Ad un anziano pastore, chiamato a deporre davanti alla Commissione d’inchiesta per il banditismo, chiesero anni fa perché mai in Sardegna restasse stabile il numero dei reati connessi all’abigeato, mentre aumentavano a dismisura i sequestri di persona. Il pastore restò per un attimo in silenzio, un tantino perplesso, poi sorrise pensando che quei signori dall’aria distinta e colta non dovevano essere tanto intelligenti. “Ma è semplice, disse, assolutamente elementare: s’erbeghe belat, s’ómine cunsentet”. I commissari, ascoltata la traduzione, s’illuminarono in volto per poi commentare che le minacce, certo, producevano il loro effetto. Secca la replica del pastore: “Minetas? Nono, e ite minetas? Non b’at bisonzu”.

 

Ancora una volta elementare: per la totale sottomissione dell’ostaggio non c’è alcuna necessità di minacce. Se ti ritrovi a dipendere da un “padrone”, che ha potere assoluto sul tuo futuro, sai perfettamente quando devi tacere e percepisci senza troppi sforzi tutto ciò che gli è sgradito. Esattamente come accade ai precari, costretti da una legge a dir poco medievale (la legge Biagi, approvata nel febbraio del 2003 dal governo Berlusconi) a piatire di anno in anno, e talvolta di mese in mese, il rinnovo del contratto di lavoro. Stato di cose insopportabile per ogni lavoratore, particolarmente pesante ed odioso per i giornalisti precari, costretti ad uniformarsi ai desideri non sempre limpidi e democratici del loro editore.

 

Situazione terribile, umiliante, che ci fa schierare con forza dalla parte di tutti i “precarizzati”,  costretti a subire per non ritrovarsi in un amen disoccupati. In loro difesa si è mosso in questi giorni Franco Siddi, rieletto a larghissima maggioranza alla carica di segretario nazionale della Federazione italiana giornalisti. Dopo aver ricordato che lo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha di recente affermato che “senza una stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari, si hanno alla lunga effetti negativi sull’economia”, Siddi ha lanciato un pressante appello alle forze politiche, che “devono individuare tutele legislative non più rinviabili”. E “se l’editoria italiana vuole ripartire, si impone  – ha ammonito Siddi – il superamento pur graduale del precariato”.