Nascere ad Aarau significa conoscere Tuili attraverso le parole e la nostalgia di genitori immigrati. Per Rosanna Erbì, nei primi nove anni della sua vita, la Sardegna è stata l’isola che la accoglieva a luglio: le passeggiate in Giara a respirare il profumo selvatico della macchia mediterranea, la festa dei parenti, il mare del Poetto. Poi c’era la Svizzera, la vita organizzata, il benessere del lavoro, la fortuna di vivere in un quartiere multietnico e accuditivo dove ciascuno dava una mano all’altro perché insieme ci si sente meno stranieri e un po’ più a casa.

 

“Ho ricordi dolcissimi di quel periodo”, rievoca lei.. “Babbo e mamma erano operai specializzati, tutti gli operai abitavano in palazzi immersi in giardini curatissimi accanto alle fabbriche. Ricordo il momento prima della cena quando tutti i bambini stavano in giardino a giocare e per gli adulti era tempo di pausa e di incontro. C’erano spagnoli, turchi e italiani di diverse regioni. Quando mamma era in turno io stavo a casa di Renza, la  vicina, una signora veneta”.

 

I genitori partono in Svizzera nel 1964, la possibilità di lavoro giustamente retribuito per entrambi e l’opportunità di costruire il futuro era sufficiente a motivare la scelta di lasciare Tuili.  Saranno immigrati per quasi dieci anni. A casa si tornava una volta l’anno: a luglio per onorare S. Antonio Abate, festa nella festa lunga un mese. E si vedeva la casa casa crescere e i sacrifici avevano un senso concreto. Poi, a settembre del 1973, la scelta di rientrare a Tuili, scelta non semplice: la casa ultimata, qualche soldo da investire nell’acquisto di terra ma la promessa troppo lontana di un lavoro e l’insicurezza economica molto più vera.

 

“ Non è stato semplice, ma anche l’ultimo periodo in Svizzera è stato molto difficile”, ricorda Rosanna. “Tornare era una scelta obbligata. A sei anni dovevo iniziare la scuola dell’obbligo, ma in Svizzera non c’erano scuole italiane, per questo io stavo in Piemonte a Domodossola, in collegio dalle suore. I miei venivano a trovarmi una volta al mese, un viaggio lunghissimo: attraversavano la Svizzera in treno, si stava assieme qualche ora e poi di nuovo la separazione.”

 

Del periodo di Domodossola Rosanna non parla, troppo lontano e troppo doloroso per ricordare. Per questo i genitori decidono di lasciare la Svizzera , lasciare  tutto ciò che per dieci anni era stata casa e famiglia, amici, sogni e la sicurezza del benessere economico per un benessere più vero, perché nessun sacrificio ha senso se non si può stare vicino alla propria bambina, vederla crescere ogni giorno e saperla serena.

 

“Anche il rientro è stato difficile, il lavoro promesso a mamma era un miraggio, babbo ha iniziato con piccoli lavori a mantenere tutta la famiglia che nel frattempo era cresciuta perché nell’agosto del 1974 era nato mio fratello Massimo. Anche per me è stata dura, a scuola ero la diversa: vestivo e a parlavo con un altro accento, avevo giochi differenti e non riuscivo a sentirmi a casa, inoltre in Sardegna il reddito,  la gestione del tempo e l’organizzazione erano un’altra realtà rispetto a quella a cui ero abituata”, analizza oggi la bambina di allora.

 

Rosanna frequenta elementari e medie a Tuili, nessuna delle sue compagne prosegue gli studi, per le ragazze del 1964 a Tuili la scelta di essere mamme e mogli era quella più naturale. Per alcune accettare lavori da  domestica, in paese,  poteva essere una emancipazione economica maggiore. Il padre le permette invece di dare una mano nello studio di un geometra di Tuili. Sarà lui a spingere Rosanna a proseguire gli studi al Liceo artistico a Cagliari.

