Rosas, la memoria della miniera rivive in un museo a cielo aperto

Restituire la vita a vecchi macchinari, architetture ormai dismesse, voci e memorie del passato con un progetto di riqualificazione e rinascita: succede a Narcao, nel Sulcis. Qui il vecchio sito minerario di Rosas, dove per oltre un secolo i minatori hanno estratto piombo, ferro, zinco e argento, si è trasformato in un luogo turistico e ricettivo che richiama visitatori da tutto il mondo. Un caso esemplare di riqualificazione in chiave culturale di uno spazio, la miniera e il suo villaggio, potenzialmente destinato al degrado e all’abbandono, che ha conquistato una nuova vita grazie alla lungimiranza di un sindaco e all’impegno di una comunità intera.

miniere rosas miniera riqualificata
La miniera Rosas riqualificata, oggi museo a cielo aperto

La storia di Rosas ha inizio nell’età nuragica: già tremila anni fa le genti che abitavano questi territori conoscevano la ricchezza dei giacimenti minerari, utili per le produzioni metallurgiche locali e come merce di scambio in tutto il Mediterraneo. Il sito venne sfruttato anche nei secoli successivi ma fu nel 1832 che Enzo Perpignano, imprenditore di Iglesias e titolare della Società Anonima del Sulcis e del Sarrabus, mise per iscritto per la prima volta la scoperta del giacimento di piombo e galena argentifera e la depositò al Corpo Reale delle Miniere di Cagliari.

Nel 1849 Rosas venne riconosciuta con Regio decreto come giacimento di piombo, e due anni dopo Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna e di Cipro, firmò la concessione mineraria di Rosas. Fu la terza miniera riconosciuta ufficialmente in Sardegna, dopo Montevecchio e Monteponi. Da questo momento il sito venne sfruttato in maniera industriale e vi nacque pure un villaggio che arrivò a ospitare fino a 750 persone.

dentro la miniera
Dentro la miniera
miniere rosas. la sala macchine
La sala macchine

I minatori della zona vivevano qui con le loro famiglie, e accanto alle case e alle officine nacquero lo spaccio, la scuola, l’ufficio postale, una farmacia che fungeva anche da ambulatorio e pure un servizio ostetrico. La vita in miniera non era facile: oltre ai pesanti turni di lavoro, che solo ai primi del Novecento in seguito a un’ondata di scioperi vennero ridotti a otto ore lavorative al giorno, chi stava in galleria a contatto con polveri e fumi era soggetto a malattie polmonari e malattie da avvelenamento; i rischi di esplosioni e frane erano alti, e frequentissimi gli infortuni. Le attività impiegavano anche le donne, soprattutto come cernitrici e nella laveria, e spesso pure i bambini. Le condizioni lavorative a Rosas migliorarono gradualmente e gli operai conquistarono con il passare del tempo più tutele e diritti: per 150 anni la miniera rappresentò una grande opportunità occupazionale per il Sulcis.

La storia recente di Rosas, invece, ha inizio con la chiusura della miniera nel 1980. Gli operai erano già all’opera per smantellare strutture e macchinari, quando un intervento del sindaco, Gianfranco Tunis, scongiurò la distruzione del sito. Da allora questo angolo del Sulcis trovò una nuova destinazione: acquistato dal Comune a un prezzo simbolico, venne bonificato, riqualificato e rivestito di una nuova funzione, quella turistico-culturale.

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L’Ecomuseo Miniere di Rosas, gestito dall’associazione Miniere Rosas di cui l’ex sindaco Tunis è presidente, dà lavoro a una trentina di persone tra impiegati, guide turistiche, addetti alla manutenzione e gestori di bar, pizzeria e albergo sorti al posto degli alloggi dei lavoratori. Il percorso turistico è aperto tutti i giorni, e permette la visita al museo mineralogico e storico, la visita alla Galleria di Santa Barbara che conserva le tracce e gli strumenti del lavoro dei minatori, la grande sala macchine con i macchinari ancora funzionanti per la flottazione dei minerali e uno spazio con mostre temporanee.

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La miniera vista dall’alto

Oggi Rosas è un grande e suggestivo museo a cielo aperto immerso nel verde, non più luogo di fatica e sudore ma gioiello di architettura industriale e prezioso archivio della memoria del territorio sulcitano.

Francesca Mulas

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