Questa pianta era notissima agli antichi con un nome magico di origine greca: Arnoglossa, cioè lingua di ariete, poiché era scelta a rappresentare allegoricamente il segno dell’ariete. Maior, comparativo di majus  (grande), in riferimento alle foglie della specie, maggiori delle affini lanceolata e media. Altri autori  fanno derivare il nome dal latino plantago tangere, cioè pianta gradevole a toccarsi. Erba conosciuta dai nostri avi soprattutto per guarire le ferite e come antidoto ai veleni.

 

Nel Nuorese : limba ’e cane (un po’ genericamente con altre piante simili)

In Campidano: erba de cincu filus, erba de cincu venas

Nel Logudoro: nerviada, niviada, erva de tagliu

Ad Alghero: cua de rata

 

Alla famiglia delle plantaginaceae appartengono alcune piante diffuse in tutto il nostro territorio, dalla pianura alla montagna. Si adattano alle varie altitudini, non hanno pretese ed hanno molte qualità eppure sono odiate dai contadini e giardinieri e sono continuamente oggetto di annientamento. Ma loro, serenamente ignoranti di tanto odio, iniziano il loro rapporto con gli umani offrendo la loro preziosa azione lenitiva, di immediata efficacia, in caso di punture di api, vespe, calabroni e zanzare. Infatti una energica frizione delle foglie fresche basta a neutralizzare l’effetto del veleno introdotto nel derma. In effetti le foglie manifestano azione antiallergica di tipo antistaminico (per la presenza del glucoside aucubina). Vi sono molte specie di Plantago, ma tra le più diffuse sono la P. maior, la P. minus o media, la P. lanceolata e la P. psillium e la P. coronopus. Hanno tutte caratteristiche molto simili, soprattutto dal punto di vista fitoterapico, perciò prenderemo in considerazione la piantaggine maggiore, ma farò riferimento anche alle altre sorelle vegetali.

 

Ė una pianta erbacea perenne, possiede un rizoma corto dal quale dipartono numerose radici sottili. Le foglie basali ampie disposte a rosetta di un verde intenso hanno nervature quasi parallele che partono dal picciolo e si riuniscono all’apice. Infiorescenza a spiga cilindrica lineare, nuda, che spunta dal centro della rosetta e raggiunge i20 centimetridi altezza: i suoi fiori producono un piccolissimo frutto contenente una miriade di microscopici semi neri lucenti.

 

 

 

 

Habitat

È reperibile negli incolti erbosi, nei luoghi ruderali, lungo i sentieri, al margine delle strade, presso le abitazioni ed è infestante nei terreni coltivati (ecco spiegato il rifiuto dei contadini).

 

Componenti principali

Foglie: mucillagine, tannino, pectina, flavonoidi e composti fenolici, glicosidi iridoici (aucubina, catalpolo), silice, acido caffeico, sali minerali di potassio e zinco, magnesio e cloro, tracce di olio essenziale.

Semi: mucillagini, glicosidi, alcaloidi monoterpenici, olio fisso, tannini, zuccheri.

 

Droga e tempo balsamico

Si utilizzano le foglie della maior, minor e lanceolata e i semi della psillium.

Le foglie si raccolgono ben sviluppate e possibilmente integre  da maggio ad agosto; i semi si prelevano da luglio a settembre, recidendo le spighe quando queste tendono ad assumere una colorazione brunastra.

 

Attività farmacologica

Foglie: astringente, cicatrizzante, emolliente, decongestionante, espettorante,   antiemorragica, antinfiammatoria e analgesica del cavo orale, antitussiva, oftalmica, antibatterica, bechica, antibronchitica, antiasmatica.

Semi di psillium: emollienti intestinali.

 

Indicazioni terapeutiche

Uso interno: le foglie riducono la secrezione mucosa in presenza di raffreddore, tosse, catarro, sinusite, congestione bronchiale e asma di origine allergica. Sono anche un valido aiuto nella cura delle infiammazioni delle vie urinarie.

Uso esterno: paradontosi, ascessi gengivali, congiuntiviti, faringiti, tracheiti, tonsilliti, punture d’insetti, dermatopatie.

Semi: stitichezza

 

Posologia

Uso interno: 40 gocce di Tintura madre per tre volte al giorno, distante dai pasti.

Infuso delle foglie: due cucchiai in mezzo litro d’acqua bollente. Riposo 10 minuti. Filtrare e bere 3 volte al giorno, sempre lontano dai pasti.

Uso esterno: nelle affezioni del cavo oro-faringeo fare sciacqui e gargarismi con 150 gocce di tintura madre diluita in mezzo bicchiere di acqua tiepida. Per le congiuntiviti praticare impacchi con tintura madre diluita 1:50 in acqua sterile oppure nell’acqua dell’infuso. L’acqua distillata di piantaggine è un ottimo collirio.

 

È curioso studiare questa pianta! Andando a consultare i classici scopriamo che Teofrasto, Ippocrate, Plinio il vecchio, Dioscoride, Galeno usavano varie specie di piantaggine per risolvere problemi bronchiali, epidermici, intestinali e urinari. Per non tediarvi ricordo solo Ildegarda di Bingen (oltre che donna di scienza, è una santa della Chiesa cattolica) e la meno conosciuta da noi, ma la più famosa medica del  medioevo, Trotula de Ruggiero, della scuola medica Salernitana (era l’unica scuola del tempo aperta alle donne!). Trotula scrisse di medicina e di cosmetica, in particolare si occupò di ostetricia e, per quanto riguarda la piantaggine, ad essa attribuiva tale potere astringente da consentire, se usata in modo adeguato, la riduzione della cavità vaginale in modo da far sembrare… illibate anche le donne più navigate. Quest’ultima applicazione costituiva in passato un vero e proprio “escamotage” a cui le donne spesso ricorrevano quando erano in odor di matrimonio.

 

Direi che questo problema, per fortuna delle donne, non esiste più, ma noi affidiamoci a questa pianta per gli usi terapeutici descritti e utilizziamola il più possibile fresca, cotta e cruda (in questo caso foglie tenere) anche nella cucina per poter usufruire dell’abbondanza dei suoi principi attivi che ci permetteranno di curarci anche… mangiandola!