”Seneghe Mannu”: così chiamavano il paese sino a pochi decenni fa gli abitanti del circondario e certo ne avevano ben donde. Pascoli rigogliosi, boschi, bestiame, acqua e tutti i doni più belli della natura sembravano trovarsi sul suo territorio. E certo così dovevano pensarla anche i nostri antenati, quelli lontani, quelli che la storia o meglio la preistoria definisce ’nuragici’ visto che delle loro testimonianze il comune è piacevolmente invaso.

 

Seneghe, appartenente alla provincia di Oristano, sorge alle pendici meridionali del Montiferru, il grande cono vulcanico che caratterizza tutta la geologia della zona. Tanto basalto, dunque, materiale da costruzione tra i preferiti per la realizzazione dei nuraghi e monti e colline verdeggianti con ampie visuali sul mare e sulla pianura del Campidano. Forse per questo tutta l’area è ricchissima di questo tipo di insediamenti. Sì, perché proprio i nuraghi costituiscono un’altra delle immense ricchezze del patrimonio seneghese.

 

In tutto il territorio se ne contano a tutt’oggi ben 84, senza considerare le tombe di giganti (7 quelle accertate) e l’interessantissima fonte sacra. Giungendo al paese, sia che si arrivi da Bonarcado o da Narbolia o da Milis, non si può far a meno di notare lo svettare delle torri, coperte in parte da rovi e dalla macchia mediterranea, che fanno da sentinella ai pascoli sui quali riposano tranquille le mandrie di ”bue rosso”.

 

Le tipologie costruttive individuate nella zona sono le più varie e, a voler prestar fede alla teoria evolutiva che vede lo svilupparsi delle costruzioni monotorre da basse e tozze ad alte e slanciate, si può certamente affermare che a Seneghe sono entrambe ben rappresentate. Ma non mancano pure notevoli esempi di nuraghi complessi che trovano la massima espressione nei quadrilobi di Mesu Maiore e di Zinzimurreddos.

 

Ma cominciamo dal principio e cioè da quelli che, secondo alcuni studiosi, sono i primi nuraghi costruiti e da questo fatto prendono anche il nome: i protonuraghi. Nel territorio se ne contano quattro, dei quali il più imponente e ben conservato è il Nuraghe Narba. Come è caratteristica di questo tipo di costruzioni, che non presentano la falsa volta (tholos), il monumento è attraversato da un corridoio di circa 12 metri di lunghezza che collega i due ingressi, perfettamente in asse, rivolti a sud e a nord.

 

Lungo le pareti del corridoio, si aprono due nicchie e due camere. La costruzione riveste particolare importanza proprio per il suo eccezionale stato di conservazione, raro in questo tipo di monumenti, tanto che anche il padre dell’archeologia sarda, il professor Giovanni Lilliu, vi ha dedicato alcuni studi. Per quanto concerne invece la categoria dei monotorre, sembrerebbero appartenere alla fase più antica diverse costruzioni come il nuraghe Oes o il nuraghe Palloi, solo per citarne alcuni, caratterizzati da pietre messe in opera in maniera poco precisa e da una architettura poco slanciata.

 

Diverso è il discorso, ad esempio, per il nuraghe Zippiriu, dal particolare colore rossastro, la cui torre esternamente conserva infatti 10 metri di altezza e le pietre che lo compongono risultano ancora oggi ben posizionate e accuratamente scelte. Collocato sul ciglio di un pianoro, tutta la vallata circostante e lo stesso altipiano su cui si trova il monumento, testimoniano una intensa frequentazione dell’area. Ne è un esempio per tutti il grande villaggio medievale i cui resti si trovano quasi a ridosso dello stesso nuraghe. Lasciando da parte la categoria dei monotorre, seppure sia quella maggiormente presente nel territorio, passiamo a quella dei nuraghi complessi.

 

La tipologia più numerosa, non solo a Seneghe, ma in tutto il Montiferru, riguarda i cosiddetti nuraghi a tancato, ovvero monumenti che, nella parte frontale della torre centrale o mastio presentano un cortile e una seconda torre minore. Ben otto sono gli esempi di questo genere, tra cui spiccano il nuraghe Molineddu, anch’esso studiato dal professor Lilliu, e il nuraghe Prantallea. Proprio quest’ultimo colpisce per l’eccezionale lavorazione dell’architrave del mastio, di dimensioni notevoli e accuratamente lisciato e squadrato che nella curvatura segue l’andamento circolare della muratura.

