ghiro sardoLo hanno chiamato Elune, come la codula che dal Supramonte di Urzulei conduce alle acque cristalline della costa orientale sarda, uno dei sentieri naturalistici più battuti dagli appassionati di trekking.  Un luogo scelto non a caso per presentare alla stampa e al mondo scientifico il piccolo esemplare di ghiro sardo, catturato tra i monti di Urzulei e Orgosolo dopo una lunghissima ricerca.

 

Se ne erano perse le tracce a metà degli anni ’80. Da allora niente più avvistamenti, tanto da far pensare che la specie fosse ormai estinta. Il piccolo roditore, invece, continua a frequentare le foreste del Supramonte, a saltare allegramente da una quercia all’altra per cibarsi di ghiande e germogli.

 

Maria Agostina Cavia, giovane naturalista di Urzulei, ha impiegato mesi per individuarne la tana, ha trascorso notti insonni per tentare di carpirne un’immagine. A metà settembre, finalmente, la cattura, eseguita con metodi assolutamente incruenti. Ad aiutare la ricercatrice nella sua impresa, il presidente del Gruppo Grotte di Urzulei, Sebastiano Cabras. Una scoperta sensazionale che fuga ogni dubbio sulla presenza del ghiro in Sardegna. Il ritrovamento consentirà adesso di avviare uno studio sistematico sull’animale.

 

Arrivare al ghiro, come detto, non è stato semplice. Tutto è cominciato due anni fa con il ritrovamento, durante un’escursione nel Supramonte, dei resti di un ghiro predato: una coda e pochi peli. Un indizio concreto della presenza nel territorio del roditore. Da allora Maria Agostina Cavia ha battuto il territorio alla ricerca dell’animale fino ad individuarlo in un punto preciso, tenuto segreto per impedire l’assalto di qualche sconsiderato.

 

“Il primo passo è stato quello di informare l’Università e l’Ente Foreste”, racconta Maria Agostina. “Con loro abbiamo concordato un piano di azione per arrivare alla cattura di un esemplare”. Ottenute le necessarie autorizzazioni dall’Ufficio Tutela della Fauna Selvatica, indispensabili per ricerche di questo tipo, sono iniziati i lunghi appostamenti. Il  ghiro è un animale molto schivo, esce solo durante le ore notturne, sta sempre sugli alberi, non si avventura mai sul terreno.

 

“Pensate alla nostra emozione quando lo abbiamo visto per la prima volta, vederlo giocare tra i lecci ci ha ripagato di tutti i sacrifici fatti”. Prima di riuscire a catturarlo, la naturalista ogliastrina ha registrato il suo canto d’amore: “una dolce melodia che toglie il fiato”. Dopo alcune settimane l’individuazione di una tana: dentro un esemplare femmina con i suoi piccoli. “Non abbiamo avuto nessun dubbio: quei ghiri dovevano restare al loro posto, catturarli avrebbe significato mettere fine alla loro esistenza”.

 

L’attesa, per fortuna, è durata poco. “Grazie alla bravura di Sebastiano Cabras, che ha messo a disposizione la sua esperienza e le attrezzature necessarie, finalmente siamo riusciti a catturare un esemplare maschio”, racconta Maria Agostina. “Un ghiro di taglia media, dal pelo color cenere, con due grandi occhi e una lunga coda nera”.

 

L’animale è stato subito portato in paese per le misurazioni e i prelievi necessari allo studio del dna. Dopo tre giorni, tempo massimo consentito dalle norme di tutela della fauna, Elune è tornato libero nello stesso posto dove era stato catturato.

 

I dati e i reperti raccolti sono stati consegnati ai ricercatori della Facoltà di Scienze Naturali dell’università di Cagliari, guidati dalla professoressa Annamaria Deiana. Saranno loro, dopo averne studiato il codice genetico, a dire se si tratta di una sottospecie del ghiro europeo (Myoxus Glis Melonii), rilevato per la prima volta nella nostra isola dal naturalista tedesco Thomas, nel 1907.

 

“Ne abbiamo quasi la certezza”, dice Maria Agostina Cavia. “Alcuni giorni dopo la cattura di Elune, sono stata chiamata da un funzionario del corpo forestale. Mi informò dell’arrivo di un ghiro nel porto di Cagliari a bordo di un mercantile carico di legname. Aveva caratteristiche molto diverse dalla specie che vive sui nostri monti: dal pelo (più scuro), alla corporatura (più tozza)”.

 

Le analisi comparative consentiranno comunque di avere dati certi e definitivi. I ricercatori cagliaritani non sono gli unici soggetti coinvolti nel “Progetto Ghiro”: nel Dipartimento dell’Istituto Zooprofilattico di Tortolì è stato avviato uno studio sugli aspetti sanitari ed epidemiologici. A condurlo la dottoressa Pierangela Cabras.

 

“Studi e ricerche che ci daranno un quadro scientifico completo, noi intanto abbiamo presentato una proposta a tutte le amministrazioni provinciali per avviare un’operazione di monitoraggio in tutti gli areali potenzialmente idonei ad ospitare il ghiro sardo. L’obiettivo è quello di certificare la presenza anche in zone diverse dal Supramonte e valutare la consistenza numerica.

 

“A parte gli aspetti naturalistici”, sottolinea Maria Agostina Cavia, “ci interessiamo anche quelli storici, culturali e antropologici”. Nei paesi del Supramonte, il ghiro ha rappresentato fino agli anni ’40 un’importante fonte di sostentamento. Veniva catturato per  la carne (dicono prelibata) e la pelliccia. A Urzulei vive ancora l’ultimo cacciatore di ghiri: si chiama Daniele Cabras, un vecchio capraro di 90 anni.

 

“E’ stato lui ad indicarci le zone frequentate da Elune. Grazie alla sua testimonianza abbiamo scoperto aneddoti importanti legati alla presenza del ghiro nel territorio”. Una presenza non molto gradita ai porcari e caprari: prima della seconda guerra mondiale nel Supramonte vivevano moltissimi esemplari, troppi. Una colonia molto numerosa che in autunno sottraeva a maiali e capre grandi quantità di ghiande. Fu così che venne chiamato a Urzulei predi Mancosu, parroco di Seui, un prete-stregone famoso in tutta l’Ogliastra per i suoi sortilegi.

 

I pastori gli chiesero di liberarli dal flagello. Lui trovò un compromesso: “Posso aiutarvi a ridurre il numero ma non ad eliminarli del tutto perché anche loro sono creature di Dio”, sentenziò predi Mancosu. Una sua fotografia campeggia ancora oggi nella sagrestia della parrocchia di Urzulei. Realtà o leggenda? Nel paese ogliastrino gli anziani giurano che andò proprio così.

 

Chi non crede alle leggende fornisce invece un’altra spiegazione: la progressiva riduzione della presenza del ghiro nel territorio è dovuta alla frammentazione degli areali causata dagli incendi e dai tagli indiscriminati. Anche la caccia ha giocato un ruolo importante: le pellicce erano pagate molto bene e consentivano a molte persone di integrare il reddito. E’ così che negli ultimi decenni l’animale non si vedeva pìù, tanto da essere considerato ormai estinto.

 

Il piccolo roditore invece resiste, libero tra i silenzi del Supramonte.