Leggendo i lavori sulla lingua sarda di Massimo Pittau, si individua la composizione etnica dei gruppi umani presenti in Sardegna in epoca storica. L’elaborazione è supportata dall’epigrafia (es. nuraghe Aidu Entos di Mulargia) e dall’analisi toponomastica, in concordanza con le fonti letterarie. Pittau individua una cinquantina di populi, distribuiti da nord a sud sul territorio insulare, con confini molto precisi. Su Storia della Sardegna Antica, Raimondo Zucca conferma la consistenza, in epoca repubblicana e imperiale, dei gruppi umani e la localizzazione di ciascun populus. Un’altra traccia è lasciata dalla letteratura classica, riportata da Giovanni Ugas, che indica i principi Tespiadi come regnanti sui cantoni nuragici. Questa divisione la ritroviamo in epoca giudicale, sotto il nome di curatorias, aree amministrative sostanzialmente corrispondenti ai cantoni nuragici. L’origine è indigena, perché se avesse avuto origine da Roma o Bisanzio avrebbe avuto diffusione al di fuori della Sardegna. Troviamo corrispondenze in Etruria e nella Creta Minoica – e successivamente Micenea – per la presenza di “regioni” amministrative caratterizzate da populi o tribù. La società etrusca, mentre impone questo ordinamento attraverso le curie alla Roma arcaica, è divisa in tribù di cellule familiari (covirie), stanziate in distretti. La società cretese del XV sec. a.C. è fondata sul principio del genoz (genos), ovvero del clan, formato da philai (philai), ovvero da famiglie, stanziato su un territorio preciso e che attorno al XII sec. a.C. risulta ancora tale. La forma amministrativa introdotta, relativa alle curatorias, è comune tra le etnie sarde, etrusche e cretesi, costituenti anticamente la lega micenea dei Popoli del Mare. A capo dei gruppi umani c’è un magistrato – sacerdote. Le statuette bronzee sarde evidenziano un capo, abbigliato con calottina – berrita, spadone sulla spalla destra, bastone – scettro, mantello – serenicu e “pugnaletto” ad elsa gammata rappresentante un’ascia bipenne incastonata su una colomba, insegne e simboli della giustizia e della divinità. Caratteristiche affini hanno Lucumoni e Kosmoi (kosmoi), i magistrati – sacerdoti delle società etrusca e cretese. Tali figure appaiono di tipo elettivo e sono nominate da un’assemblea di capi famiglia.

 

Visto il nome dell’assemblea etrusca: coviria, supponiamo che il termine sardo coviadu (incontro di uomini), indichi la medesima organizzazione. L’archeologia sarda ci mostra l’esistenza di luoghi di incontro e discussione: le “capanne delle riunioni”. Da Santa Vittoria di Serri a Palmavera di Alghero, da S’Ega Marteddu di Sant’Antioco a Losa di Abbasanta, da Serra Orrios di Dorgali a Serucci di Gonnesa, le capanne delle riunioni sono diffuse in ogni angolo, a sancire, con la presenza dell’ascia bipenne simbolo della giustizia, il potere assembleare. Nei grossi centri intercantonali: Bruncu Su Nuraxi di Barumini, Santa Cristina di Paulilatino, Santa Vittoria di Serri, assemblee di rango più elevato decidevano su gruppi umani più ampi. Le riunioni di rango elevato venivano indette per l’elezione di un individuo importante, ad esempio un sovrano: il Sardus Pater. Tali motivi scaturiscono dall’attenta analisi sociale di civiltà affini: etrusca, minoica e micenea. La società etrusca, nella fondazione di Roma, elaborò un sistema basato sui comizi curiati, che votavano una lex curiata de imperio che conferiva e rimuoveva i poteri del rex sacrorum. Il sovrano era eletto e investito o rimosso dal suo incarico solamente per mandato dell’assemblea dei rappresentanti delle tribù. Nell’ambito cretese di cultura minoica si ritrova la stessa procedura per il Wanax, il supersignore sovrano – sacerdote, che come reggente i poteri per investitura religiosa veniva eletto dall’assemblea, in una sola famiglia reale, con un mandato di nove anni. Perché non applicare questo criterio anche al popolo nuragico, componente la Lega dei Popoli del Mare?

 

In un continuum culturale, questa forma politica radicata e collaudata sopravvive in Sardegna sino all’Alto Medioevo. Infatti la Corona de Logu, assemblea dei notabili del regno, conferiva e revocava il mandato del Giudice – sovrano. Torniamo al XIV sec. a. C. In un vaso, proveniente da Knosso e detto del “Capo”, c’è un alto personaggio in tunica, con in testa una corona di fiordalisi piumata, con il braccio destro steso. A questa descrizione familiare accostiamo il Sardus Pater di Genoni. Le somiglianze col sovrano del vaso cretese sono palesi e completano un quadro di similitudini, culturali e tecnologiche, più che ampio. Nel vaso c’è un’altra figura, più piccola e perciò subordinata, che impugna con la destra una grande spada appoggiandola alla spalla e con la sinistra un grosso bastone nodoso più alto del copricapo – casco. Spontaneo è l’accostamento col Capotribù di Uta: la grossa spada brandita con la destra e poggiata sulla spalla e un bastone nodoso brandito con la mano sinistra. Etruschi, minoici e micenei, ebbero la necessità di eleggere sovrani “federali” in eventi particolari. L’impero miceneo, costituito da principi e signorotti, durante la guerra di Troia demandò i poteri a un sovrano unico: il leggendario Agamennone. È giusto quindi pensare che, durante l’attacco ai grossi imperi del Levante, anche i capi shardana abbiano concentrato pieni poteri su un unico individuo: il Sardus Pater, inteso quasi come un dictator della Roma arcaica, individuato come guida del popolo e de su Rennu nuragico.