Alla fine degli anni cinquanta i giovanotti del mio paese canticchiavano spesso questi versi:
Pitzinna mia non bandes a messare
Ca su sole ti perdet sa bellesa.
Non so chi è il poeta che ha scritto questi versi né se questi versi venissero canticchiati, oltre che in Olzai, anche in altri paesi della Barbagia di Ollolai o della Sardegna. Il loro significato è comunque inequivocabile: il sole danneggia la pelle e trasforma anche la donna bella in donna non bella.
Mia bisnonna (bisaia) al pari, peso, di tutti gli olzaesi di allora, aveva un concetto di bellezza femminile notevolmente diverso da quello odierno. Secondo il suo parere la donna era bella (galana) quando la pelle del suo volto aveva un colorito bianco e rosso (sa cara bianca e rubia) e il suo corpo era un po’ in carne (prena). Al contrario la donna brutta (leza) aveva le pelle del volto abbronzata (carinighedda o carihota) e la sua corporatura era piuttosto magra (lanza o lanzina).
È evidente che il canone di bellezza di quei tempi si sovrapponeva perfettamente allo status economico della ragazza.
In quel tempo molte donne erano dedite al duro lavoro dei campi che impegnava l’intera giornata, dall’alba al tramonto, si svolgeva in primavera ed estate, e consisteva in prevalenza nella zappatura e nella mietitura del grano e dell’orzo. Questo lavoro non solo abbronzava la pelle del volto ma la faceva invecchiare precocemente in quanto in pochi anni veniva solcata da rughe profonde e ravvicinate. Al contrario le donne che avevano la fortuna di nascere nelle famiglie benestanti non avevano bisogno di andare a lavorare sotto il sole né tanto meno di andare al lavorare per procurarsi l’alimentazione quotidiana. La pelle del loro volto rimaneva bianca e liscia e non veniva distrutta dal sole. La loro alimentazione quotidiana veniva garantita dalla famiglia e consentiva anche di accumulare un po’ di tessuto adiposo. A partire dagli anni sessanta la società sarda è notevolmente cambiata. In Sardegna è cambiato il modo di vita e di lavoro. Molti sardi sono tuttora disorientati perché il modello elaborato per vivere in quelle piccole comunità nel corso degli ultimi duemila anni non è più valido nelle comunità odierne, molto diverse da quelle del passato.
In questo contesto di omologazione generale, arrivato dall’esterno attraverso i media, è cambiato anche il concetto di bellezza femminile. Oggigiorno anche per i Sardi la donna è bella quando e ben abbronzata ed è magra, mentre è brutta quando e grassa e pallida.
In primavere, quando la temperatura ambiente aumenta e le giornate si allungano, si va immediatamente al mare e si espone il proprio corpo al sole per consentire ai primi raggi di indurre il processo di colorazione della pelle. Per accelerare questo processo naturale si ricorre talvolta anche all’uso di creme abbronzanti e/o all’uso si integratori alimentari, che frequentemente contengono beta carotene, che si accumulano nella pelle e le fanno assumere una colorazione scura.
Per la ricerca della bellezza non sempre si aspetta la stagione estiva. Durante l’inverno molte donne fanno uso di particolari lampade che emettono raggi ultravioletti allo scopo di conservare l’abbronzatura anche nei mesi invernali.
Ormai tutto il mondo è paese. Per quanto riguarda i canoni di bellezza le donne sarde si sono adeguate alle altre donne del mondo occidentale.