso era il progresso civile della Sardegna su tutti i fronti. Ai suoi occhi la terra madre amatissima appariva come “l’isola degli altri” (è il titolo del suo primo libro). Ma l’avrebbe rivoluta indietro per ridarla agli unici eredi legittimi: i figli genuini, taciturni, forti e incorruttibili.
Con Giorgio se ne va un giornalista di altissimo profilo, un professionista esemplare e un uomo buono e giusto, severo e tenero a un tempo, un amico leale e generoso. Solo chi ha lavorato con lui sulla strada irta di spine di un giornalismo fondato sul rispetto dei lettori e la risposta alle necessità drammatiche della Sardegna, sulla denuncia dei suoi mali storici e dei personaggi improbabili che la ferivano, sa quanto siano ancora difficoltosi quei percorsi e capisce quanto lo fossero allora.
A Nuoro nei primi anni Ottanta, dopo alcuni episodi sconcertanti di mala giustizia, su L’Unione Sarda le scarcerazioni avevano lo stesso rilievo degli arresti, talvolta uno spazio anche maggiore. Eravamo l’unico giornale in Italia a farlo: la prima intuizione era stata sua, clamorosa ma condivisa immediatamente dal direttore Gianni Filippini e dalla maggiornza della redazione. Basterebbe questo per capire chi era e rimarrà sempre per noi Giorgio Melis. In quel tempo un gruppo consistente di redattori del giornale si sarebbe gettato nel fuoco per lui. Non è un modo di dire. Giorgio era il collega e amico fraterno onnipresente, nelle ore di luce e soprattutto in quelle di buio, pronto ad entusiasmarsi in ogni momento e a credere nei sogni.
Grazie, indimenticabile Giorgio. Non c’è morte capace di esiliarti dal nostro cuore.