Acampora + simboloPer il secondo appuntamento con la rubrica dedicata all’indipendentismo sardo, abbiamo intervistato Salvatore Acampora Pistis, 30 anni, archeologo e operatore culturale, segretario di ProgReS – Progetu Repùblica. Uno dei più giovani, se non il più giovane segretario di partito in Europa. I temi? La visione indipendentista di ProgRes – naturalmente – e i motivi per cui la nostra Isola dovrebbe passare dalla condizione di regione autonoma italiana a Stato sovrano. Salvatore ci parla di economia, cultura, identità, lingua sarda, servitù militari, occupazione, zone interne, agroalimentare, politica energetica e infrastrutture.

 

Il 40 per cento dei sardi si dichiara indipendentista. È un momento dovuto alla scarsa fiducia nell’Italia in crisi o sta maturando una vera coscienza verso la creazione di uno stato sovrano?

 

Il fatto che il 40% dei sardi si dichiari favorevole all’indipendenza è un dato favorevole e interessante per diversi motivi: Interessante perché il dato è confortante relazionato all’acquisizione e all’interiorizzazione della coscienza nazionale, in secondo luogo non credo sia frutto della crisi o altro, semplicemente parliamo di un sentimento concreto e sedimentato insito nel nostro bagaglio culturale. Altro paio di maniche è lavorare a una proposta politica concreta e credibile che possa canalizzare questi sentimenti: Progetu Repùblica nasce, vive e cresce con questo obiettivo. Essere credibili, concreti e dimostrare che un altro modo di fare politica è non solo possibile ma è una priorità.

 

Sapendo che la gente pensa molto alla “pancia”, staccarsi dall’Italia quali vantaggi economici darebbe ai sardi?

 

Il primo assumersi la responsabilità e il diritto di decidere la via di sviluppo a noi più congeniale. Il secondo punto, ma non ultimo, il fatto che allo stato attuale la Sardegna vanta un credito verso lo Stato italiano di circa 10  miliardi di euro. Dico circa, perché lo Stato italiano stesso non ha una chiara idea su quanto debba restituire alla Sardegna. Portiamo avanti la petizione popolare del Fiocco Verde per l’istituzione dell’Agenzia Sarda delle entrate proprio per risolvere questo oramai annoso problema: vi invito a visitare il nostro portale www.progeturepublica.net per vedere il contatore delle entrate che abbiamo preparato e messo on line per guardare coi vostri occhi quanti dei nostri soldi compiono un viaggio di sola andata per l’Italia. “L’Italia mantiene la Sardegna” è uno dei tanti falsi miti.

 

E la cultura? Quale Sardegna promuovere? E quale scuola ricreare in Sardegna, anche a livello di programmi?

 

La cultura è la base dalla quale ripartire, tutto in Sardegna è una questione culturale. I programmi scolastici sardi devono parlare della nostra terra, della nostra nazione. Se oggi scorriamo un sussidiario della scuola primaria ci rendiamo conto che la nostra storia è praticamente assente, nonostante non solo ci sia tantissimo da raccontare ma la Sardegna è stata ed è un crocevia di cultura dove la storia e gli avvenimenti storici stavano di casa. Il problema è che la scuola italiana racconta la storia italiana, non quella sarda. Oggi anche a livello di programmi la scuola per quel che concerne la Sardegna è lasciata alla buona volontà degli insegnanti, che devono decidere se parlare di Giovanni Maria Angioi o fare un corso di ballo latino americano… Viviamo un paradosso. Dobbiamo iniziare a promuovere la nostra cultura avendo la capacità di tradurla nella modernità, l’identità è un concetto in divenire, non un feticcio del passato da conservare gelosamente nell’armadio dei ricordi.

 

Quali sono le vostre proposte riguardo la lingua sarda?

