fisarmonica    ”Qualche giorno prima avevo portato a casa 12000 lire quale compenso per aver suonato l’intera festa (tre giorni: processione, balli per tutto il pomeriggio fino a tardi, intervalli di Gare) a Bauladu. All’alba del 21 maggio (si era nel 1966), rientrando a casa da Sennariolo dove avevo accompagnato, in coppia con Nicolino Cabizza, i cantadores Tonino Canu, Alessandro Fais e Antonio Meloni, ne misi in mano a mia moglie 20.000. Questo fu, infatti, il compenso per la mia prima esperienza di accompagnatore in Gara di canti sardi logudoresi. Mia moglie rimase stupefatta. –Così tanto ti hanno dato?”

 

In effetti, in una sera, per tre ore di lavoro, o poco più, aveva guadagnato l’equivalente di cinque giorni di impegno massacrante (non meno di dodici ore al giorno con la fisarmonica in mano) qual era  quello di ”suonare una festa”, come si diceva in gergo.

 

E così Pietro Madau, già affermato fisarmonicista ”di piazza”, entrò nel mondo della Gara a chitarra dedicandosi ad accompagnare i cantadores. Va comunque detto, per amore di verità, che già prima di quel 20 maggio 1966 –data dell’esordio ufficiale a Sennariolo, come abbiamo appena visto –aveva ricevuto diversi e pressanti inviti in tal senso da parte di Nicolino Cabizza. Ma, accampando diverse scuse, li aveva sempre declinati. Perché, in realtà, le sue preferenze andavano ai ballabili, e alla musica leggera più che ai ritmi sardi. Fu la notevole differenza di tornaconto economico, oltre al desiderio di nuove esperienze, che lo spinse a cambiare idea.

Sembrerebbe paradossale in uno che è unanimemente annoverato tra i massimi esponenti della ”fisarmonica sarda”. Ma non lo è se si conosce a fondo il suo percorso umano e artistico.

 

Pietro Madau è nato a San Vero Milis il 15 agosto 1937. Aveva appena otto anni quando fece per la prima volta conoscenza con la fisarmonica; avvenne a casa, in quanto il padre, che era appassionato di musica e suonacchiava lo strumento, ne aveva acquistata una. E quando si accorse che il piccolo ne era affascinato, fu lui stesso a impartirgli le primissime, rudimentali nozioni. Visto che funzionava, e che il ragazzo mostrava interesse e predisposizione, lo fece seguire da un tale Antonio Musiu, ex-poliziotto, e successivamente da Clemente Caria, che allora era studente nel Seminario di Cuglieri e poi sarà prete e musicista. Successivamente ancora, a seguirlo fu il maestro Cervone di Oristano. Queste lezioni, e le esercitazioni ad esse legate, gli fornirono una discreta preparazione musicale teorica e un’eccellente impostazione tecnica (diteggiatura, utilizzazione dei bassi eccetera) che saranno alla base della sua maestria.

 

Nonostante il suo prevalente interesse per la musica leggera e i ballabili classici, doveva tuttavia accostarsi anche al ballo sardo, da cui un fisarmonicista che intendesse esibirsi in pubblico, in Sardegna, non poteva assolutamente prescindere. Per questo, un modello da seguire  lo aveva davanti agli occhi, in paese, ed era un grande: Raimondo Lepori. Ascoltandolo, bevendoselo quasi con gli occhi, cercando di riprodurre le sue suonate, il giovane Pietro si impadronirà gradualmente dei segreti relativi.

 

Aveva dieci anni quando, nel 1947, poté esibirsi per la prima volta in pubblico. Avvenne a Massama, nei pressi di Oristano, dove gli fecero eseguire alcuni balli ”civili”. Nello stesso anno suonò anche a Seneghe, in un ”socio” (in diverse località, oltre ai balli ”pubblici, in piazza, c’erano i ”ballus de sotziu”, organizzati da un gruppo di persone –su sotziu, appunto, ovvero associazione – che si svolgevano in una sala o salone, e vi potevano prendere parte i componenti del gruppo e qualcuno da loro invitato, oltre, ovviamente, alle donne): in questa occasione, ai balli ”civili” aggiunse qualche ballo sardo. Nell’esecuzione di questi ultimi andava migliorando di giorno in giorno. Tanto da poter esordire, ancora a Seneghe, nel 1950, in piazza dove per il Carnevale si ballava esclusivamente ”alla sarda” .

In quel periodo, intorno ai tredici-quattordici anni, incominciò a far conoscenza con i canti sardi, logudoresi e campidanesi, con i quali ebbe l’opportunità di esercitarsi “lavorando” in quelle baracche ambulanti (denominate ”istatzus” o ”barracas”) che alcuni produttori e commercianti di vino, in specie vernaccia, piazzavano nelle località sedi di feste rinomate, quali S. Croce a Oristano, N. S. del Rimedio nella località omonima presso Oristano, N. S. di Bonacatu a Bonarcado ecc.: in queste baracche era quasi sempre presente uno strumentista che suonava balli o accompagnava canti per allietare, tenere avvinti, ovviamente spingendoli a consumare, gli avventori. In tal modo il giovane Pietro si accostò anche ai segreti dell’accompagnamento del canto. Che poi poté perfezionare  nelle serenate, in paese, o in qualche spuntino.

