Si è svolto a Zurigo l’appuntamento per la Giornata della Donna organizzato dal circolo “Efisio Racis” in collaborazione con la Federazione dei circoli sardi in Svizzera e dal Comitato degli Italiani all’Estero. L’incontro è stato introdotto dal musicologo Stefano Lai che ha presentato il filmato “Suoni e immagini della memoria sarda – dagli anni 20 ai 50”. La giornata è stata introdotta dal Presidente del sodalizio sardo, Mario Usai, che ha portato i saluti ai presenti in platea e dal Presidente della Federazione dei circoli in Svizzera Antonio Mura. Commosse le sue parole nel ricordare la terra lontana, nel cuore del Mediterraneo, culturalmente ricca e sempre propositiva nel far apprendere le proprie peculiarità anche al di fuori dei propri confini, con personaggi come la professoressa Maria Lucia Piga, ospite per l’occasione in terra elvetica.

 

L’augurio di Mura a tutte le donne presenti è stato quello di riuscire ad esser registe della propria esistenza, bandendo così costrizioni e violenze di ogni genere. Anche Domenico Scala, membro della Consulta per l’Emigrazione, ha portato il suo saluto e il suo pensiero sul ruolo della donna nella società moderna, insidiata da scompensi e problematiche nell’equilibrio spesso precario nei rapporti umani. Il piatto forte quindi è stato proprio quello presentato dalla Professoressa Piga, docente di sociologia all’Università degli Studi di Sassari nel dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali che ha proposto la sua relazione sulla criticità della condizione femminile tra macchinazioni nascoste e violenza manifesta.

 

Il suo intervento ha avuto una introduzione sui significati della ricorrenza dell’8 marzo e i suoi contenuti reconditi: dalla scelta di istituire formalmente una giornata della donna grazie a Clara Zetkin che il 29 agosto del 1910 a Copenaghen,  durante i lavori della II conferenza internazionale delle donne socialiste, presentò una mozione assunta poi come risoluzione, che doveva servire a sensibilizzare l’opinione pubblica circa il diritto al voto delle donne. La data dell’8 marzo venne poi ufficialmente proposta dalla stessa Zetkin nella seduta conclusiva della II conferenza delle donne comuniste che si tenne a Mosca dal 9 al 14 giugno 1921.  Perché l’8 marzo? In realtà ci si riferisce a un fatto realmente accaduto il 25 marzo del 1911 a New York, quando 146 tra operai e operaie di una fabbrica tessile (la Triangle Shirtwaist Company) morirono durante un incendio. Per controllarli meglio, il padrone li aveva chiusi dentro; così intrappolati non avevano potuto mettersi in salvo. Successivamente la celebrazione dell’8 marzo è stata messa in relazione con un analogo episodio avvenuto a Boston nel 1908 ma non storicamente accertato. In Italia l’8 marzo è stato celebrato per la prima volta nel 1922. La professoressa Piga ha poi analizzato il cammino del femminismo quale espressione di un movimento, nato in Italia (ma con origini statunitensi) alla fine degli anni sessanta e poi sviluppatosi lungo il corso degli anni settanta. Il femminismo – sottolinea la professoressa – è la pratica della solidarietà collegata al pensiero della differenza di genere.

 

Questa pratica si identifica soprattutto con l’autocoscienza, intesa come relazione di aiuto e sostegno reciproco tra donne, che consiste nel mettersi l’una di fronte all’altra per analizzare i nodi in profondità: da qui la forza e la responsabilità personale. Le femministe di oggi conoscono la mediazione e sono il frutto del dialogo (e non della contrapposizione) con le loro madri, mentre le femministe storiche avevano fatto, allora, delle scelte radicali di contrapposizione al sistema patriarcale. Nella gran parte dei casi questo è stato deflagrante, destabilizzante, ha dato luogo a rivoluzioni e rotture nelle relazioni, nelle istituzioni e nelle visioni del mondo. Con il femminismo le donne scoprono che possono decidere che donne vogliono essere, possono chiedersi se “si piacciono”. Storicamente il femminismo ha guidato una rivoluzione nel costume, consentendo alla donna di credere nella propria autonomia decisionale. La base di questa rivoluzione è stata il riconoscimento e ri-appropriazione del corpo come qualità irriducibile delle donne e dunque l’attenzione verso i temi della  sessualità, l’emergere di una diversa consapevolezza nelle relazioni. Da ciò è derivata la preoccupazione per la maternità responsabile e l’impegno per la conoscenza delle pratiche contraccettive, soprattutto attraverso il ruolo dell’AIED (Associazione Italiana Educazione Demografica), la diffusione dei consultori, le battaglie per aborto, divorzio, nuovo diritto di famiglia.

 

E poi il ruolo della donna in politica: dalla conquista storica del diritto di voto nel 1945 alle esigue rappresentanze alla Camera e in Senato. La questione delle quote rosa, in Italia bocciate nei primi anni novanta (e poi ri-bocciate proprio nel marzo 2014) perché “discriminatorie” nei confronti degli uomini. E il lavoro: solo dal 1971 non si possono licenziare donne perché incinte. In Italia è diminuito indice di dissimilarità dell’occupazione. L’Istat 2012 rivela che la disoccupazione giovanile tra le donne (15-24 anni) ha raggiunto il 37,1%. Le donne guadagnano meno degli uomini e hanno più difficoltà a trovare lavoro, e questo sebbene le donne abbiano migliorato negli anni il loro livello di istruzione e formazione  rispetto agli uomini, non riescono a conseguire la stessa affermazione professionale degli uomini, stentano a trovare lavoro. Nell’istruzione invece c’è stato il sorpasso: In certi casi i percorsi scolastici sono talmente femminilizzati che si parla di segregazione di genere. In Italia tasso di scolarità femminile supera quello maschile: frequentano le scuole superiori: 82,9% delle ragazze; 79,9% dei ragazzi. Conseguono il diploma: 78% delle ragazze, 70% dei ragazzi.

 

Acquisiscono la laurea in corso: 38,6% delle iscritte, 32,8%degli iscritti. La professoressa Piga ha concluso il suo intervento parlando delle insidie nascoste e della violenza manifesta nei confronti delle donne. D’obbligo parlare di femminicidio quale espressione di un raptus e di una costruzione sociale di disprezzo che inferiorizza il soggetto debole, donna nella gran parte dei casi. Non è un’emergenza ma la quotidiana normalità di una costruzione che nel tempo ha cambiato segno. Alcuni dati sul femminicidio fanno emergere che la cifra dal 2005 al 2013 è in costante crescita (da 84 a 133 casi).