fancello posateFino agli anni Cinquanta del secolo scorso, le famiglie si ritrovavano riunite davanti ad una pietanza unica, fatta di minestra di latte, o di una zuppa di fave, di legumi, polenta o pastasciutta contenuta in un unico recipiente.

 

Lo consumavano tutti insieme con il pane inzuppato, aiutandosi a portare il cibo in bocca con le mani o con il cucchiaio individuale. Gestualità chiamata  manigare, assumendo nome e significato dal latino manducare: portare il cibo in bocca con le mani.

 

Quest’immagine è sicuramente frutto dell’osservazione da un limitato angolo visuale perché così erano solite mangiare le famiglie povere; le classi più agiate ormai da diverso tempo usavano strumenti per mangiare. La tavola imbandita con piatti e posate individuali non sono un concetto moderno ma anzi hanno storia antica.

 

I rituali per imbandire la tavola erano noti fin dall’antico Egitto. Nell’Etruria e nella Roma antica si perpetuavano gli stessi rituali mentre nella Roma imperiale si mangiava distesi sul triclinio, alla moda orientale, poggiando gli alimenti su  piccole tavole  ricoperte da adeguate  tovaglie. Ricoprire le tavole con tovaglie non aveva nel mondo antico la finalità di  arredare con gusto ma aveva il solo scopo di evitare che le pentole poggiate calde sul tavolo lasciassero l’impronta sul legno. Si era convinti che il segno lasciato dalle pentole provocasse effetti magici e nefasti. La  pentola oltre che calore portava con sé residui del fuoco, come la cenere.

 

Tra il tavolo e la pentola si pensava si potessero creare effetti imprevedibili e poco graditi. Per evitare di provocare tali occasioni e che qualcuno ne approfittasse per porre in atto qualche maleficio, si copriva il tavolo con la tovaglia, proteggersi da eventi indesiderati. L’uso del triclinio e del consumare il cibo distesi resistette per molto tempo, fin quasi  in  epoca medievale. In seguito le regole cambiarono e si ritornò a condividere il piacere di  consumare il cibo seduti con una tavola ben imbandita ridicolizzandone le antiche  credenze.

 

Ma per quanto riguarda le posate come funzionava storicamente? Già il termine posata deriva dal verbo posare e fa riferimento ad oggetti posati sulla tavola. È una spiegazione tutta italiana: per le altre tavole europee il significato della parola posata ha significati diversi.

 

Il cucchiaio deve il suo nome alla cochlea, cioè alla conchiglia, già in uso presso gli antichi Egizi. Roma ne conosceva di due tipi, realizzati in osso, in bronzo o argento: cochlear o cochleare, usato per mangiare molluschi, uova o somministrare medicine. L’altro, detto ligula, a forma di foglia d’alloro e piatto, veniva utilizzato per infilzare i cibi, tanto che viene considerato l’antenato della forchetta più che del cucchiaio.

 

Anche il coltello ha una storia lunga. Le lame, più o meno rudimentali, risalgono alla notte dei tempi. In Sardegna ha origine antica sa resolza, lepa o arresoia, che ha una funzione molto diversa dal coltello da tavola in quanto costruito per altre finalità e comunque usato anche a tavola. Sa resolza trae sicuramente origine dalle prime armi fatte con punte d’ossidiana. Quell’ossidiana considerata nel mondo antico oro nero rendeva i sardi detentori di una ricchezza commercializzata in tutto il Mediterraneo.

 

 

Veniva usata per produrre armi, punte affilate, coltelli e utensili per cibarsi. Nel Monte Arci, provincia d’Oristano, d’ossidiana ve n’era una quantità importante. La successiva scoperta  dei metalli ha soppiantato questa preziosa materia e la migliore duttilità delle nuove scoperte è stata utilizzata per realizzare questi strumenti.

 

I Nuragici nelle loro officine lavoravano il  bronzo con rame e stagno e realizzavano raffinatissimi bronzetti, spade, coltelli, pugnali, accette. Ma il coltello piccolo per usi domestici pare abbia una storia più moderna e che la sua conoscenza ed utilizzo sia stata portata dai barbari invasori nel Basso Medioevo. Durante il Rinascimento con l’affermarsi e affinarsi delle buone maniere si ha la l’invenzione e l’adattamento di un coltello da tavola, meno appuntito e più raffinato.

