More solito, tra i possibili candidati alla presidenza della Regione come esponenti di partiti vecchi e nuovi -alcuni dei quali obiettivamente improponibili- nessuno finora ha trattato la questione della lingua. Neppure, ma era intuibile, quelli che nella materia specifica dicono di richiamarsi alla lezione di Antonio Gramsci. Sono troppo impegnati nelle guerre intestine -come il famigerato Catilina, che non era la moglie di Cicerone- per badare a queste bazzecole (lingua e, più in generale, programmi veri).

 

Non basta. Sacerdoti e sacristi di rituali anacronistici chiudono le porte agli esterni e pronunciano la parolina magica: primarie (naturalmente governate dai loro episcopi e impossibili da affrontare a chi viene da fuori, dalla società civile e dalle professioni). Si licet parva, sarebbe come se Papa Francesco sbarrasse i portoni delle cattedrali ai non osservanti e si limitasse a parlare alle dame di carità, con tutto il rispetto. Oppure come se Antonio Conte, in una partita decisiva per lo scudetto, facesse giocare Padoin -absit iniuria- dopo aver spedito in tribuna Arturo Vidal.

 

Ma fuori dalle brume dei vari palazzi vivono e operano altri uomini degnissimi di rispetto. La stima unanime di cui godono è frutto di un lavoro ultradecennale per cause meritorie e supera i confini della Sardegna, dell’Italia e dell’Europa. Il primo di questi uomini (ómines, non omineddos) è Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, la federazione italiana della stampa. Siddi ha tutto per incarnare la sintesi del meglio possibile nella situazione attuale della Sardegna: intelligenza e garbo, scienza e conoscenza. Anche della lingua della sua amatissima terra natale, che parla con competenza attiva straordinariamente naturale: la lingua del pane e del grano, non del petrolio o dell’uranio impoverito.  

 

A Siddi sono arrivati segnali da partiti ma soprattutto da sindacati, associazioni, enti, amministratorim locali: sul suo nome esiste un gradimento molto forte di cui il Pd sembra non accorgersi. Così Franco Siddi viene tenuto in gioco, ma con prudenza, quella prudenza tipica dei pavidi, che non conduce da nessuna parte. Fino a quando, quo usque tandem, durerà questa manfrina ridicola? 

 

Difficile a dirsi, data la lentezza patologica dei passi dei politici. A meno che al leader del sindacato dei giornalisti italiani non venga la voglia di provarci da solo. In questo caso di tutto potrebbe soffrire fuorché di solitudine, a dispetto di chi celebra riti stantii su are polverose di chiese cadenti e, per fortuna, poco frequentate.