Il pittore Filippo Figari, partecipa ad  alcune rassegne  importanti dell’epoca: quattro edizioni  della Biennale di Venezia (1930, 1932, 1934, 1936); dieci Mostre Sindacali Regionali (1930-39), due Quadriennali (1931, 1939), due Sindacali Nazionali (Firenze 1933; Napoli 1937). La partecipazione alle numerose mostre sono l’occasione per presentare una produzione inedita da cavalletto che lo lancerà su un altro piano artistico. Tanto che si pensa per un momento ad un nuovo Figari, distaccato dal creatore di grandi cicli pittorici.  Egli comincia ad esporre una serie di lavori di piccolo formato, che esaltano aspetti nuovi nel modo di trattare il tema folklorico (che evidenzia la singola bellezza di ogni soggetto).

 

Se già nei pannelli per il Provveditorato alle Opere Pubbliche e nella pala di Mussolinia (attuale Arborea) l’artista sembrava in parte rinunciare all’enfasi simbolica dei cicli precedenti, in favore di un narrare più calmo e di un maggiore interesse per la resa documentaria della realtà isolana, i ritratti in costume che realizza intorno agli anni Trenta segnano un ulteriore passo avanti in tale direzione. Poiché, in questi confluisce in modo significativo l’esperienza di ritrattista coltivata ai margini dell’attività di decoratore, ma anche questa, ha contratto con la dimensione mitica legata alle rappresentazioni popolari, assume una connotazione diversa. In tal caso, ne viene fuori una strana combinazione di naturalismo e stilizzazione, di approccio analitico e sintesi grafica. Il risultato è sorprendente, la sensibilità nel cogliere l’individualità del soggetto, nobilitando al tempo stesso nel portamento la capacità di piegare il talento di colorista al dato visivo senza disperdere del tutto la carica fantasiosa in esso rimarcata, danno ai ritratti in costume un fascino paragonabile all’epica visionaria degl’anni Dieci.

 

Per quanto in termini generali la pittura di Figari abbia ormai perso di attualità rispetto al contesto internazionale, le sue donne di Atzara hanno una intensità straordinaria. L’universo familiare del folklore gli permette di non irrigidirsi formalmente, accogliendo spunti poetici ampiamente diffusi nella pittura di quegl’anni. La maggior cura descrittiva dei costumi arricchisce lo sforzo di introspezione psicologica dei volti e la luce fredda che isola il ritratto conferisce una saldezza costruttiva. I forti riverberi conferiti dai colori danno anche una vitalità straordinaria ad ogni singolo lavoro realizzato dall’artista.