Nei depositi fossiliferi risalenti al Quaternario, trovati all’interno di molte grotte della Sardegna e della Corsica sono conosciuti da molto tempo i fossili del prolago sardo (Prolagus sardus), un piccolo mammifero lagomorfo appartenente alla famiglia degli ocotonidi, che comprende le attuali lepri fischianti o Pika viventi nelle montagne e nelle steppe di Asia e America Settentrionale .
Questa famiglia raggruppa animali di piccole dimensioni (massimo 30 cm di lunghezza) ed è rappresentata da un discreto numero di specie appartenenti all’unico genere Ochotona. Gli ocotonidi, di cui sono noti più di due dozzine di generi fossili, ebbero la massima diffusione nel periodo Miocene (Era terziaria), popolando Asia, Europa, Africa e Nord America. Le specie attuali sono considerate vestigia dell’Era Glaciale e attualmente sono ritenute in via di estinzione principalmente a causa del surriscaldamento globale: questi animali sono estremamente suscettibili ai repentini cambiamenti climatici.
La specie sardo-corsa, scientificamente conosciuta con il nome di Prolagus sardus, e i cui resti fossili vennero studiati a più riprese fin dal XVIII secolo, era presente nelle due isole mediterranee a partire dal periodo Pleistocene e si estinse quasi certamente in epoca storica. Sicuramente in Epoca Romana il prolago viveva ancora in Sardegna e in Corsica, come testimoniano alcune prove indirette come gli scritti di Polibio del II secolo a.C. Polibio descrivendo la fauna della Corsica raccontò di una piccola lepre dalle abitudini ipogee che chiamò Koniklos. Altre testimonianze, più recenti, del prolago sardo vivente in epoca storica, sono quelle lasciate da Fazio degli Umberti nel suo Dittamondo, pubblicato nel 1360.
L’autore annotò di un animale chiamato dalle popolazioni locali Solifughi, il cui significato letterale è che fugge dal sole. Forse l’animale in questione era proprio il prolago, infatti come molti degli animali selvatici era estremamente timido e schivo, e forse aveva l’abitudine di intanarsi nelle fenditure delle rocce al minimo segnale di pericolo. L’aspetto in vita del prolago non doveva discostarsi troppo da quello di un attuale coniglio. Oltre le dimensioni (25 cm di lunghezza per circa 800g di peso), presumibilmente aveva orecchie piccole e rotonde come i Pika (un adattamento ai climi freddi che permette una minore dispersione del calore corporeo), una coda cortissima nascosta sotto il pelo e arti anteriori poco più brevi di quelli posteriori.
Questo mammifero è importante non solo perché la sua presenza facilitò l’insediamento delle prime comunità umane in Sardegna, ma anche perché è uno dei pochi mammiferi sardi estinti di cui possediamo lo scheletro completo. Della struttura scheletrica conosciamo praticamente tutto, studi osteologici approfonditi condotti alla fine degli anni Sessanta dalla Dott. M. R. Dawson del Carnegie Museum di Pittsburgh (Usa), fanno pensare al prolago come un abile scalatore o un arrampicatore inadatto alla corsa in quanto possedeva una forte muscolatura che sfruttava al meglio nei terreni rocciosi di gran parte del paesaggio sardo-corso. Possiamo sostanzialmente pensare al prolago come un coniglio piccolo e allo stesso tempo robusto. L’arrivo in Sardegna di questo animale si deve far risalire al periodo Pliocene, quando un abbassamento del livello marino permise l’emersione di un ponte di terra tra la Toscana e il massiccio sardo-corso.
La popolazione di prolaghi in Sardegna non ebbe variazioni considerevoli, infatti i ritrovamenti fossili denotano una sua massiccia presenza fino in epoca storica. Il lagomorfo sardo coabitava la nostra Isola con altre specie quali il cervo gigante nano(????), il mammut nano, la lontra gigante della Barbagia, la iena cacciatrice, la piccola scimmietta di Major e il cane selvaggio cinoterio sardo. Quest’ultimo carnivoro, grande quanto una volpe, pare discendesse da animali grandi quanto gli attuali lupi che arrivati in Sardegna si adattarono all’ambiente riducendosi di dimensioni e specializzandosi nella predazione del prolago. L’ocotonide sardo era infatti verosimilmente alla base della catena alimentare della Sardegna preistorica e le sue carni venivano mangiate, oltre che dai carnivori quali canidi, mustelidi endemici e uccelli rapaci, anche dalle prime popolazioni umane che colonizzarono l’Isola.
Gli abbondanti resti di prolago ritrovati in molti siti paleolitici e neolitici dell’Isola sono stati interpretati come resti di pasto. La presenza di questo piccolo animale in Sardegna dunque è da ritenersi molto importante in quanto ha permesso, o meglio ha facilitato enormemente, lo stanziamento di una prima arcaica popolazione umana in Sardegna già a partire dal Paleolitico. Verosimilmente la causa dell’estinzione non fu la caccia effettuata dall’uomo, bensì l’arrivo nelle due isole di nuovi predatori, quali piccoli mustelidi o competitori ecologici come conigli e lepri introdotti passivamente o attivamente dall’uomo già in Epoca Romana. In attesa di ulteriori dati scientifici, è anche plausibile ipotizzare che l’estinzione del prolago, avvenuta contemporaneamente all’arrivo di lepri e conigli, sia stata causata dalla trasmissione di qualche agente patogeno da parte dei nuovi arrivati che diede il colpo di grazia alla popolazione di questo antico endemismo.