 

Questo sicuramente a seguito della nuova esigenza di servire direttamente nel piatto individuale le porzioni già tagliate, contrariamente a quanto era in uso in epoca medievale quando le bestie cotte erano servite a tavola intere, sia per ostentare ricchezza ma principalmente per evitare che la servitù ne consumasse qualche parte. La porzione individuale veniva tagliata a pezzi grossi e il commensale li portava direttamente in bocca con le mani. Questa operazione, con l’affinarsi dei metodi, inizia a richiedere l’utilizzo di un altro strumento: la forchetta.

 

La forchetta antica era un forchettone a due punte e non aveva un uso individuale. Gli antichi Romani impiegavano i forchettoni per maneggiare le pietanze in cucina. Le forchette individuali, pensate per accompagnare il cibo in bocca, pare siano state inventate a Bisanzio intorno al X-XI secolo, e diffuse poi anche in Italia.

 

Non si sa esattamente quando sia comparsa la forchetta ma è stata sicuramente inventata quando nuovi alimenti ne richiedevano l’uso. Nel panorama gastronomico iniziano ad apparire alimenti come la pasta secca sottile e lunga, che per poter essere consumata necessitava di un attrezzo adeguato. A Napoli nel XIV sec. si consigliava di mangiare la pasta con un punteruolo di legno a forma di forchetta a tre rebbi.

 

A due rebbi era già noto il forchettone e molte sono le sue citazioni già nell’ XI secolo. In quel tempo la principessa bizantina Teodora, andata in sposa al doge Domenico Selvo, secondo le cronache di San Pier Damiani non toccava le pietanze con le mani ma si faceva tagliare il cibo in piccolissimi pezzi dagli eunuchi. Poi li assaggiava appena portandoli alla bocca con forchette d’oro a due rebbi.

 

Le forchette vengono presentate dal mondo cattolico come simbolo del demonio e il loro uso era considerato peccato. Questa condanna durerà per secoli. Ancora nel Seicento quando il loro uso era quotidiano in Italia, il musicista Monteverdi ogni volta che usava la forchetta si sentiva costretto a recitare tre messe per espiare il peccato. Nell’Italia del Trecento e del Quattrocento le forchette iniziavano a comparire sporadicamente e non mancano le prime diffusioni sul suo uso anche in altri paesi europei anche se l’assimilazione è abbastanza lenta.

 

In Francia la forchetta venne introdotta da Caterina de Medici, che nel 1533 sposa Enrico II, re di Francia. Suo figlio Enrico III cercherà di renderne obbligatorio l’uso presso la corte, regolandone, con norme scritte, anche l’uso. La nobiltà francese non accetta di buon grado l’uso della forchetta e ne ha un’avversione che dura nel tempo accompagnando quest’invenzione tutta italiana con derisione per il gesto effeminato dell’uso. Tale rifiuto verrà meno solo nella seconda  metà del Seicento, anche se  la resistenza al suo uso durerà fino agli inizi del XVIII secolo.

 

 

In Inghilterra, nel XVIII secolo, inizia a utilizzarla solo il 10% degli inglesi. In Germania la diffusione della forchetta sarà ancora più lenta. Per iniziare a vedere lo strumento moderno della forchetta normalmente impiegata a tavola, dalla prima cronaca sulla principessa bizantina, passano circa mille anni.

 

Ben più rapida è stata la diffusione dei piatti che dal Cinquecento sostituiscono i taglieri di legno medievali con creazioni di  piatti in  peltro, stagno o argento. Un tempo la minestra si mangiava nel piatto comune e s’intingevano gli alimenti con il pane ma a partire dal XVI secolo, nella società aristocratica si diffonde la tendenza a fornire ad ogni convitato un piatto, un bicchiere, un cucchiaio, un coltello e più tardi una forchetta, uno o più tovaglioli e tovaglie. Inizia a divenire maleducazione e inciviltà utilizzare le posate di preparazione per portarsi il cibo in bocca. S’inizia così a perdere quella promiscuità conviviale durata per millenni.