Francesco Lai è nato a Cagliari nel 1965. Geologo, istruttore speleologo e tecnico Gis, ha praticato la speleologia esplorativa dai primi anni ’80, con una tra le prime associazioni speleologiche sarde: lo Speleo Club Cagliari. È stato istruttore tecnico della Società Speleologica Italiana. Sua è la scoperta del complesso carsico di Monte Sa Cona (Teulada), che si estende per oltre 1400 metri e cela uno degli affioramenti fossiliferi fra i più importanti della Sardegna. Ha praticato, inoltre, trekking e torrentismo e s’interessa di archeologia industriale mineraria. Attualmente libero professionista, ha partecipato alla campagna di sondaggi ambientali per il piano di caratterizzazione del gasdotto Algeria-Sardegna-Italia nel tratto Sulcis-Iglesiente-Arburese. Da alcuni anni i suoi studi si sono concentrati sull’inquinamento dei sistemi carsici (sotterraneo e acquifero) delle zone di Quirra e Teulada.
– Cos’è un sistema carsico?
È un insieme di grotte collegate tra loro e accessibile dall’esterno. Le gallerie che lo formano vengono classificate in attive, semiattive e fossili, in base alla presenza di acqua. Ma bisogna tener presente che talvolta queste suddivisioni saltano, per esempio in seguito a piogge molto intense. Le grotte sono un oggetto molto complicato e difficile da gestire se lo si tratta con leggerezza.
– Quello di Quirra com’è?
C’è un sistema carsico molto importante, costituito dalle grotte di Is Angurtidorgius e S’Angurtidorgeddu, che si estendono per oltre 11 km sotto il Salto di Quirra, a cui si aggiungono una quindicina di grotte minori, alcune delle quali potrebbero far parte di sistemi carsici indipendenti.
– Che incidenza ha l’inquinamento del suolo sul sottosuolo? Quali i tempi di contaminazione?
Riversare inquinanti in aree carsiche significa innescare una bomba a orologeria e, per di più, dimenticare completamente il luogo in cui è stata depositata. Le complesse dinamiche della circolazione idrica sotterranea rendono estremamente complicato il monitoraggio delle sostanze immesse. Potrebbero trattenersi in sotterraneo per giorni, mesi, anni o secoli. Non solo, gli inquinanti potrebbero imboccare vie ignote agli speleologi o perché impercorribili o perché non se ne sospetta l’esistenza. Tutto ciò moltiplica i pericoli. Non basta.
La maggior parte delle persone paragona i fiumi sotterranei e i loro affluenti a quelli superficiali. È una visione limitata. In caso di piena, un corso d’acqua superficiale esonda provocando allagamenti. Un fiume sotterraneo, invece, limitato da pareti di roccia, una volta occupata l’intera sezione della galleria smaltisce l’eccesso d’acqua riversandola all’esterno, tramite sorgenti effimere. Se nelle gallerie si sono accumulate sostanze nocive, queste potrebbero non confluire nel corso d’acqua principale, ma ritornerebbero all’esterno tramite sorgenti di cui non si conosce o non si ricorda l’esistenza. Inoltre può capitare che gli inquinanti rimangano racchiusi all’interno dei sedimenti. In questo caso potrebbero depositarsi tra i limi, le argille, le sabbie, in attesa che un evento erosivo li rimobilizzi e trasporti verso la sorgente. I tempi, in questi casi, sono indefinibili. In ultimo, se i campionamenti fossero limitati alle sole acque, escludendo i sedimenti, si potrebbero verificare casi di ‘falsi negativi’, ossia le acque potrebbero risultare non contaminate pur in presenza di depositi sedimentari inquinati.
– In caso di radioattività del suolo e quindi del sistema carsico quale emergenza si potrebbe verificare?
Non parlerei solo di radioattività. Potrebbe essere fuorviante per comprendere la gravità del problema. Preferisco usare un termine più generale, sostanze nocive. Limitarsi a bonificare la superficie del poligono potrebbe rivelarsi del tutto insufficiente se non si conosce la quantità di inquinanti finita nel sistema carsico. Senza questi dati, i danni alla salute potrebbero continuare a verificarsi. Dal momento che basta ingerire piccolissime quantità di inquinanti per ammalarsi gravemente, il monitoraggio deve necessariamente essere esteso alle grotte.
– Quali soluzioni per ovviare o limitare i danni alla salute della comunità locale?
Prima di tutto chiudere definitivamente il poligono, allontanare i pastori e vietare in modo assoluto le attività ai militari. I militari hanno proseguito le loro azioni in barba alle leggi sulla tutela delle acque e del patrimonio carsico. Qualora fosse accertato l’inquinamento di tale sistema, probabilmente l’unico modo sarebbe vietare il prelievo delle acque in tutto il settore interessato, compresa la zona della frazione di Quirra, dove confluiscono tutti i corsi d’acqua e dove esiste un altro sistema carsico, indipendente da quello dell’altopiano, che potrebbe aver ricevuto una frazione degli inquinanti. Il problema, dunque, si dilaterebbe. Non ci sono ancora prove, ma penso che l’alto numero di morti in una frazione così piccola possa essere dovuto, senza escludere altre concause, proprio a ragioni idrologiche, visto che la frazione di Quirra sorge alla confluenza dei corsi d’acqua provenienti dal poligono. Inoltre, una bonifica sembra impensabile, visti gli 11 km di gallerie con laghi, fiumi e tonnellate di sedimenti.
Qualcuno si sta occupando dei campionamenti del sistema carsico, per appurare la presenza di inquinanti?
Potrei sbagliarmi, ma non mi risulta alcuna indagine in corso. Apprendo dai giornali che si sta procedendo al monitoraggio delle sorgenti, ma, ribadisco, potrebbe non essere sufficiente e addirittura fuorviante. Per chiudere, faccio notare una piccola cosa: il Piano di tutela delle acque, molto preciso nel valutare le pressioni esercitate dalle attività umane sui corsi d’acqua, si dimentica di considerare i poligoni di Quirra e di Teulada. Riflettiamoci.