Nel quotidiano riflettere si cerca spesso una motivazione a tutto ciò che accade, ad avvenimenti piacevoli o a fatti sgradevoli che turbano la nostra tranquillità. Subentra allora la tentazione di affi dare all’analisi razionale le sensazioni provate in determinate ricorrenze, ma tale pensiero è di frequente carico di pregiudizi che alterano l’obiettività ricercata. Occorre semplicemente volgere lo sguardo a ritroso per comprendere che il signifi cato che noi cerchiamo ha origini lontane, ma è ancora presente. Il senso di tutto era nella circolarità del gregge, sulla quale si erano modellati gli uomini e le cose con il loro eterno ripetersi. Per capire occorreva entrare in quell’andare senza moto il cui ritmo trascinava tutto, anche il tempo, che pareva ritrovare la sua unità in un diverso scandire di epoche, racconta Bachisio Zizi nel romanzo Erthole.

 

Tentare di capire un luogo e le sue genti solamente affacciandosi dall’alto delle proprie certezze a quel mondo reputato distante non favorirà il nostro desiderio di conoscenza. Per capire è necessario immergersi in quell’andare a prima vista incomprensibile e per essere capaci di coglierne le sfumature sarebbe opportuno liberarsi di tutti i preconcetti che potrebbero compromettere la scoperta di un luogosimbolo che rivela se stesso in diverse forme espressive. Nella lingua innanzi tutto, in quel suo essere profonda e intensa, capace di trasformarsi in melodioso verso poetico. Nell’austerità degli sguardi che rivelano la durezza dell’esistenza quotidiana e la dignità di uomini raccolti nelle proprie tribolazioni. E infi ne nell’apertura al mondo esterno nonostante quell’andatura circolare che ancora esprime la sua essenza.

 

Giungendo a Orgosolo si rimane stupiti dalla naturalezza con cui tali modi espressivi si intrecciano e si avvolgono dando vita a una singolarità percepibile in ogni dove. Si racconta, il paese, in tutte le sue sfaccettature, e come un libro aperto lascia sfogliare le pagine della sua storia, quelle più crude e di diffi cile comprensione insieme a quelle contrassegnate dalla generosità e dall’ospitalità dei suoi abitanti. Percorrere le sue strade significa quasi confrontarsi col mondo, con le sue logiche e contraddizioni. Disteso ai piedi del monte Lisorgoni, Orgosolo è uno dei paesi più conosciuti e visitati della Sardegna dell’interno. Il suo fascino primario deriva dalla presenza del grande altipiano calcareo del Supramonte, principale risorsa ambientale del paese nella quale esiste ancora uno degli ultimi lembi di foresta primaria presenti in Europa e ricca di diverse specie endemiche.

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Il Supramonte di Orgosolo si estende per oltre 3000 ettari che sorprendono per la loro natura selvaggia e incontaminata, ma anche per le suggestioni provocate dalla vista di gole, grotte e degli spettacolari tacchi di Monte Novo San Giovanni e di Monte Fumai. Nel versante orientale vi è la presenza di un canyon lungo 22 Km nella cui estremità ha origine la gola di Gorropu, una delle più grandi d’Europa che ha al suo interno pareti alte 400 metri.

 

Di particolare interesse è la foresta demaniale Montes, più di 4000 ettari, frutto di un’opera di rimboschimento intensivo all’interno della quale si possono visitare un Museo del Territorio e un recinto per il ripopolamento dei mufl oni. Altro sito di affascinante bellezza è la vallata di Locoe, così chiamata la media valle del Cedrino che si stende oltre il Supramonte e dove è possibile ammirare le rovine del villaggio omonimo, distrutto alla fi ne del Settecento al termine di un secolo di lotte tra i suoi abitanti e quelli di Orgosolo per il controllo dei pascoli.

 

Rimangono intatti la chiesa di S. Leonardo e i resti delle abitazioni. Piacevole ammirare le coltivazioni in questi terreni, specialmente quelle viticole. Se l’ambiente circostante con tutte le sue bellezze naturalistiche invita a una visita del luogo, è il centro abitato a regalare le maggiori suggestioni. Nonostante la ricchezza di testimonianze archeologiche riferibili sia al periodo prenuragico che a quello nuragico e che dimostrano la presenza umana sin dal Neolitico Medio, il villaggio attuale è di origine medievale. La prima attestazione scritta risale al 1341 nel registro delle “Rationes decimarum”, i centri che versavano le decime alla curia romana. Ma il suo nome tradisce una chiara origine pre-romana: si fa risalire al greco antico οργάσ-οργέ col significato di terra fertile e ciò viene confermato dal fatto che la voce orgòśa in sardo ha il signifi cato di “luogo umido, acquitrinoso” e sta alla base di molti toponimi presenti nelle zone dell’interno isolano. Inoltre visitando il centro storico ci si accorge della presenza di numerose sorgenti che lo arricchiscono e adornano.

 

Il cuore dell’abitato ha conservato l’assetto originario con strade strette e case addossate le une alle altre quasi a cercare riparo dalla curiosità di sguardi sconosciuti. Ma l’occhio del visitatore non può sottrarsi a tutto quello che le pietre rivelano. è la storia dell’uomo con le sue miserie e le sue speranze. Non importa il colore della pelle o la lingua che gli è familiare: è il suo pensiero di essere umano a vivere impresso nelle pareti delle case orgolesi.

