Gli elementi di cultura materiale rinvenuti nei contesti archeologici sardi hanno permesso di osservare che sin dal lontano Neolitico le genti sarde si sono profondamente votate alla Dea Madre. Dalle forme tornite delle statuette, in arenaria e in steatite, alle forme tombali quali le domus de janas, che riproducono l’utero materno con il liquido amniotico, la religiosità dei sardi ha sempre manifestato una vocazione per la divinità femminile tipica dei popoli mediterranei. L’ipogeismo dell’Età del Ferro e le forme statuarie in bronzo confermano che questo culto si è protratto attraverso i millenni e ancora si riproporrà incolume sino al Cristianesimo. Le indagini di scavo, relative alla preistoria e alla protostoria sarda, purtroppo vanno molto a rilento sia per la penuria di fondi sia per la mancanza di reale interesse da parte degli studiosi preposti. Non è errato sancire che dell’intero patrimonio monumentale in Sardegna ora si conosca solo il 5% circa e che se non fossero state effettuate le indagini dai primissimi del Novecento sino agli anni ’50 non si conoscerebbe quasi nulla.

 

Sulla sacralità dei monumenti sono state spese innumerevoli parole attraverso gli studi soprattutto del compianto Professor Giovanni Lilliu, naturalmente non tutti coerenti e concisi in considerazione di una ricerca ai primordi. Numerose ipotesi, non sempre felici nella composizione, sono state avanzate da ricercatori “non allineati”, i quali tuttavia sono sempre sembrati più interessati a primeggiare in un’improbabile discussione che vede tutti i nuraghi necessariamente come castelli o come templi. Tralasciata questa sterile e farraginosa diatriba possiamo volgere lo sguardo verso alcune particolari strutture, non ancora ben inquadrate, con la pianta simile a quella di un pozzo sacro ma ben emerse dal terreno.

 

L’edificio che meglio riassume questo inquadramento è quello di Su Monti di Sorradile, dalla forma rotonda e imponente che ricorda un nuraghe, aperta in un vestibolo con due pareti parallele dette antis, fornite di sedile. Al suo interno l’ambiente circolare viene marginato da tre grandi nicchie proprio come le camere dei nuraghi. Al momento dello scavo l’edificio ha rilevato la presenza di un ricco ripostiglio di bronzi interrato nella nicchia di fondo, ma soprattutto è stato rinvenuto al suo interno un elemento di arredo particolare. Al centro della sala è stata ritrovata infatti una vasca di pianta trapezoidale con due pilastri posti in due vertici. L’oggetto risulta coronato da conci modanati, sui quali nell’antichità venivano infissi dei bronzetti, e da due capitelli – di cui al momento ne rimane solo uno – con decorazione a raggiera, posti sopra i due pilastrini. La vasca risulta – a detta degli archeologi Santoni e Bacco – composta da blocchi martellinati tenuti da grappe di piombo, segno questo che serviva a contenere dei liquidi, mentre su uno dei capitelli e su parte del fondo rimane uno strato di cenere, come se al suo interno fosse stato contenuto un braciere. Quest’informazione sembrerebbe di poco rilievo ma se confrontata con altri contesti colpisce in realtà quanto un fulmine a ciel sereno.

 

Nell’area di S’Arcu de is Forros di Villagrande Strisaili, venuta alla ribalta da pochissimo, si rinvenne una sorta di altare smantellato, oggetto della notorietà, dalla facciata di conci di colori diversi disposti a filari alternati, con una modanatura di coronamento e una sorta di grosso capitello decorato a raggiera. In origine l’altare non stava nella posizione attuale, in fondo al megaron II, ma un po’ più a Ovest, dentro un edificio a pianta circolare aperto in un ingresso ad antis munito di sedile, situato nei pressi del megaron I. Si è scoperto che sulla sommità dell’altare stava un braciere circolare centrale e che alle spalle doveva essere presente una sorta di vasca per contenere dei liquidi, visto che i conci risultano saldati tra di loro da colate di piombo. Ci spostiamo ancora a Santa Vittoria di Serri, dove puntiamo alla capanna 32, detta Capanna del Capo. La planimetria è la stessa: rotonda con apertura in antis,  in cui le due parti risultano edificate contemporaneamente e munite di sedile.

 

 L’interno dell’ambiente è caratterizzato da quattro nicchie e nel pavimento lastricato si è rinvenuto un crogiuolo in pietra. Non si rinvenne invece la vasca di cui abbiamo parlato per i precedenti contesti, tuttavia non pochi indizi ci portano a considerare che vi fosse: il primo riguarda la presenza di colate di piombo nel pavimento: il piombo veniva infatti utilizzato per saldare i contenitori per liquidi; il secondo indizio riguarda il rinvenimento, in un’area un po’ più distante – per esattezza davanti al pozzo – di conci con presenza all’interno di colate di piombo e la caratteristica modanatura in pietra con scolpito il motivo a raggiera. Nella località de Sa Carcaredda, nel comune di Villagrande Strisaili, a pochi chilometri di distanza dall’area di S’Arcu de is Forros, si trova invece un tempio, dalla consueta pianta rotonda, a cui si accede tramite un antis delimitato da un sedile. Di dimensioni leggermente inferiori rispetto ai contesti precedentemente descritti, anche questo tempietto ospitava un “focolare rituale” esposto ora al Museo di Nuoro, formato da conci rifiniti con un capitello decorato a raggiera, il tutto circondato da un basso muro funzionale che costituiva la vasca per i liquidi.

 

Tornando indietro di qualche chilometro e trasferendoci nell’area di Gremanu, agro di Fonni, nella parte chiamata l’acquedotto, osserviamo la stessa tipologia di monumento composto da due diverse porzioni, una rettangolare e una circolare. Il settore rettangolare consta in una vasca dove la parte inferiore è ricavata in un unico blocco per evitare fughe di acqua, mentre la parte superiore è rifinita in conci saldati da barre e da colate di piombo. Il settore circolare, assemblato alla vasca rettangolare, è ubicato sopra una fonte sotterranea, e al momento dello scavo mostrava conci con cornici in rilievo nonché decorazioni triangolari con profonde modanature simili alle decorazioni a raggiera dei bracieri di cui sopra. Da questa zona situata a mezza costa l’altare venne poi spostato più a valle e, come a S’Arcu de is Forros, inserito nel megaron b. Era composto in origine in conci di trachite rosa e assemblato da verghe di legno tenute da un impasto di argilla, in modo da reggere il peso del braciere. Ancora simile doveva essere l’edificio all’interno del recinto megalitico di Monte Nuxi di Esterzili, che presenta sempre l’inconfondibile pianta rotonda aperta in un antis con sedile, anche se gli scavi tuttora in corso non hanno restituito ancora nessuna traccia dell’altare-braciere. Così in queste località come in molte altre chi scrive sta identificando in queste ore quel particolare edificio dove le popolazioni nuragiche usavano tenere un altare con acceso un fuoco sacro accanto ad una vasca contenente liquidi, verosimilmente acqua. A chi fosse somministrato questo rituale non siamo tuttora in grado di esternarlo con sicurezza ma, dati i rinvenimenti, possiamo affermare con un buon margine di sicurezza che fosse celebrato alla presenza delle statuette bronzee che commemoravano particolari defunti, quasi a voler infondere loro un attributo particolare. Tale attributo pare univoco se si confronta la simbologia espressa dalla tipicità e dalla forma del monumento, spesso circondato da un muro ellittico, con la simbologia della figura mediterranea dell’ank, spesso riprodotta circondata da un ellisse, così chiaro da esprimere un solo urlo e un solo significato: vita!