 

Rosanna prosegue nella sua narrazione: “Il mio sogno era diventare disegnatrice e lavorare negli studi dei geometri. Raffaele Sanna è stato il primo a farmi capire che avrei potuto farlo. A lui devo molto, a lui ma soprattutto ai miei genitori che  mi hanno permesso di proseguire gli studi e ci hanno creduto quanto me. Subito dopo il diploma ho iniziato le collaborazioni con gli studi tecnici, abitavo a Cagliari e rientravo a Tuili solo il fine settimana. Il paese era di nuovo diventato quello del relax, distante dalla vita quotidiana che invece aveva realtà e ritmi lavorativi cittadini. Ricordo di aver attraversato un periodo in cui ci si vergognava di essere sardi, in tv ridicolizzavano l’accento e la Sardegna era banditi o pastori o incendi. Ero alla ricerca di un’identità che non trovavo. Avevo nostalgia della neve, ancora adesso mi mancano i paesaggi candidi. Non potevo concepire una vita a Tuili, preferivo la città lontana dalle tradizioni e con una storia ancora da scrivere, ma non potevo stare un fine settimana senza tornare dai miei”.

 

Ma a 24 anni la possibilità di frequentare un corso di artigianato sardo promosso dal Cif (centro italiano femminile) di Cagliari è stato il modo per scoprire e ritrovare un’identità mai capita. Ancora Rosanna: “Ho frequentato il corso perché volevo diventare progettista di artigianato sardo. Non lo sono mai diventata, ho invece  scoperto la storia e il grande valore dell’artigianato della mia isola e di pari passo ho scoperto il valore di essere sarda. Ho trovato quell’identità tanto cercata. Quello è stato l’inizio di un lavoro di consapevolezza personale culminato con la partecipazione alla stesura del libro S’Istoria de su traballu in Marmilla. Le mie radici, la mia storia l’ho scoperta raccogliendo le testimonianze di venti maestri di antichi mestieri del mio paese: agricoltori, pastori, macellai, falegnami, muratori, fabbri, impagliatore di scanni, calzolai, barbiere, panificatori, suonatore e costruttore di launeddas, conciatore di pelli, pittore. Tornavo in paese per raccogliere le testimonianze: un lavoro bellissimo, ho incontrato persone straordinarie e sono grata a ciascuno di loro per la ricchezza che mi hanno trasmesso. Il tempo dedicato a loro è diventato tempo di scoperta della mia storia, di quella dei miei genitori, tempo in cui ho rafforzato la mia appartenenza ad una cultura antica e straordinaria”.

 

Per questo Rosanna Erbì ringrazia tutte le persone che con generosità, disponibilità e cortesia hanno raccontato sé stessi: il conciatore di pelli Sebastiano Cau, gli agricoltori Beniamino Cera, Eustachio Manca, Ignazio Piras, Ennio Pitzalis e Ianico Zaccheddu,  l’impagliatore Quartino Ghiani e la moglie Elide Cotza per la creazione delle palme, la bottegaia Irma Pitzalis, il suonatore di Launeddas Franco Melis, il selciatore Mariano Melis, i muratori Pietrino Melis e Mariano Murru, il barbiere e sarto Efisio Pitzalis, il pittore Mario Sanna, i pastori Franceschino Sanna e Donato Serra, la panificatrice Efisia Vinci, il calzolaio Tarcisio Zaccheddu, il falegname Eligio Zonca, Benigna Cotza vedova del fabbro ferraio Antonio Lai e Nunziata Maccioni vedova del macellaio Giuseppe Melis.

 

Che gli anziani siano custodi del tempo e rappresentino il valore più vero nella  storia dei piccoli centri lo sanno i fondatori dell’Associazione culturale Sa bértula antiga che ha proposto il lavoro di raccolta di testimonianze alla Provincia del Medio Campidano e ai Comuni di Villanovafranca, Las Plassas, Barumini, Gesturi, Tuili e Setzu che hanno contribuito alla pubblicazione di un libro interessante e prezioso. La presentazione del lavoro a Tuili si è tenuta a Villa Asquer  alla presenza dell’ ideatore e curatore del progetto Rinaldo Spiga, del coordinatore  linguistico dell’Associazione culturale Sa bértula antiga Giuseppe Orrù, dell’esperto di lingua sarda traduttore e interprete Alessandro Biola, della curatrice delle testimonianze degli antichi mestieri di Tuili Rosanna Erbì, e di un pubblico esiguo. La presentazione ha visto la scelta poco felice di un venerdì, la poca pubblicità, l’imperdonabile assenza  del sindaco e del suo vice e la presenza di una frettolosa assessora alla Cultura che non sono stati il giusto tributo al lavoro di chi per tanti anni è stato testimone di storia e con le mani ha creato e fatto cultura a Tuili. Di chi è maestro del proprio mestiere ma in quanto anziano è soprattutto maestro di vita.

 

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