balzac11Tra i maggiori scrittori ottocenteschi, maestro del realismo, autore del monumentale ciclo della Commedia umana, Honoré de Balzac (Tours 1789 – Parigi 1850) era sempre in bolletta, sia perché era uno spendaccione, sia per i maldestri tentativi di investimento in cui frequentemente si lanciava. Uno di questi, progettato fin dal 1837, porta il famoso romanziere francese nell’Isola. Si tratta, nelle aspettative del letterato, di ‘un gigantesco affare della massima importanza’, o almeno così Balzac definisce l’impresa in una delle sue lettere all’amata Madame Eve Hanska, una contessa polacca conosciuta anni prima, che poi sposerà poco prima di morire.

 

L’idea è di mettere le mani sulle straordinarie ricchezze minerarie sarde. La soffiata gliel’ha fatta un suo ‘amico’ genovese: Giuseppe Pezzi, che poi, però, lo tradirà. Dopo averlo mandato in avanscoperta, infatti, si farà dare le concessioni prima di lui. Per lo scrittore è l’ennesimo buco nell’acqua, che gli lascia una pessima impressione della Sardegna, riflessa marcatamente nelle sue lettere.

 

La partenza da Parigi –  Balzac impegna i gioielli di famiglia per pagare la ‘trasferta’ – è del 15 marzo 1838, passando per Marsiglia, Tolone e quindi Ajaccio. Eccolo, ai primi di aprile, in viaggio verso l’Isola. Ma fin da subito la malasorte accompagna la sua avventura: l’imbarcazione su cui viaggia, infatti, è costretta, a causa del colera, a stare nella rada di Alghero per vari giorni. In un paio di mesi, il progetto di arricchirsi sfruttando le miniere utilizzate in modo superficiale, secondo lui, dai Romani, fallisce miseramente. E così non matura nemmeno il suo proposito di scrivere un romanzo ambientato nell’Isola. Vediamo alcune righe scritte da Balzac alla sua amata contessa sul suo soggiorno sardo:

 

 

[8 aprile, Alghero] Dopo cinque giorni di navigazione tranquilla in una gondola (sic) di corallari che vanno in Africa, sto fermo qui; ma ho subito le privazioni dei marinai, avevamo da mangiare il pesce che pescavano e che facevano bollire per ottenere un’orribile zuppa. Abbiamo dovuto dormire sul ponte, divorati dalle pulci che – dicono – in Sardegna abbondano. L’Africa incomincia qui. Intravedo una popolazione cenciosa, completamente nuda, scura di pelle come fosse etiope. [17 aprile, Cagliari] Ho girato tutta la Sardegna e ho visto cose come se ne raccontano degli Huroni e della Polinesia. Un regno interamente deserto, veri selvaggi, nessuna coltivazione, savane di palme selvatiche; dappertutto capre che brucano tutte le gemme ed hanno gli altri vegetali a portata di mano. […]

Ho attraversato foreste vergini, abbarbicato al collo del cavallo rischiando la vita, perché per attraversarla bisognava avanzare in un corso d’acqua, coperto da un groviglio di liane e di rami che t’avrebbero accecato, strappato i denti, spaccato la testa. Sono gigantesche querce verdi, piante di sughero, d’alloro, ed eriche alte trenta piedi. Niente da mangiare. Tornato dalla spedizione, ho dovuto pensare al ritorno, e senza nemmeno riposarmi sono montato a cavallo per andare da Alghero a Sassari, seconda capitale dell’isola dove c’è una diligenza prenotata due mesi fa per portarmi al porto a prendere il battello a vapore per Genova; ma siccome il maltempo ritarda la partenza, dobbiamo restar qui due giorni. Allora, da Sassari ho attraversato tutto l’interno della Sardegna. È dappertutto la stessa. C’è un borgo in cui gli abitanti fanno un orribile pane riducendo a farina le ghiande di quercia che mescolano con argilla, e questo a due passi dalla bella Italia. Uomini e donne stanno nudi, con un pezzo di tela, uno straccio attorcigliato, per coprire le parti intime. Il giorno di Pasqua, ho visto creature ammassate come gregge, al sole, lungo i muri di terra dei loro tuguri. Nessuna abitazione ha il camino, accendono il fuoco al centro dell’alloggio che è tappezzato di sego. Le donne passano la giornata a macinare, impastare il pane, e gli uomini badano alle capre e alle greggi, e il paese più fertile del mondo è una sodaglia, è tutto una sodaglia. Al centro di una così profonda e incurabile miseria, ci sono villaggi con costumi di stupefacente ricchezza…