Raggiungere le miniere di Lula è facile come telefonare per prenotare la visita al n. 0784-416614. Ci siamo già stati, ma è tempo di tornarci.  Raggiungiamo l’incrocio per San Francesco di Lula dalla strada provinciale  Bitti-Sologo.

 

Nello slargo, un vagone e due cartelli segnalano la direzione . Un terzo è già dentro i percorsi della memoria: indica la Rimisa, l’ultima società a gestire le miniere del periodo estrattivo. Oltre l’araldo di ferro, c’è una strada larga e curata e piante giovani di pino ne orlano i margini. La macchia è però di cisti, lentischi e oleastri. Mani capaci hanno addomesticato con gli innesti decine e decine di perastri.

 

Qualche bocca di pietra compare a sinistra. Fermandoci, scopriamo che nella galleria II° incrociatore c’è un’opera del pittore Diego Asproni.  Dalla sua nicchia,  parla del tempio sacro della miniera con il linguaggio della  poesia, suggerendo il religioso rispetto come chiave di accesso alla conoscenza di quel mondo. Diventiamo silenziosi. Vorremmo persino fermare la macchina, per non violare il silenzio animato solo da qualche uccello che accenna un volo o un canto. Ancora qualche secondo, immersi nella luce irriverente che stempera i contorni del paesaggio,  e il sito minerario compare al centro di una conca annunciata. Un via vai composto dà vita al piazzale.  Paolo e Franco, a bordo di un fuoristrada, salutano cordialmente. Piero, Antonello e  Pepe sono occupati all’interno dello stabile che accoglierà il museo. Fabrizio e Dione trasportano attrezzature.

 

Sono solo una parte dei 25 dipendenti dell’Igea che gestiscono questo gioiello del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’Umanità. Il geologo Paolo Calia, direttore di nomina recente, sarà la nostra guida. Inizia ad  illustrare le carte altimetriche e planimetriche della miniera appese a una parete. Ci parla del Pozzo Rolandi, della galleria Traverso Banco, dei filoni Cavella, Guglielmina e I° Incrociatore, del rio Tupeddu, di sistemi efficientissimi di sicurezza e della garanzia di un’uscita secondaria . Ci dotano di caschi e di lanterne e il viaggio ha inizio dentro la gabbia dell’argano guidata da Antonello.

 

Il resto è una scoperta che sempre emoziona, profonda  80 m. e lunga  2 Km, in una rete di gallerie inchiodate a temperature di circa 18° e a un tasso di umidità del 100%. La galleria Traverso Banco, il cuore di Sos Enathos, è situata nella parte vecchia della miniera. Con i suoi 850 m. illuminati da lucerne, ha inizio, e  continua per un tratto, sotto una falda di acqua che trasuda e scorre tra gli scisti.  Incrocia poi vari filoni. Le parole del geologo e le fotografie alle pareti spiegano le armature dei quadri di sostegno, l’ambiente di lavoro, il funzionamento dei vecchi macchinari;  mostrano i quarzi bianchi e lucenti, gli scisti filladici micacei e la galena che i minatori strappavano alla terra nel quasi buio, a pena di silicosi.

 

Le parole materializzano il buio profondo violato soltanto dalle lampade dei caschi, le vibrazioni e il  frastuono di perforatrici e  pale ferrate,  la polvere che fa annaspare, le miriadi di piccole scaglie di quarzo in volo rapace verso i polmoni, il sudore  nell’umidità che spezza le ossa… Il cuore diventa un gheriglio di noce e ci avviamo verso la parte recente della miniera, chiamata dal direttore Il palazzo del re, con l’ arricchita certezza del valore della  memoria. Scendendo dieci metri da Traverso Banco, seppure con l’umidità ancora altissima, le gallerie diventano più ariose e sicure, senza rotaie.  Macchine più sofisticate fanno mostra di sé e testimoniano del cambiamento delle modalità di lavoro: la peculiarità di questo sito minerario. Il viaggio in galleria finisce dopo circa un’ora e mezza nella rampa Tupeddu  da cui  arriva Franco che si inserisce discretamente a spiegare la volata  per l’abbattimento della roccia.

 

Torniamo nel piazzale. Sotto il sole che graffia con unghie di fuoco le foglie dei cisti e dei lentischi fluttuano sensazioni di pace e di armonia.Fabrizio  pianifica la visita agli impianti di flottazione. Dione subentra come guida e racconta di vagoni che viaggiano carichi dalle gallerie alle tramogge. Unisce alle parole i gesti per indicare i macchinari e così ci sembra di assistere ai processi di frantumazione, lavaggio, separazione, immagazzinamento e spedizione dei minerali  alle fonderie. E ci sembra pure che il perito minerario Luca Loddo cogliesse  sottigliezze profonde come solchi, quando, tempo fa, affermava che “i minatori di Lula sono guide preparate che attingono dalla propria esperienza lavorativa e sanno  raccontare aneddoti sul lavoro e sulla vita di Sos Enattos a partire dagli anni cinquanta”. Chi guarda per vedere coglie pure il valore aggiunto:  passione e orgoglio per il lavoro inusuali.

 

Forse perché, a Lula, scioperi e lotte sono un  retaggio anche recente: grazie a quelli del ’96, gli ultimi, la conservazione a scopo turistico è diventata possibile.  Ma in miniera ci credevano da prima e avevano persino approntato le carte progettuali.