Dal 18 giugno al 28 luglio si sono svolte le indagini archeologiche che ogni anno interessano l’area del Cronicario di Sant’Antioco, sotto la direzione scientifica di Piero Bartoloni dell’università di Sassari. Le ricerche sul campo sono state guidate da Elisa Pompianu e Antonella Unali, assegniste di ricerca dell’ateneo sassarese, con la collaborazione dall’archeozoologo Gabriele Carenti.

 

Hanno partecipato agli scavi studenti dell’università di Sassari ma l’opportunità è stata estesa agli studenti di diverse università in Italia e all’estero. Gli scavi sono stati possibili grazie ai finanziamenti del Comune di Sant’Antioco.

 

Accanto al mondo universitario si colloca la summer school di Archeologia fenicia e punica (voluta da Piero Bartoloni) giunta al suo settimo appuntamento. L’istituzione offre lezioni di archeologia, di storia della Sardegna e del Mediterraneo. Per mezzo dei finanziamenti della provincia Carbonia-Iglesias è da due anni itinerante. Grazie alla stessa Provincia, alle ricerche sul campo ha partecipato un gruppo di studenti dei licei locali che ha iniziato così a prendere coscienza del proprio territorio.

 

L’area archeologica costituisce uno dei settori abitativi dell’antica Sulky, l’odierna Sant’Antioco sorta su un precedente insediamento eneolitico del quale si è scoperto un muretto d’insediamento preistorico che non trova confronti con altre situazioni sarde. È la colonia fenicia più antica della Sardegna che testimonia un insediamento antico attivo dall’VIII secolo a. C. fino al II secolo d. C.

 

Per diversi anni è stata la Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano ad occuparsi degli scavi iniziati nei primi anni Ottanta. Successivamente la zona d’interesse si è ampliata raggiungendo una parte dell’adiacente cortile dell’asilo “G. A. Sanna”.

 

Le ricerche hanno appurato che c’è stata una vera e propria “fusione” tra i Fenici giunti dall’Oriente e i Nuragici che abitavano l’altura su cui sorge il Forte Sabaudo. I reperti testimoniano la convivenza pacifica -probabilmente attraverso matrimoni misti- tra i fenici e la popolazione nuragica che li accolse. Negli ultimi anni sono emersi diversi ritrovamenti che stanno ad indicare i commerci con i Greci, gli Etruschi, i Cartaginesi, gli Iberici e i Fenici del Levante.

 

La peculiarità del sito archeologico del Sulky scaturisce dalla presenza di un tempio attivo in periodo punico e romano, che sicuramente ricalcava un tempio ancora più antico. Le strutture per ora identificate sono un cortile a cielo aperto e un porticato adiacente. È probabile che il resto del tempio si trovi sotto il cortile dell’asilo.

 

Sono stati rinvenuti tantissimi ex-voto come mani, piedi, seni, falli o gli oscilla (mascherine in terracotta che venivano appese) che i fedeli offrivano ad una divinità guaritrice, ma anche oggetti rituali come i bruciaprofumi a testa femminile.

 

È stato ritrovato un deposito votivo, ovvero un accumulo di materiali votivi. Tra di essi, tante matrici in terracotta, alcune recanti un’inscrizione in lingua neopunica.

 

Nell’area del porticato la squadra operativa ha rinvenuto dei fuselli per il ricamo al tombolo probabilmente offerti in dono da una donna oppure relativi ad attività artigianali legate al luogo sacro visto che nei pressi del tempio c’è stata forse una bottega ceramica dove venivano prodotti gli ex-voto, di grande interesse perché altrove non si conoscono testimonianze così antiche.

 

Presso la strada adiacente al tempio è stato rinvenuto un pozzo originariamente destinato allo scarico delle acque reflue ma che nel I secolo d. C. è stato utilizzato come discarica: gli oggetti sacri non potevano essere buttati, per questo venivano riposti in spazi prossimi all’area sacra. Sono stati ritrovati un braciere e la parte sottostante di una statuetta divina in terracotta. Fortunatamente il pozzo si è conservato per intero. Ciò ha permesso agli archeologici di scavare sino ad una profondità di oltre due metri.

 

Dai reperti è evidente che il culto fenicio e punico è proseguito fino all’età imperiale, frutto verosimilmente di una politica romana volta all’integrazione tra la popolazione preesistente e la nuova. Si deduce perciò che a partire dalla fine del III secolo a. C. -periodo in cui Romani instaurarono il loro dominio- essi rinnovarono e proseguirono un culto più antico. Infatti, sotto i depositi della strada B è stato trovato un pavimento acciottolato che gli esperti ritengono possa essere un originario pavimento di una piazza legata al tempio fenicio.

 

Nel sito si praticavano numerose attività artigianali, i ritrovamenti attestano infatti la presenza in epoca fenicia di un impianto per la lavorazione del ferro, materiale plausibilmente destinato al commercio. Altri reperti sono interessanti per lo studio della lavorazione dell’osso, testimoniata da numerosi manufatti come aghi crinali, da pesca e anelli, oppure da manici di coltello realizzati in osso di cervo. L’animale veniva cacciato nelle campagne del Sulcis e acquistato dagli abitanti di Sant’Antioco per essere lavorato.

 

Alcuni materiali sono stati fondamentali per lo studio dell’alimentazione: gli scavi hanno portato alla luce i resti di fenicottero, di squalo e di tonno che attestano quanto sia antica la tradizione della pesca. Di significativa importanza sono i resti fossili di una mangusta proveniente dall’Egitto che fa pensare alla comunicazione tra le due terre. Non sono ancora stati trovati dei reperti riconducibili a fasi di vita del primo periodo punico, mentre sono più numerose le attestazioni del periodo ellenistico e della prima età imperiale, quando la città conobbe un nuovo splendore dopo la sua elevazione a Municipium (a seguito della quale gli abitanti della Sulci romana vennero iscritti nella tribù Quirina), credibilmente sotto l’imperatore Claudio.

 

I lavori per quest’anno sono terminati ma -da quanto è emerso- c’è ancora tanto da scoprire.