Due storie di emigrazione lontane nel tempo e nello spazio percorso, nella motivazione, nei propositi e nel destino. Si incontrano nella città dei Navigli e si ritrovano in una comune nostalgia: Antonio la scrive, Cristina la canta.

 

Antonio Coloru nasce a Ozieri nel 1932, inizia presto a lavorare nei campi, lascia la Sardegna nei primi anni Cinquanta dopo il servizio militare. “L’agricoltura in Sardegna per noi era finita”, dice. “Arrivava il grano dall’America. Quindi partivamo, uno dopo l’altro”. Emigrò a Milano seguendo una sorella e un fratello, in seguito sarebbero stati raggiunti dai genitori: dal 1951 al 1962 Milano assorbì 400.000 immigrati. Il primo lavoro di Antonio fu presso una galleria come venditore di tappeti persiani, ma la professione trentennale fino alla pensione fu quella di ispettore alla diffusione pubblicitaria presso una grande azienda. Sposò una donna siciliana, ebbero un figlio e due nipoti.

 

Antonio è un uomo riservato, la sua voce è bassa, le parole intercalano sorrisi denotanti una certa timidezza; la cadenza milanese si appoggia sopra un puro accento sardo mai perduto nei sessantanni di vita al centro dell’area metropolitana più popolata d’Italia, forse perché assiduo è stato il suo ricercare la cultura d’origine presso il Circolo Sociale Culturale Sardo della città. “Alla pensione iniziai a prendere lezioni di chitarra, poi dovetti smettere perché in quel periodo morì mia moglie. Allora iniziai a scrivere”, racconta. Scrisse della Sardegna, dei suoi luoghi e della sua gente, dei corteggiamenti presso la fontana de paese e dell’amore perduto, di mestieri, dell’orgoglio, di Ozieri, e scrisse anche della nostalgia degli emigrati. Compose quello che i suoi fratelli più grandi cantavano da ragazzi, scrisse per riempire il vuoto generato dal ricordo e spiega che è stato come farli cantare ancora. Circa settanta le canzoni registrate alla Siae, a voler proteggere la memoria della sua origine.

 

Cristina la sua terra la canta e forse il momento più intimo è quando intona Recuerdos de Ypacaraí, parole scritte da  Zulema de Mirkin nel 1950 sopra la musica della chitarra di Demetrio Ortiz, il quale due anni prima, da emigrato in Argentina, aveva composto queste note ricordando un vecchio amore della sua terra, il Paraguay. Cristina Vera Díaz nasce nel 1968 a cinquanta chilometri dal lago Ypacaraí, nella capitale del paese, Asunción. Venne introdotta alla musica all’età di otto anni, ai diciassette iniziò il canto. “Volevo diventare insegnante di musica, quindi iniziai a studiare all’Instituto Formación Docente ma dopo poco tempo fui espulsa perché cantavo musica di protesta, contro la dittatura che governava il mio paese. Avevo diciotto anni”, ricorda. Per continuare la carriera lasciò il Paraguay e andò a vivere in Argentina, frequentò la Faculdad de Humanidades y Artes di Rosario, indirizzo musica: in questa università il suo primo lavoro, come corista e solista. L’ingresso nella classe di canto del mezzo soprano argentino del prestigioso Teatro Colon, Noemi Souza, fu seguito da una serie di borse di studio che la condussero in diversi paesi del mondo fra Usa, Asia ed Europa. In Germania varcò gli scenari dell’opera lirica.

 

Una vita di viaggi, interpretazioni, e quella voce di due ottave che risuona liscia e decisa fra gli acuti de La regina della notte di Mozart. Numerosi i concerti di oratorio e lieder, interpretando Mendelssohn, Mozart, Bach, Haendel, Schubert, Brahms, bonne chansons di Fauré e Debussy, e autori latinoamericani. “Nel 2000 vinsi una borsa di studio di 4 mesi per perfezionamento in canto lirico istituita dal Governo Italiano per l`America Latina; scelsi l`Accademia Chigiana”, rievoca. Un master class con Ernst Haefliger e le soprano Gabriella Ravazzi e Raina Kabaivanska; nello stesso anno al Teatro Monicelli di Orvieto interpreta la Susanna di Le nozze di Figaro. Nel 2003 sarà una delle voci esemplari del Gran Galà Internazionale di Broni e vincitrice del

 

Concorso Internazionale Porana Lirica e del premio Giulotto di Pavia. Continuano i concerti, i voli, i palchi, le parti, i costumi; appena può rientra in Paraguay, dove nel 2008 canta l`inno nazionale davanti al neo presidente Fernando Lugo nel giorno in cui prese ufficialmente potere decretando la fine del governo dittatoriale e l`inizio di un periodo di speranza per la rinascita economica e sociale di questo paese in cui, nonostante sia il quarto produttore e sesto esportatore mondiale di soia ed il nono esportatore di carne bovina, quasi quaranta persone su cento vivono nella fascia della povertà. Cristina Vera Diaz è ritenuta la maggiore soprano paraguaiana. Ambasciate, Consolati e Organizzazioni non governative sono i suoi legami estesi nel mondo, attraverso i quali lavora per la sua gente e per il futuro del suo paese nell’ambito della cooperazione internazionale. Da altre latitudini, lontana migliaia di chilometri, si inoltra nella sua origine più pura, lo fa sui pachi cantando barocco Guaraní e nei teatri interpretando  per la prima volta in Paraguay e Argentina la più nota opera del compositore brasiliano Antônio Carlos Gomes, Il Guaraní, portandola poi a Mosca, New Delhi, Calcutta e Cipro nel 2009. I guaraníes sono i popoli indigeni del Paraguay, oltre che di una parte dell’Argentina, del Brasile e della Bolivia. A loro si dedica quasi a tempo pieno giù dai palchi, presso l`Associazione Guaraní Rekávo che ha fondato a Milano nel 2006, e lavorando costantemente in progetti di sviluppo dell’identità indigena paraguaiana, un patrimonio umano ancora diffuso, una memoria latente da riscoprire.

 

Cantava un repertorio di musiche latinoamericane quel giorno che il circolo sardo di Milano chiese la sua esibizione; cantava in spagnolo e guaraní ad un pubblico di sardi. Quel giorno conobbe Antonio Coloru e la sua storia. “Il logudorese l`ho trovato dolce come il mio guaraní. I testi delle sue canzoni mi hanno emozionata, erano diretti e parlavano di nostagia per la sua terra e di amore”, confessa. Prenda mia, Ma pruite, Torra amore torra, sono alcuni dei titoli della raccolta inedita Canta Sardigna Canta di Antonio Coloru, che Cristina ha cantato dopo aver studiato per alcuni mesi il logudorese e la sua pronuncia fino ad essere pronta a consegnare quelle parole alla musica semplice della chitarra classica, in un canto di raffinata melodia. Cristina Vera Diaz canta la Sardegna pensando al suo lontano Paraguay, entra nei testi e i componimento di Antonio Coloru diventano voce suprema che consegna il suo pensiero al tempo, ricordando alla storia quelle partenze inesorabili, di addii, di nuove vite, di sofferte e sentite profonde origini.