Un uomo come tanti ce ne sono nella nostra terra, ma come pochi per tenacia e generosità. Accusato di essere bandito, rapitore, incendiario. Attaccato e vilipeso, è il soggetto preferito della letteratura e del cinema che parla di Sardegna. Il pastore:  l’emblema dell’isola, della nostra economia. I modernisti, gli amanti del terziario, i nuovi figli di papà magari storcerebbero il naso sedendosi a fianco a lui: pelle spessa, vestiti stracciati e più volte rammendati, odore di campagna.

 

Ma chi è capace di guardarlo dentro arrossirà, abbassando gli occhi, poiché saprà che non vi sono stati comfort nella sua vita. Spesso burbero, poco incline alla mediazione, per lui una cosa o è bianca o è nera. Fa parte di una razza d’uomini che non è avvezza alle facili chiacchiere ma al silenzio che tutto rivela. Ama la poesia, i canti e i balli sardi. Quelli che imitano rispettosi i rumori della natura. Li ha inventati lui, insieme alle maschere, ai miti, alle launeddas, ai nuraghi e a tutto quanto la nostra isola contiene. L’ha incisa col suo coltello.

 

L’ha percorsa palmo a palmo col suo bastone. Il re pastore. In tempi remoti guidava la società. Deteneva i poteri religiosi, politici e militari. Dava valore al termine comunità. Da che conobbe il cavallo diventò tutt’uno con esso, maestro insuperabile di destrezza e abilità. Componeva il patriziato indomabile sardo. I suoi discendenti li vediamo ancora nelle varie sartiglie, ardie e carrelas. In lui la religiosità è intima e particolare, forse non in tutto e per tutto liturgica ma di certo sincera.

 

Ha costruito pozzi sacri perché la luce del sole baci l’acqua ogni anno durante gli equinozi, e perché la luna, principio femminile, nel periodo della sua massima declinazione vi si specchi interamente. Ora ha abbandonato il costume tradizionale per vestire ”a sa civile” ed è diventato cristiano. Ma la sua lingua continua ad essere quell’antico sardo che ha sempre insegnato con orgoglio ai figli. E si sveglia prima dell’alba per lavorare. Sotto la pioggia, sotto il sole, al gelo.

 

Guarda il suo gregge da un’altura, lo accompagna dove il pascolo è più abbondante. Privato del ruolo di mediatore nelle liti, in un impeto di ribellione oppose il suo ”codice” alla legge. E oggi, mentre munge e fa il formaggio, guarda,con la fronte corrucciata, le mungitrici automatiche ancora incellofanate e costate un occhio della testa, gli impianti di caseificazione comprati con denari presi a prestito, e mentre il suo fedele cane gli gira intorno muovendo la coda, pensa.