Un piccolo gioiello ritrovato. È una scultura incompiuta del grande maestro nuorese Francesco Ciusa. Il busto di una ragazza dal volto bellissimo che posò per l’artista qualche anno prima dell’ultima guerra mondiale. È in marmo, quello ”bigio” della cava di Monte Lapanu, nell’area di Porto Scudo. Le vicende di quest’opera d’arte valgono la pena di essere raccontate. Oggi è di proprietà del Comune, grazie alla generosa donazione del signor Sebastiano Murgia, ultimo possessore della scultura. Occorre, tuttavia, fare un salto indietro nel tempo, di oltre sessant’anni, per ricostruire tutta la storia.

 

In quel periodo Ciusa, come scrisse il professor Paolo Montaldo nel libro I marmi statuari di Monte Lapanu, aveva l’incarico di ”saggiare qualità e quantità dei marmi con lo scopo di impiantare un’industria estrattiva”. Questa era la volontà del proprietario dei terreni, l’intraprendente professor Efisio Lay (quello che a Cagliari fondò l’omonima clinica privata). Il maestro nuorese era ospitato nel furriadroxiu di Porto Scudo, insieme ai tanti dipendenti del professore: contadini, pastori, caprai e gli operai addetti alla cava.

 

Dirigeva i lavori di estrazione del marmo con grande impegno, condividendo un’impresa che avrebbe potuto rappresentare una notevole occasione di sviluppo economico e sociale per tutto il territorio. Francesco Ciusa era preciso e meticoloso ma aveva un carattere molto difficile. Così lo ricorda Efisio Marongiu, allora giovane dipendente dell’azienda Lay: ”Il professore lavorava duramente dall’alba al tramonto ma non era mai contento. Si lamentava continuamente per l’invasione delle vacche brade nell’area della cava: rallentavano l’attività estrattiva. Controllava i blocchi, uno ad uno, sceglieva i migliori e noi con i carri li trasportavamo a Porto Scudo. Di qui venivano imbarcati sui battelli ed esportati soprattutto in Sardegna, ma anche in Continente”.

Durante questo suo soggiorno l’artista, amante del bello, non poté sottrarsi all’irresistibile fascino di una fanciulla stupenda. Era a servizio nell’azienda del professor Lay ed era ammirata da tutti per la dolcezza e l’avvenenza pudica che la rendevano unica. Tanto bella da far perdere la testa a più di uno spasimante. Era, tuttavia, così virtuosa da scoraggiare coloro che avrebbero voluto godere anche per un solo istante della sua considerazione o di uno sguardo almeno significativo. Il grande scultore provò a riprodurre quelle fattezze in un blocco di marmo. Martello e scalpello per catturare ed imprigionare per sempre un desiderio, un sogno.

 

La pietra era dura, i sentimenti si accavallavano in un animo equamente diviso fra passione umana e sensibilità artistica. Il lavoro procedeva con comprensibile difficoltà. All’improvviso lo scoppio della seconda guerra mondiale. Porto Scudo e tutta l’area costiera erano continuamente percorsi da aerei che cercavano di neutralizzare, con mitragliamenti a tappeto, le postazioni della Marina Italiana. Francesco Ciusa fu costretto a rinunciare al proprio incarico di sovrintendente ai lavori di estrazione del marmo e la cava venne chiusa. La scultura, purtroppo incompiuta, fu conservata gelosamente nel furriadroxiu del professor Lay. Sino al 1957. Una data fatidica per Teulada ed il suo territorio. Iniziò l’occupazione delle terre per la realizzazione della grande base militare dell’esercito, nata col nome di Centro Addestramento Unità Corazzate. Il giorno precedente l’arrivo dei militari, le forze dell’ordine avevano già preso possesso del territorio ed istituito numerosi posti di controllo per verificare lo sgombero totale da parte di contadini, pastori, proprietari piccoli e grandi, costretti a lasciare anche le cose personali.

 

La felice intuizione del professor Lay riuscì, tuttavia, a salvare quella piccola scultura. Durante la notte in un carro trainato da buoi, ben ricoperta di legna per sfuggire ad un posto di blocco dei carabinieri, la scultura fu trasportata a Teulada. Il professore ne fece dono ad un suo amico fraterno, Sebastiano Murgia. Questi, qualche anno fa, grazie  ai rapporti di stima  reciproca con l’assessore comunale Mario Paderas, decise di cedere l’opera d’arte al comune.

 

È tutto ciò che resta, insieme ad un’altra mezza dozzina di blocchi, del marmo statuario di Monte Lapanu. Una scultura moderna, realizzata qualche anno fa nel corso dell’Incontro Internazionale di Scultura su Pietra, è esposta nella Piazza Italia; un’altra costituisce il monumento all’eroe di guerra teuladino Michele Meloni, medaglia d’argento. Gli altri blocchi, non lavorati, sono in un giardinetto pubblico a ”ricordo perenne”. Molte opere d’arte, in tempi remoti e periodi più recenti, sono state realizzate col marmo di Monte Lapanu.

 

Si ricordano, ad esempio, numerose colonne nella città di Tharros; alcuni particolari della Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma; elementi della facciata della Cattedrale di Cagliari. In tempi più moderni, il monumento ai caduti, in Piazza Sella, ad Iglesias. Quest’ultimo realizzato proprio da Francesco Ciusa. Nel suo studio, il professor Paolo Montaldo, dell’Istituto di Geologia Applicata dell’Università di Cagliari (1956) classificò come marmo statuario quello proveniente da Monte Lapanu: ”…la caratteristica di una grana molto grossa rispetto ai tipi per opere edilizie… la maggiore docilità allo scalpello per la scultura è data dalla maggiore grandezza dei grani insieme alla geminazione polisintetica lamellare… la peculiare e pregiata qualità dei marmi alla scolpibilità, in tutte le direzioni e dimensioni… non può non dipendere da una costante uniformità granulare e da una facile sfaldabilità del singolo granello stesso..”.

 

Il professor Montaldo, a conferma della fattibilità dell’impresa, un tempo programmata da Francesco Ciusa e dal professor Efisio Lay, concluse la sua ricerca indicando in molte decine di milioni di metri cubi il materiale estraibile dalla cava di Monte Lapanu. Qualcuno ha scritto che i sogni finiscono all’alba. Teulada s’è svegliata fra lo sferragliare dei carri armati, il tuonare dell’artiglieria, il crepitio delle mitragliatrici. Giochi di guerra che durano da oltre cinquant’anni. I ”giunchi” di Giuseppe Biasi, i paesaggi di Mario Mossa de Murtas, la quotidianità ed i giorni di festa di Cesare Cabras, l’ironia di Tarquinio Sini, la fatica ed il fervore creativo di Francesco Ciusa sono stati spezzati per sempre.