A Nuoro: ficumurisca

A Sassari: figadindia

Nella Sardegna settentrionale: figga d’india, figu d’india

Nella Sardegna meridionale: figu morìa, figumorisca.

 

 

Ero abituata a raccogliere i frutti del fico d’india, a tagliarne la buccia stando attenta a non toccare le piccolissime ma numerose spine e a mangiarne fino a saziarmene, ma non ne avevo mai raccolto per fare il distillato! Ero giovane, inesperta di distillazioni e babbo Bruno mi chiese aiuto per fare la grappa. “Perché, si può fare? È buona?” Fu così che iniziai la vera conoscenza di questo frutto.

 

Non si potrebbe fare, ma lui la fa per sé, per i figli grandi e gli amici, non la vende, la beve la sera quando fa freddo, nel caffè o nella tisana che scalda in un pentolino sopra la stufa di ghisa, dentro la sua casetta di legno di Montricos. Abbiamo raccolto tanti frutti già maturi, messi in un grande bidone di acciaio, stratificando con perine e mele che non si riusciva a consumare, vista l’abbondanza, schiacciando il tutto e dopo qualche giorno abbiamo aggiunto un po’ di zucchero. Il tempo ha macerato il tutto e reso docile alla mano antica dell’uomo; abbiamo quindi aggiunto acqua di fonte e fatto bollire il composto nell’alambicco, non prima di averne saldato le giunture con un impiastro di argilla. Nell’ attesa che la frutta bollisse si parlava di erbe, di cibi, della vita e……non lo sapevo, ma erano le mie prime lezioni di alchimia erboristica!

 

Tornando al nostro argomento principe, posso dunque descrivere le grandi qualità del ficodindia?

 

È una pianta succulenta importata nei tempi che furono dall’America, che cresce ormai spontanea in tutto il bacino del Mediterraneo. Grazie alla sua longevità e adattabilità, è tra le piante più diffuse della famiglia delle cactacee. Cresce in pianura, nelle zone montagnose, nelle zone aride, vicino al mare. Ha una rara particolarità nel mondo vegetale: non solo ha fiori e frutti commestibili ma si può mangiare anche parte del fusto.  Cresce rapidamente e può raggiungere fino a5 metrid’altezza, le sue radici generano fusti carnosi (pale o cladodi) che si sovrappongono, dando vita alla caratteristica forma di albero senza tronco e senza rami che contraddistingue questo ennesimo miracolo della natura. Le foglie sono trasformate in spine isolate. I fiori, primaverili, si trovano all’estremità dei cladodi, sono grandi, con numerosi sepali verdi a coppa, con diversi petali gialli o rossi e numerosi stami.

 

Il frutto, dalla forma ovoidale si forma in cima alle pale ed è ricoperto di piccolissime spine, è commestibile. La sua polpa è dolce, succosa e contiene numerosissimi semi legnosi. È maturo alla fine dell’estate.

 

Le pale dell’opunzia sono un magazzino di sostanze nutritive in quanto contengono: — una buona dose di minerali quali: potassio, magnesio, calcio, ferro, fosforo, rame, selenio, zinco.

 

– una buona dose di antiossidanti, come la vitamina A sottoforma di betacarotene, contenuta in quantità simili a quelle presenti negli spinaci, e la vitamina C, contenuta in misura elevata.

 

– aminoacidi essenziali e non essenziali (leucina, lisina, metionina, valina, glicina, alanina, tiroxina, fenilalanina) elementi necessari per la formazione delle proteine.

 

È molto raro che una pianta possa fornire una varietà di aminoacidi come quella presente nelle opunzie, straordinaria caratteristica che moltiplica i vantaggi offerti da un alimento nutriente, ricco di fibre e con limitato contenuto di grassi. I vegetariani possono trovare nelle pale (o nopales, singolare nopal, come sono chiamate con termine spagnolo nelle confezioni di prodotti da loro derivati) una sorgente di proteine di alta qualità.

 

Un cucchiaio di succo due-tre volte al giorno è un valido aiuto per le tossi asinine e nella pertosse. Invece per uso esterno si usa quale aiuto negli ascessi e nelle suppurazioni (si spacca in mezzo la pala, si inforna e, ancora calda, si applica sulla parte dolente o sulla zona dove bisogna far “maturare” l’ascesso).

 

Il frutto: contiene molta acqua (58%) zuccheri (20%) poche calorie ed è la parte più gustosa dell’opunzia. Al pari delle pale contiene minerali e vitamine in misura considerevole, gli aminoacidi e fibre vegetali (7%). Ha un effetto depurativo sull’organismo umano: facilita la diuresi ed evita l’affaticamento epatico in soggetti che hanno un sovraccarico del lavoro metabolico. È  indicato nelle diete ipocaloriche.  Ha un pregio particolare: svolge un’azione astringente e ciò lo rende prezioso in caso di diarree e dissenterie (ma in alcuni soggetti, per questioni individuali, si può verificare l’effetto esattamente contrario). È utile non esagerare con le dosi: 3 frutti al giorno forniscono la quantità necessaria di sali minerali, vitamine, aminoacidi e flavonoidi. Le persone che hanno difficoltà ad ingerire i semi opteranno per il puro succo fresco.

 

Il fiore: numerose sostanze attive ricche di proprietà curative, soprattutto flavonoidi.

 

Il decotto di fiori secchi (8 fiori in una tazza d’acqua bollente) è diuretico e depurativo e disintossicante. Quando i nostri vicini di campagna hanno ecceduto in libagioni e bevande ma non hanno intenzione di abbandonare l’allegra compagnia, ci fanno visita e chiedono una tazza di quel decotto. Loro sanno il perché e …anche noi!

 

La raccolta dei fichidindia deve essere fatta con guanti protettivi o con il caratteristico bastone di canna la cui estremità si allarga a forma di tronco di cono dentro il quale si introduce il frutto da cogliere che, con un movimento rotatorio, viene distaccato dalla pala.

 

Anche per la raccolta dei fiori è preferibile coprire le mani con i guanti perché i fiori sono circondati da glochidi (minuscole spine difficilmente visibili a occhio nudo). Per farli essiccare, metteteli in una scatola di cartone aperta e non esponete i petali direttamente alla luce del sole. Una volta essiccati, conservateli chiusi dentro un vaso di vetro in un luogo fresco e buio.

 

Un originale e curioso utilizzo della pala essiccata, ridotta ad un retino fibroso, è stato fatto dal nostro amico pittore Mario Sanna che ha dipinto una serie di opere cromaticamente valide molto accattivanti.

 

In Sardegna, nonostante il rilevante sviluppo raggiunto dal ficodindia, non c’è stato per molto tempo un suo adeguato riconoscimento da parte delle istituzioni pubbliche tanto che l’Istat ha inserito la sua coltura nella categoria “altri frutti”, senza indicarne area di diffusione, quantità prodotte, investimenti, ecc. Sappiamo che in Sicilia ci sono impianti di F. tutti concentrati in aree contrassegnate da un elevato indice di ruralità e che questa incentivazione colturale rappresenta una interessante fonte di reddito e di occupazione. Infatti nei mercati ortofrutticoli sardi troviamo in vendita quasi esclusivamente fichidindia siciliani! Per i Sardi, conoscere ed imparare ad amare i tanti doni di questa pianta sarebbe dunque un importante punto di partenza. Che dite, proviamo?