 

Anche l’interno testimonia questa accuratezza se pensiamo che il suo corridoio è l’unico del territorio ad avere una sezione angolare e non ogivale come accade di solito. Questo velocissimo viaggio all’interno della storia, della nostra storia, ci porta ora ai due grandi nuraghi di Mesu Maiore e di Zinzimurreddos, entrambi quadrilobati, entrambi parzialmente interrati, entrambimolto interessanti, soprattutto il secondo che ha la particolarità di lasciare scoperto il lato posteriore che non è protetto dalla cortina muraria. Tutti questi insediamenti abitativi dovevano in qualche modo dar luogo ad altre tipologie monumentali, in particolare quelle che sempre accompagnano la vita e ad essa sono strettamente legate: le tombe. Tra le sette tombe di giganti presenti oggi sul territorio (ma altre ne vengono segnalate e sono ancora da verificare), tre in particolare sono degne di attenzione e per diversi motivi. La bellissima stele di Sa Facche ’e S’Altare, seppure conservata unicamente nella sua parte inferiore, testimonia l’accuratezza e la raffinatezza di un popolo che curava i propri morti con venerazione e, sappiamo dalla ricerca archeologica, con una certa dose di timore.

 

La lunga camera, che non conserva più la parte superiore, dimostra come la sepoltura appartenga alla tipologia più antica con le pietre messe a coltello, ovvero infisse al suolo. Alla seconda fase costruttiva appartiene, invece, S’Omo ’e sas Zanas, che ricorda chiaramente nel nome le domus de janas forse un tempo presenti nella zona o forse semplicemente confuse con il monumento esistente. Costruita in opera megalitica, la tomba non conserva più la parte anteriore, ma in compenso mantiene in situ quasi tutte le lastre della copertura. Una tipologia molto particolare è invece quella della tomba di Coa Perdosa.

 

Le sue dimensioni ridottissime, la sua stele, lavorata, ma non accuratamente lisciata e scanalata, la presenza degli stipiti che la sorreggono e al centro del quale si apre l’ingresso, completamente obliterato da vegetazione e terra, ne fanno un esemplare raro e meritevole di studi approfonditi. Accanto alla vita e alla morte, nelle culture antiche, occupava un posto di rilievo anche la religione. Sicuramente dalle numerose sorgenti del territorio, dai suoi torrenti e rii, i nostri antenati avranno attinto l’acqua per il fabbisogno della casa, ma avranno anche pregato le divinità che in essa avevano la loro sede. Seneghe, sicuramente, deve avere avuto i templi a pozzo caratteristici della cultura nuragica, ma sfortunatamente non se ne è ancora rinvenuta traccia.

 

In compenso si è rinvenuta una fonte, seppure completamente rimaneggiata in diversi periodi, che conserva però ancora aspetti originari. Il bacile forse, ma anche il canale di scolo, potrebbero aver visto lo scorrere dei secoli ed essere stati testimoni di quelle solenni cerimonie che sono rivestite per noi di mistero. Un valore culturale immenso, quello conservato a Seneghe, che ci permette, tra mirto e lentisco, tra gli incantevoli panorami del monte Sos Paris e i fitti boschi di Cadennaghe, di immergerci nella storia di un popolo, quello sardo, che oggi sembra ricercare affannosamente le proprie radici. Eppure il territorio non è mai stato oggetto di interesse. Anche i grandi viaggiatori dell’800 l’hanno ignorato perché troppo difficile da raggiungere, preferendogli i paesi del circondario situati ancora nel Campidano di Oristano.

 

Eppure Seneghe meriterebbe una grande considerazione, perché possiede cultura, conoscenze e patrimoni non solo suoi, ma dei Sardi tutti. E bisogna rendere merito ai suoi cittadini che hanno saputo preservare sino ad oggi questa ricchezza. E chissà quanto ancora c’è da scoprire! Nel frattempo custodire, proteggere e valorizzare ciò che è già noto sarebbe cosa più che opportuna.