 

Nessun altro paese si rivolge alle coscienze come questo centro barbaricino invitando se stesso e i visitatori a una rifl essione continua: i grandi temi di natura politica e sociale sono al centro di quest’arte muralistica che ha avuto origine nel 1975, quando il professor Francesco Del Casino, senese di nascita, ma sposato e residente ad Orgosolo, iniziò la sua opera di abbellimento di alcune pareti spoglie. In realtà il primo murale venne realizzato nel 1969 a opera di un gruppo anarchico milanese negli anni della contestazione giovanile.

 

L’intento del professore era quello di accompagnare la decorazione delle pareti con dei messaggi mirati: i contenuti delle sue opere e di quelle a lui successive abbracciano tematiche sociali e politiche, quali la guerra in Vietnam, la lotta per l’emancipazione femminile, la corruzione, e ripercorrono anche attimi della quotidianità di questo villaggio di pastori, tempi scanditi da problematiche molto sentite come la siccità, la mancanza di pascoli e la dura opposizione al dominatore di turno. La lotta di Pratobello, ben rappresentata nei murales, è un avvenimento fondamentale nella storia della comunità che compatta si oppose ai reparti dell’esercito italiano che avendo occupato un’area del territorio comunale fino ad allora adibita a pascolo libero, aveva l’intenzione di creare un nuovo poligono di addestramento.

 

A quarant’anni da questo avvenimento molti dei problemi della comunità orgolese continuano a essere legati alla pastorizia, attività sulla quale basa la sua economia, arricchita anche dal turismo, settore sempre più in espansione. “Il limite odierno della pastorizia è quello di essere un settore non adeguatosi alla globalizzazione” afferma Francesco Meloni, sindaco di Orgosolo dal 2005. “Serve una razionalizzazione degli allevamenti ed è necessario puntare sulla qualità dei prodotti” prosegue il primo cittadino, certo che un marchio di qualità per le produzioni locali possa garantire un ritorno economico importante che permetterebbe la sopravvivenza di tali prodotti nel mercato globale. Ma maggiore rilievo riveste per l’amministratore il saper affrontare e cogliere le sfide odierne con consapevolezza e determinazione, per cui occorre uno sforzo culturale da parte di tutti per migliorare le produzioni e le condizioni di produzione.

 

L’impronta tracciata da abitudini millenarie continua a pesare talvolta in maniera negativa e non è semplice convincere le persone che cambiare apporterebbe benefici altrimenti insperati. Ad esempio nell’affrontare problemi che da troppo tempo non trovano soluzione, come quello della peste suina che colpisce molti pascoli della zona. L’amministrazione vorrebbe intervenire con un progetto riguardante le terre comunali nelle quali dovrebbe essere permesso l’allevamento di suini non più al pascolo brado, ma semi-brado o controllato, seguendo un bando regionale rivolto ai privati cittadini.

 

Questa comunicazione e collaborazione con l’istituzione regionale emerge anche nell’accordo di programma siglato insieme ai paesi di Oliena, Dorgali, Urzulei e Baunei per la realizzazione del Progetto Supramonte che si pone come obiettivo quello di valorizzare e recuperare il territorio integrando le diverse attività presenti. L’intento primario è quello di permettere agli allevatori di usufruire di tale area nella maniera migliore, con infrastrutture e manutenzioni fruibili anche dagli operatori turistici, i quali, nonostante le 120 mila presenze annuali, possono contare solo su un flusso turistico di passaggio. Gli intenti degli amministratori puntano a far sì che questa tipologia di turismo possa trasformarsi e per questo è in cantiere la progettazione di un percorso all’interno del paese che prevede la realizzazione di due musei, da aggiungersi a quello già esistente sulla flora e fauna del Supramonte: contribuirebbero ad arricchire sensibilmente l’offerta turistica del borgo.

 

Si tratta del centro di documentazione sul banditismo, fenomeno che specialmente negli anni ’50 e ’60 del Novecento ha portato Orgosolo agli onori della cronaca nazionale e di un museo capace di mettere in risalto quella ricchezza meno visibile del paese: ciò che l’Unesco ha ritenuto essere patrimonio intangibile dell’umanità, il canto a tenore. In esso la voce e i versi dei poeti locali, tra i quali Peppino Marotto e Giovanni Pira, hanno dato vita a un’espressione che ha raggiunto diverse parti del mondo e ha fatto conoscere al vasto pubblico l’intensità e l’intimità di una maniera di essere trasformata in versi. Quest’anima orgolese appare anche e soprattutto nelle manifestazioni tradizionali con un forte senso di collettività e di viva partecipazione. Piuttosto sentita è la festa di Nostra Sennora de Mesaustu che celebra l’Assunta il 15 Agosto, anche se il patrono del paese è San Pietro al quale è dedicata la parrocchiale, oggi intitolata al Santissimo Salvatore.

 

Di particolare importanza, quest’ultima, perché vi sono conservate le reliquie della Beata Antonia Mesina, giovane orgolese che preferì essere uccisa a soli 16 anni, piuttosto che rinunciare alla sua purezza. Il simulacro, conservato nella cripta, è avvolto nel costume tradizionale, abbigliamento carissimo agli orgolesi che forse più di ogni altra cosa rappresenta il loro porgersi al mondo. I colori ne richiamano quasi le disposizioni d’animo: il verde rievoca la cordialità e l’ospitalità, il giallo la fi erezza e l’orgoglio, il rosso la passione e l’istinto, il nero il lutto e la disperazione nati da tragedie che pesano come macigni nell’intimo di questa gente. Li accoglie in sé s’antalena, il grembiule triangolare con vertice in vita: in esso si intrecciano e si abbracciano, brillano di una luce singolare, in un gioco di luci e di ombre segnato dal tempo della vita.