ziranu“Già alle elementari, in ogni minuto libero, entravo in bottega a giocare con gli attrezzi di babbo. Nessuna imposizione, è stato normale crescere col ferro: è diventato parte del mio corpo. È come per un figlio di falegname, di ceramista… In quel tempo, in bottega, veniva ancora nonno. Recuperava pezzi di ferro per ricavarne zappe, picconi: tutto ciò che trovava lo modificava, per lui buttare era disprezzare la materia. Lo ricordo sempre col martello in mano, con le dita consumate, le unghie molto grosse”.
Sentire Roberto Ziranu è ascoltare la favola del ferro. La storia battagliera degli uomini dalle mani possenti e dagli occhi lucenti, come il metallo incandescente che piegano al loro volere, con pazienza e precisione, mentre il mantice soffia sul fuoco parole che solo un fabbro potrebbe ridire. È lunga e antica la storia del ferro, ed è fatta di tenacia, volontà, fantasia, passione, tradizione, rinnovamento. “A vent’anni ho iniziato a correre da solo. Lo devo a mio padre che, pur essendo severo, mi ha dato una possibilità rara. Da noi il patriarcato è forte e, spesso, nelle botteghe il padre diventa padrone: è a vent’anni che lavori per lui. Invece io – racconta l’artigiano – sono cresciuto con questa libertà e, pur sbagliando, ho potuto mettere in pratica le mie idee”.
Roberto ha iniziato la sua avventura a Orani, specializzandosi sia nelle creazioni in ferro battuto – cancellate, grate, ringhiere, letti, tavoli, sedie, sculture e finezze d’arte – sia nel restauro di opere antiche. E anche se adesso ha spostato l’officina a Nuoro, non ha perso il legame col paese natale: “Sarò oranese finché vivo. Quelle sono le mie origini, di babbo, di nonno. È importante sapere di dove siamo, lo ricordo sempre ai miei figli”. Dall’esperienza con l’Isola alle mostre in continente fino alle biennali d’arte fabbrile di Stia e Vittorio Veneto – dove i migliori fabbri del mondo si confrontano vis à vis – il maestro Ziranu ha trovato il plauso degli estimatori dell’artigianato del ferro, apprezzamento che si è tradotto nella recensione dei suoi lavori nelle più importanti riviste d’arredamento italiane e nella costante presenza della sua mano nel recupero di prestigiosi edifici storici – come gli Anticos Palathos di Orosei – e nell’abbellimento dei migliori alberghi della costa, come il Punta Est di Baia Sardinia. E dire che ha solo trentotto anni.
“Un artigiano crede in quello che fa quando più che al guadagno pensa a realizzare opere dalla lunga vita. La qualità – spiega – ti dà la possibilità di restare un bravo maestro: se alterni oggetti buoni e scadenti perdi quel qualcosa che hai, o che gli altri ti hanno riconosciuto”. Roberto tiene a una precisazione: “Molti impiegano il maglio automatico. Noi invece facciamo una lavorazione fine, portiamo il ferro quasi alle dimensioni di un foglio di carta: ci riesci soltanto col martello, e ci vuole precisione estrema. Spesso chi non ha competenza non distingue un semilavorato da un forgiato: un semilavorato è fatto da pezzi che molti fabbri comprano e poi assemblano. Però – parlo di me e della mia famiglia – noi che abbiamo ereditato quest’arte ci teniamo a forgiare e assemblare solo i nostri pezzi. Chi viene da me è perché lo sa”.
I lavori firmati Roberto Ziranu – l’artigiano ha creato un vero e proprio marchio che imprime su ogni opera – sono di una grazia che sa di magia. Pezzi unici capaci di arredare gli interni con uno stile senza tempo, che pesca dalle antiche radici barbaricine, o di impreziosire gli esterni con un’eleganza e una perfezione figlie di una manualità fuori dal comune. Bellezza e funzionalità, per gioielli che non ci si stanca mai di guardare. Se gli si chiede come si fa, da un paesino, a raggiungere le vette di un determinato settore, come quello del ferro, e perciò nozioni sulla fantomatica eterna periferia che per molti è la Sardegna, Roberto dice: “Guarda quanti artisti di ogni genere sono cresciuti qui. Se vai a Milano, il mondo gira così veloce che chi potrebbe produrre finisce per non farlo, perché ha così tante cose davanti agli occhi che non ha null’altro a cui pensare. È già tutto fatto, ma di cose plastiche non vive. Il nostro essere chiusi è un valore aggiunto: a ogni cosa che abbiamo diamo un significato”.
Più il tempo passa e più il maestro scopre i segreti della materia, affina la tecnica, mette alla prova l’abilità: “Cerchi sempre di far nascere qualcosa di nuovo, o che ritieni impossibile da fare. Quando ad esempio metti mano ad una scultura, non sai precisamente cosa uscirà, hai solo l’idea. Qui la forgiatura è simile alla pittura: in quell’oggetto c’è la tua parte migliore, il tuo stato d’animo. Per questo ci sono cose che non darei per nulla al mondo, perché hanno una storia. Come il mazzo di fiori che ho realizzato in memoria di mio padre, con delle spighe, delle foglie che cadono: quell’opera traduce un momento in cui pensavo a lui, e non è possibile rifarla. È qualcosa di molto misterioso”.
In ogni lavoro il fabbro infonde la sua cultura. Ai meeting internazionali Roberto incontra maestri americani, giapponesi, da israeliani, greci… Ed è un confronto bello, sano, senza competizione: “Fabbri depositari di diverse tradizioni si scoprono a vicenda, bevendo un bicchiere di birra insieme, e quando in tre ore devi creare il tuo oggetto senza nessun attrezzo, riesci a capire cosa sanno fare gli altri, magari realizzando cose che tu non metterai mai in atto, perché sono diverse dal nostro gusto”.
Roberto è sposato e ha due figli, Angelo e Elisa, a loro dedica il lavoro e la vita: “Mi piacerebbe che mio figlio seguisse le mie orme, ma avrei anche piacere di insegnare in corsi a numero chiuso, per trasformare magari cinque alunni in cinque maestri. Così, se mio figlio non dovesse diventare fabbro, potrei trasmettere quest’arte ai miei allievi, e la mia eredità, quella che ho ricevuto e cerco di difendere e portare avanti, non svanirebbe nel nulla”.