 

La questione linguistica sarda, drammaticamente irrisolta da lunghi decenni, è sempre stata fonte di polemiche e divisioni, raramente di proposte articolate e al di sopra delle parti. ProgReS – Progetu Repùblica ha presentato il progetto strategico sulla Sardegna plurilingue denominato Polìticas Linguìsticas in ProgReS. Un progetto innovativo che parla di lingue nazionali sarde: il sardo, il tabarchino, il sardo-corso, l’algherese e l’italiano. Lingue con pari dignità. Oramai è diverso tempo che il Centro studi Politicas Linguisticas, formato da diversi esperti e professionisti del settore, produce elaborazioni in tal senso, tant’è che il nostro documento – che abbiamo voluto regalare a tutti i sardi – è stato definito uno dei più curati e avveniristici in ambito europeo. Vi invito perciò ad andare a consultarlo sul nostro portale web.

 

Sovranità territoriale significherebbe ridiscutere la questione delle servitù militari. Come affrontate questa questione? Pensate che una Sardegna indipendente, ad esempio, debba rimanere sotto lo scudo della Nato o puntate alla neutralità?

 

Innanzitutto bisognerebbe a pensare al fatto che i sardi debbano decidere cosa fare del proprio territorio, basi militari o coltivazioni di patate, per fare dell’ironia. In secondo luogo la gravosità della presenza militare in Sardegna è non solo abominevole, ma soprattutto insopportabile e anacronistica. Ci sono stati al mondo che vivono senza un esercito e io non escluderei che la Sardegna possa diventare uno di questi.

 

Politiche per l’occupazione. In Sardegna abbiamo un tasso di disoccupazione oltre il 16 per cento, non parliamo poi dei giovani: il 50 per cento è a spasso. Che si fa?

 

Ci sono diversi di settori di intervento sui quali si può concretamente lavorare. Basti pensare al fatto che solo nel settore dell’agroalimentare parliamo di un fabbisogno di 100 e di un’offerta che copre meno del 30 per cento della richiesta. Uno dei futuri possibili è tornare all’agricoltura, quella del chilometro zero quella dei prodotti genuini che abbiamo sempre saputo produrre. In secondo luogo non possiamo trascurare la cultura: bisogna mettere a sistema i nostri beni culturali, materiali e immateriali. La cultura è creatrice di reddito in qualsiasi nazione dove le cose funzionano per il verso giusto, ne è il valore aggiunto. I nostri siti archeologici la nostra tradizione. Legando la cultura a un turismo pervasivo, esperienziale, potremmo dare un nuovo avvenire a noi stessi e ai nostri figli. Dobbiamo riprendere la mosse dal fatto che in Sardegna i piani industriali siano serviti a tutti fuorché ai sardi. Allo stesso tempo una politica seria deve dare delle risposte alla contingenza. Questo presente non l’abbiamo creato noi, ma la classe politica autonomista e unionista che ha sempre fatto gli interessi di tutti meno che dei sardi ma allo stesso tempo dobbiamo necessariamente dare risposte. Chi oggi ha perso il lavoro, o lo sta per perdere, deve avere delle soluzioni immediate. Parlo della situazione del Sulcis ad esempio, gli operai devono avere garanzie.

 

Spopolamento delle zone interne. La Sardegna ciambellone ormai è realtà: avete qualche idea per ripopolare i centri dell’interno, ormai quasi tutti paesi d’ombre?

 

In primis si devono avere i servizi al cittadino. Senza servizi non si può pianificare un futuro. Non si può pensare di sopprimere enti come le province in maniera totalmente demagogica e poi sperare che i servizi rimangano, anche perchè a un abbassamento dei servizi non corrisponde una diminuzione della pressione fiscale. In secondo luogo il costo e la qualità della vita nelle zone montane sta diventando una grande attrattiva per i territori dell’interno. Dobbiamo puntare su una Sardegna slow.

 

Agricoltura e pastorizia. Come risollevare questi settori fondamentali dell’economia sarda? O pensate sia meglio puntare su altro e riconvertire in toto l’economia sarda?

