Infinite distese di ulivi caratterizzano i paesaggi e colori della Sardegna, dal Sassarese fino alle piane del Campidano.

Secondo antiche leggende, le olive e la produzione dell’olio sarebbero arrivate nell’Isola con Aristeo, eroe greco figlio di Apollo e Cirene che insegnò ai mortali l’olivicoltura, oltre all’apicoltura, la pastorizia, la produzione del formaggio. In realtà l’archeologia ci racconta un’altra storia: i sardi conoscevano i frutti di ulivi e olivastri fin dal Neolitico, e tracce di queste piante sono state trovate in strati del Neolitico Medio nella Grotta Rifugio a Oliena; l’archeologo Giovanni Lilliu, studioso del nuraghe e del villaggio nuragico di Barumini, aveva individuato un piccolo ambiente del sito come laboratorio per la produzione dell’olio. Non sappiamo quando precisamente si iniziò a praticare la coltivazione sistematica degli ulivi, quel che è certo è che l’olio e le olive da secoli accompagnano la dieta dei sardi.

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L’olio extravergine di oliva, ottenuto dalla spremitura dei frutti, è da sempre alimento prezioso e caratteristico della dieta mediterranea, e da tempo sono ben noti i benefici di questo ingrediente per la salute dell’uomo sin dalla primissima infanzia. Tra i tanti effetti positivi confermati da studi clinici ed epidemiologici ci sono quelli sul sistema cardiocircolatorio, con la diminuzione del colesterolo cattivo (Ldl) in favore de del colesterolo buono (hdl), sui sistemi gastro-intestinale, nervoso, immunitario e dermo-epiteliare. Indagini recenti sostengono inoltre che uno dei componenti dell’olio, l’idrossitirosolo, avrebbe effetti benefici sulla riduzione della densità del seno a sua volta legata al rischio di sviluppare tumori.

L’olio extravergine di oliva, infine, è sempre consigliato da dietologi, nutrizionisti, istruttori sportivi per la sua capacità di proteggere dall’invecchiamento cellulare e migliorare le prestazioni sportive.

L’importanza della coltivazione degli ulivi e degli innesti sugli ulivastri è documentata sin dall’età medievale e considerata strategica nei monasteri, dove olive e olio erano utilizzati, oltre che in tavola, per unguenti medicamentosi e nelle cerimonie liturgiche.

La toponomastica è ricca di nomi che testimoniano la diffusione dell’olivicoltura in tutta l’Isola. Nel Cinquecento lo studioso Giovanni Francesco Fara, storico, geografo ed erudito, nella sua “Chorographia Sardiniae”, scriveva che i territori di Bosa, Logudoro e Alghero erano fecondi di ulivi, e dal Seicento gli spagnoli trasformarono queste colture in produzioni capaci di portare reddito grazie anche all’arrivo di innestatori professionisti dalla Spagna.

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Durante il periodo sabaudo, tra la fine del Settecento e l’Ottocento, fu dato un ulteriore impulso alle tecniche di coltivazione e nel 1806 il re Vittorio Emanuele emanò un editto con cui concedeva titoli nobiliari a chiunque avesse impiantato almeno quattromila olivi nell’Isola. Fu così, grazie alla piantumazione di ottomila piante nella tenuta di Villa d’Orri, vicino a Sarrroch, che don Giovanni Manca di Villahermosa ottenne il titolo di Marchese di Nissa.

Nella metà del Novecento la riforma agraria emanata dal governo De Gaspari mentre il sardo Antonio Segni era ministro dell’agricoltura portò nuovi investimenti, progetti e infrastrutture  gestiti dall’Etfas (Ente di Trasformazione Fondiaria e Agraria della Sardegna): aumentarono i terreni piantati a ulivi e vennero introdotte nuove varietà toscane e siciliane, che si affiancarono alle produzioni sarde come Bosana, Ogliastrina, Semidana, Nera di Gonnos, Tonda di Villacidro e Tonda di Cagliari e all’antichissima Pitz’e carroga diffusa soprattutto a Villamassargia.

Oggi quella dell’olivicoltura è nell’Isola una bella realtà di eccellenza: dal 2007 l’olio extravergine di Sardegna è riconosciuto dall’Unione europea come marchio dop, e sono sempre più numerose le aziende sarde che cercano qualità e caratteristiche ben precise.

L’armonia, in primis: il giusto equilibrio tra profumi e sapore è uno dei parametri che ci permettono di distinguere un buon olio extravergine da un prodotto di basso profilo.

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Nicola Solinas in laboratorio

Lo sanno bene Nicola Solinas e sua moglie Valentina Deidda, che dopo aver rilevato l’uliveto di famiglia a Villacidro nel 2006 hanno dato vita all’azienda agricola Masoni Becciu. In 13 anni da una produzione iniziale di 500 litri hanno raggiunto i trenta mila litri, da cinque ettari di ulivi oggi ne contano 38 e impiegano dieci persone per ogni stagione di raccolta; hanno conquistato decine di premi nazionali e internazionali e nel 2018 il Biol, premio internazionale dedicato alla qualità dei prodotti alimentari, ha riconosciuto il Masoni Becciu come il miglior olio biologico al mondo. Un successo strepitoso, arrivato grazie all’impegno e alla cura nella coltivazione e nella produzione delle olive.

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Masoni becciu, Villacidro (SU)

L’azienda di Solinas e Deidda, come tante altre aziende sarde, ha scelto di investire sulla qualità, le nuove tecnologie, lo studio applicato all’agricoltura, il coinvolgimento del territorio e anche sulle risorse messe a disposizione dall’Unione europea, dal Ministero per le politiche agricole e la Regione Sardegna per migliorare e modernizzare il lavoro.

Una strategia vincente, che porta la Sardegna sul podio delle produzioni di eccellenza con un prodotto, l’olio extravergine di oliva, amato e apprezzato in tutto il mondo.

Francesca Mulas

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