 

Incominciò anche ad accompagnare ”is cantadoris a sa repentina” nelle Gare poetiche campidanesi particolarmente diffuse, in quel periodo, soprattutto nel Campidano di Oristano. In tale veste, la ”prima” fu  nel proprio paese di S. Vero Milis; e accompagnò il trio forse in assoluto più rinomato del genere: Peppino Ghiani, terralbese, Gabriele Pili di S. Giusta e Ballòi Firinu di Donigala Fenughedu.

 

I canti sardi, tuttavia, continuavano a non attirarlo più di tanto.

Si allargava, intanto, la sua fama di fisarmonicista ”di piazza”, straordinariamente bravo nei ”balli civili” ma che andava ogni anno di più affermandosi pure per le sue esecuzioni di balli sardi. Di cui amplierà la conoscenza, successivamente, con l’allargarsi del suo raggio d’azione e con l’accompagnare diversi gruppi folk.

 

Da quel 20 maggio 1966, in cui finalmente si era lasciato convincere a ”compiere il gran passo”, l’attività di Pietro Madau modificò indirizzo –senza stravolgerlo, come vedremo– e la carriera subirà una straordinaria accelerazione. Fu la moglie stessa, Bonacata Dessì, che aveva sposato nel 1965 e da cui avrà due figlie, Monica e Rita, a recarsi col padre a Oristano presso una concessionaria automobilistica per ”ordinare” la sua prima auto: una Fiat 500 con cui ebbe modo di muoversi con più facilità da una parte all’altra. E gli impegni si andavano sempre più intensificando, perché ai ”balli in piazza” e agli impegni per le ”feste” si aggiungevano le ”Gare”. Tanti impegni lo costrinsero a trascurare prima e ad abbandonare definitivamente poi il  salone di parrucchiere che aveva aperto da tempo nel proprio paese.

 

Nel 1967, intanto, aveva realizzato la prima incisione discografica accompagnando, in coppia col chitarrista Pietro Fara, Giovannino Casu e Alessandro Fais. L’anno successivo, stavolta insieme a Nicolino Cabizza, accompagnò Serafino Murru. Incisero alla IPM di Milano, al rientro da una esibizione in Germania, che, per Pietro Madau, rappresentò anche la prima “escursione” artistica in terra straniera (nel corso degli anni ne effettuerà tantissime altre).

Seguiranno numerose altre incisioni discografiche, con molti e diversi chitarristi e cantadores: accompagnerà canti logudoresi e campidanesi; ed eseguirà diversi balli sardi che incontreranno il favore del pubblico di tutta l’Isola.

 

Nel corso della sua lunga carriera, che continua tuttora benché a rilento per via di qualche problema di salute, ha avuto diversi premi e riconoscimenti. E tuttavia, se gli si chiede un bilancio consuntivo della sua vita e della sua attività, si dichiara soddisfatto all’80%; e benché pronto a rifare tutto quello che ha fatto, se gli venisse offerta l’opportunità di ricominciare, qualcosa cambierebbe; o, meglio, aggiungerebbe: la frequenza di un Conservatorio per approfondire le sue conoscenze musicali e perfezionare lo studio della fisarmonica. È ciò che gli è mancato e da cui deriva quella “lacuna” del 20% che gli impedisce di essere totalmente soddisfatto della sua carriera di fisarmonicista.

 

Tuttavia, aggiungiamo noi, è già molto che uno possa dire di aver coronato per una percentuale così alta i suoi sogni. Anche perché riteniamo –confortati in ciò dal parere di tanti– di trovarci di fronte al fisarmonicista sardo più completo che ci sia stato dato di conoscere, perché alla bravura nell’accompagnamento dei cantadores logudoresi e dei cantadoris campidanesi, e alla maestria nell’eseguire i balli sardi nelle diverse varianti, aggiunge pure l’abilità nell’esecuzione dei ”balli civili”. Siamo veramente a livelli di complessiva eccellenza.

 

In molti dei giovani colleghi riconosce e ammira la straordinaria perizia tecnica. Ma, a suo avviso, nella maggior parte si avverte la mancanza di una vera partecipazione emotiva. C’è l’abilità –aggiunge– ma non il sentimento. Lo si nota pure nel canto. E anche nel ballo: c’è la correttezza e la precisione dei passi, la tenuta dei ritmi (anche se un tantino accelerati rispetto a qualche decennio fa), ma non c’è il resto: la cadenza, il “portamento”, la compostezza che caratterizzava i ballerini “antichi”. Ma forse tutto questo rientra nella logica del tempo che passa e della società che cambia.

”E la mia generazione –conclude– è di un’altra era. Appartiene al passato”.

Un passato che però –aggiungiamo noi– ci ha dato tanti grandi personaggi, alcuni dei quali grandissimi. E, tra questi, Pietro Madau.