 

L’analisi economica delle riconversioni tentate in passato ci insegna chiaramente che sradicare un territorio dalla sua vocazione è controproducente. Pianificare l’economia slegandola da valori culturali e peculiarità territoriali genera diseconomie, citando Rory Sutherland (vice Ad Ogilvy Group) se l’economia non è fatta di abitudini, cultura e percezione, non possiamo dire da cosa realmente sia fatta. Al momento importiamo oltre il 70% del nostro fabbisogno nel settore agroalimentare, questo significa che in Sardegna il settore non ha bisogno di aggredire nuovi mercati ma di consolidare quello interno. C’è bisogno di stimolare sinergie tra il nostro settore agricolo e la grossa distribuzione, incentivando la produzione a km zero, spiegando ai sardi il valore aggiunto dei prodotti nostrani come volani economici e premiando chi meno impatta sull’ambiente.

 

Sembra una forma di protezionismo…

 

Lo sarebbe se imponessimo l’utilizzo di prodotti nostrani, ma non parliamo di forzare, ma di rafforzare la partnership commerciale tra la Sardegna e i grossi gruppi. L’Inghilterra ha prodotto leggi simili, impegnandosi a ridurre di un quarto le emissioni di CO2 , un azione tra l’altro nata dalla società civile, da Friends of Earth, ma poi riconosciuta in maniera bipartisan come necessaria. La sostenibilità diventa in questa maniera un meccanismo con cui equilibrare la globalizzazione.

 

 

Infrastrutture. Va bene il trenino verde, molto interessante a livello panoramico e turistico, ma tolta la linea ferroviaria Cagliari – Sassari siamo fermi all’’800. Non parliamo di strade, la comunicazione tra certe zone della Sardegna è a passo di lumaca. Come pensate di risolvere questi problemi, anche a livello finanziario…

 

Sembra di scoprire ora che la Sardegna, da parte dello Stato italiano, venga considerata come una regione periferica. Nel secolo scorso abbiamo avuto un ruolo importante a livello strategico e militare sul controllo del Mediterraneo e come seconda linea difensiva in caso d’invasione sovietica. Ma dopo la caduta del muro di Berlino e quella dei regimi nord africani, geopoliticamente siamo diventati non determinanti. Nella situazione attuale possiamo chiaramente intuire che per il governo attuale la Sardegna è sacrificabile. Forse l’Italia percepisce la possibilità reale di perdere il controllo sull’Isola in questo secolo e per questo non investe. A livello di viabilità possiamo dire che in Sardegna le strutture sono sempre state costruite per sostenere il settore privato. Le possibili soluzioni passano necessariamente attraverso processi di sovranità, in primis serve una rappresentanza europea capace di farci accedere ai fondi strutturali da cui siamo tagliati fuori. In seconda battuta recuperare i soldi della vertenza entrate permetterebbe di creare quelle infrastrutture di cui abbiamo bisogno, per capire meglio cosa potremo fare basta visita il contatore della vertenza entrate sul nostro portale http://progeturepublica.net/isola-del-tesoro/#.T7TyQ-2sQwI

 

Politica energetica. Petrolio, metano, eolico, solare o che? Su cosa puntare? Quali tempi, quali ricadute, quale organizzazione degli impianti, quale tipo di gestione è ottimale per l’Isola?

 

L’isola al momento non gestisce il settore energetico in quanto non possiede la sovranità per farlo. Abbiamo un surplus del 20%, nonostante questo paghiamo l’energia quasi il doppio rispetto all’Italia e rispetto alla media europea un’azienda sarda spende 3000 euro in più di corrente, questo è dovuto a “triopolio” tra Saras, Eni, Enel. Al momento non abbiamo necessità immediate di investitire nel settore energetico, anche se si devono considerare opzioni come il solare geotermico, per rientrare nello standard di mix energetico EU “Europa 20-20-20”. In proiezione futura la domanda energetica è comunque destinata a dover crescere, la strategia da perseguire oltre all’aumento di produzione è sicuramente il risparmio, soluzioni come quelle proposte dalla bioedilizia garantiscono ad esempio un risparmio energetico che gira intorno al 20%. Nel breve periodo è necessario puntare a strappare fette di sovranità anche in quel settore, magari con la costituzione di un’agenzia sarda dell’energia che ridurrebbe costi e incrementerebbe le entrate per la regione.